Tucidide a Cefalù

ritratto di Angelo Sciortino

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Quando il nostro sapere serve a storpiare i nomi dei nostri avversari, allora esso non è cultura. E' soltanto vuota erudizione, spesso mal digerita e quindi pericolosa. Potrà piacere a menti stordite dalla demenza, ma è inaccettabile a qualunque uomo di buon senso.
Altra cosa è invece il sapere diventato cultura. Quel sapere correttamente metabolizzato, che nutre i nostri pensieri, i nostri giudizi e persino le nostre fantasie.
Da questo sapere noi non ricaviamo presunzione e con esso non giochiamo per prenderci gioco di chi non “sa”, ma per aiutare costui a uscire dalla sua minorità culturale.
E' difficile che ciò accada nei comizi elettorali, ma quelle rare volte in cui accade bisogna rifletterci e trarne il giusto insegnamento.
Il comizio di Rosa Maria Testa ha rappresentato una di queste rare volte. Ha citato Tucidide non per fare sfoggio di cultura, ma per dare maggiore forza alle sue argomentazioni e per “fare uscire dalla minorità culturale” coloro che prima avevano ascoltato un erudito senza cultura.
Nessuna rivoluzione e nessun facile richiamo all'antipolitica di maniera. Anzi, un richiamo al senso di responsabilità del cittadino in un sistema democratico, così come è contenuto nel discorso di Pericle per ricordare i caduti del primo anno della guerra tra la democratica Atene e l'oligarchica Sparta, tra l'Italia della “Casta” e l'Italia dei cittadini.
La frase “Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile” dà un giudizio sui tanti che oggi cercano soddisfazione ai loro interessi personali, anche quando tale soddisfazione va contro gli interessi degli altri.
Mi permetto soltanto un appunto. Con quell'inutile è stato tradotto il termine greco “idiotès”, che rende assai meglio il concetto. Infatti, con idiota i Greci indicavano colui che non s'interessava della Polis, della Città. Quest'uomo era così disprezzato, sotto il profilo morale e intellettuale, che il termine finì con l'assumere il significato, che gli diamo oggi.
Ecco, Rosa Maria Testa ha avuto questo grande merito: richiamare a una maggiore coscienza civica e civile i cittadini, che proprio nelle elezioni comunali, più che in quelle nazionali, esercitano i loro diritti, senza i quali sarebbero sudditi.

ritratto di Nicchi Salvatore

I fatti devono provare la

I fatti devono provare la bontà delle parole
(Seneca)

ritratto di Angelo Sciortino

“Verba rebus proba”,

“Verba rebus proba”, scrive Seneca a Lucilio.
La traduzione "I fatti devono provare la bontà delle parole" non mi sembra corretta.
"Proba" è un imperativo e "verba" un accusativo neutro plurale e "rebus" un ablativo strumentale.
Quindi la traduzione corretta è: "Prova, tu, le parole con i fatti".
Non i fatti compiono l'azione di provare, perché non sono il soggetto, ma Lucilio, che di proba è il soggetto.
La correzione era necessaria per sottolineare che la responsabilità morale non è mai delle cose, ma degli uomini.