Le punizioni di Ruggero - parte II

ritratto di Angelo Sciortino

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Giunti che furono all'uscita, si accorsero che il Sindaco era sporco, ma illeso, perché era caduto in uno dei camioncini che trasportano i rifiuti urbani. Quando Ruggero e gli altri passarono, diretti alla Cattedrale, egli si stava spolverando i pantaloni, mentre un solerte cameriere del vicino bar gli spazzolava con una pezzuola umida la giacca.
Ruggero e i compagni non lo degnarono d'uno sguardo e raggiunsero subito la scalinata, che porta alla Cattedrale, dove entrarono compunti e rispettosi. Ruggero avanzò e poi di colpo si fermò e si girò, guardandosi intorno e poi in alto.
“Ma che cosa hanno combinato?” esclamò.
Gli si avvicinarono Mandralisca e Lo Duca: “Che cosa c'è che non va?” chiese Lo Duca.
“Non vedete, sembra sparita la luce. Mi ricordo i calcoli e gli studi, che le mie maestranze affrontarono per far sì che la luce giocasse quasi con il Pantocratore, a seconda dell'ora. Adesso che cosa ritrovo? La penombra, come se avessero voluto scacciare la presenza divina!”
“Maestà, forse è colpa di quei vetri alle finestre. Li avranno messi per difendersi dal freddo.” disse il barone Mandralisca.
“Che dite, caro Barone.” disse Ruggero e così continuò: “Qui non faceva mai freddo. Tutto fu studiato per fare di questo Tempio la più gradevole delle case per coloro che vi venivano ad adorare Dio e il loro Protettore, la cui rappresentazione nell'abside non ha subito le stupide violenze delle nuove maestranze. Ma quei vetri no! Proprio no!”
Li guardò con insistenza, poi li indicò con il suo dito indice e disse: “Sparite, orride e stupide offese alla Luce divina ed esempio del perduto gusto artistico!”.
Così disse e i vetri, immediatamente, si staccarono e caddero all'esterno, spezzandosi.
A questo punto Ruggero si allontanò dal seguito e s'inginocchiò davanti al Pantocratore. Rimase immobile in questa posizione per oltre un'ora. Nessuno degli altri osò disturbarlo.
Intanto, il Vescovo e il Parroco, seguiti dal solerte sacrestano e richiamati dal rumore dei vetri rotti, entrarono trafelati e urlarono: “Che cosa avete fatto! Questa è la casa del Signore, turisti senza fede!”
A questo punto Ruggero si alzò e fece segno ai tre di avvicinarsi. Quando il Vescovo gli fu vicino, gli disse: “Tu chi sei?”
“Sono il Vescovo, il Pastore di questo gregge di Dio.” rispose il Vescovo.
“Allora, vai a occupare il tuo posto, alla sinistra dell'altare, perché questo alla destra è il mio, come indicano i merli sulla torre esterna. E adesso lasciati rimproverare. Tu, che sei il Pastore del gregge di Dio, non puoi accettare che dalla sua Chiesa si copra la sua Luce. Pensaci, pentiti e chiediGli perdono. Lo stesso fate voi” aggiunse, rivolgendosi agli altri due.
Dette queste parole, uscì, seguito dal piccolo seguito, che non si preoccupò del Vescovo e degli altri due, rimasti attoniti, immobili e senza parole.
Giunti che furono fuori, si accorsero ch'era già buio. S'era fatta sera. Ruggero si ricordò che alle nove scadeva il termine dato al Ragioniere Generale di mostrargli la contabilità corretta. In comune, però, non c'era più nessuno, tant'è che le porte erano chiuse. Il Re decise allora di lasciargli tempo fino alla mattina successiva e per non sciupare il tempo a sua disposizione accettò l'invito del Mandralisca di recarsi nella sua casa terrena, divenuta ormai un famoso Museo.
Grande fu la gioia del Mandralisca e dello stesso Re di scoprire che si esponevano gli strumenti tecnici e scientifici, che tanto avevano impegnato il Barone nella sua breve vita.
“Ecco come ho sognato il mio Regno: impegnato negli studi e colto. Amante dell'arte e della poesia, come si avviava a diventare, quando fui costretto a lasciarlo, perché chiamato nell'Aldilà.” disse Ruggero.
Poi guardò il Mandralisca e si commosse nel vedere i suoi occhi lucidi, mentre accarezzava un'ampolla e pensava ai suoi esperimenti di un tempo.
Per fortuna la voce di richiamo di Lo Duca li distrasse entrambi.
“Venite a vedere, c'è il “famoso” quadro dello strepito di questi ultimi giorni!”
I due lo seguirono e si fermarono accanto a lui, quando se ne ristette davanti a un piccolo quadro, che rappresentava una donna con una spalla scoperta e un abito di tele marrone e grezza.
“Barone! Non ci credo che voi questo quadro lo avevate messo accanto a quello di Antonello. Non posso crederci!” disse Lo Duca.
“Infatti. Lo aveva comprato un mio amico e me ne aveva fatto dono. Ma quel mio amico di arte non ne capiva nulla. Pensate che, regalandomelo, mi aveva detto che sarebbe stato benissimo accanto al ritratto di Antonello! Questo volto lascivo e plebeo accanto a quel volto! Avevo sognato la Gioconda. Quella sì che ci sarebbe stata bene: due volti enigmatici e due sguardi sfuggenti sì che mi avrebbero conquistato. Per averli entrambi, avrei ceduto tutti i miei averi. Invece mi toccò questo orrore, che tenni nascosto sempre, per tirarlo fuori quando veniva quel mio amico. Infatti, non volevo mortificarlo” disse Mandralisca.
I due non poterono continuare la conversazione, perché il Re stava allontanandosi ed essi dovevano seguirlo.

ritratto di Vincenzo Gerone

Grande Angelo!Bella storia,

Grande Angelo!Bella storia, bella ed avvincente.La potresti proporre in volumetti allegati a qualche giornale locale, magari come fumetto.