L’esercizio del potere e la buona politica.
13 Novembre 2009, 15:34 - Vincenzo Garbo [suoi interventi e commenti]
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Comunemente si intende il potere come la capacità o la possibilità di fare ciò che si vuole.
Questa affermazione sembra diventata, oggi, il modello interpretativo della nostra società contemporanea, improntata agli abusi, alle licenze e agli eccessi.
In realtà l’esercizio del potere, correttamente inteso, dovrebbe implicare il possesso di forti motivazioni, precise aspirazioni e l’adesione ad un forte senso dei valori.
L’ambito principale nel quale si esercita il potere è, senza dubbio, la politica; la società attuale, in preda ad una forte crisi non solo economica ma etica e morale, ha, più che mai, bisogno di un corretto esercizio dell’azione politica.
Aristotele affermava che l’uomo non può fare a meno della politica, giacché la politica lo caratterizza come specie; se togliessimo la politica, lo Stato, le leggi e la partecipazione collettiva, elimineremmo la sua umanità.
Questa consapevolezza non può, però, far venir meno l’esigenza di porre in essere una buona politica che riesca ad organizzare bene la polis e, dunque, a migliorare la vita dei cittadini. Al contrario, la cattiva politica è quella che si chiude in sé stessa, che non fa l’interesse della collettività ma di singoli cittadini o gruppi di interesse; questo fenomeno è presente ad ogni livello aggregativo, a partire dal Comune, fino ad arrivare alla stessa Nazione.
Ecco, quindi, che non si può non porre il problema della cosiddetta questione morale.
Non è pensabile che la politica, dovendo fornire delle garanzie ai cittadini, non tenga in alcun conto la dimensione morale; la coerenza dell’uomo politico deve valere sia per i comportamenti pubblici, sia per i comportamenti privati, non possono coesistere due morali antitetiche tra loro: quella pubblica e quella privata. Come afferma Giovanni Sartori, è pur vero che Machiavelli ha teorizzato che la politica è diversa dalla morale perché incide in diverse sfere d’azione, ma, è altrettanto vero che, a monte di queste differenziazioni, esiste la persona umana che non è bifronte ma soltanto una.
Ciò che manca oggi è, in primo luogo, un’etica pubblica, il senso di responsabilità verso la collettività e la consapevolezza che, in democrazia, se si ricoprono ruoli di responsabilità non è soltanto per merito personale ma perché qualcuno ha dato il proprio voto e, per questo, occorre rendere conto del proprio operato.
D’altro canto, un buon politico deve avere un profondo senso del limite; l’azione politica non può essere finalizzata agli interessi personali o di gruppi, le istituzioni non possono essere poste al servizio delle esigenze di singoli, il dibattito politico non può essere avvilito e ridotto a sterile battibecco, privo di tensioni etiche e di valori sociali.
Una politica che si ripiega su sé stessa, difendendo strenuamente la propria posizione di potere, in maniera autoreferenziale e asfittica, finisce con l’incentivare comportamenti opportunistici e incarnare una sostanziale insensibilità nei confronti delle esigenze generali e, in ultima analisi, perde di vista completamente l’orizzonte del bene comune.
Queste considerazioni ci appaiono più vere se si pone come ambito di osservazione la realtà locale.
L’etimologia ci insegna che politica deriva dal greco tècnê politiké, cioè arte del governare la città. A proposito di ciò, Giorgio La Pira sosteneva che “ le città hanno una vita propria, hanno un loro essere misterioso e profondo: hanno un loro volto. Hanno, per così dire, una loro anima e un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietre, sono misteriose abitazioni di uomini e, più ancora, in un certo modo, misteriose abitazioni di Dio”.
Dunque, proprio nelle realtà più vicine a noi si esprimono richieste di solidarietà, identità, giustizia sociale; la cura della polis è il bisogno prioritario cui la politica è chiamata a rispondere.
Per cui, non è vera politica quella che si chiude all’interno dei palazzi, insensibile alle richieste che provengono dalle realtà locali e che si ostina a difendere pervicacemente un potere asfittico e privo di qualunque progettualità e capacità di azione.
Al contrario, come sostiene padre Bartolomeo Sorge, la politica locale dovrebbe essere incarnata da “uomini e donne capaci di agire nel territorio, ma di pensare in modo aperto; capaci di fare unità nel rispetto delle diversità; convinti che la qualità vale più della quantità. Serve poco essere tanti, se si è spenti; è importante invece essere accesi anche se si è pochi, perché solo chi è acceso può accenderne tanti altri”.
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Una critica molto "garbata"
alla nostra politica locale, che è lontana anni luce dal perseguire il fine ultimo del buon governo della cosa pubblica (dal lat.res publica) secondo i dettami della moderna scienza dell'amministrazione ispirata alla regola delle 3 E ovvero:
-l'efficienza,massima quantità di servizi erogati in rapporto alle risorse disponibili;
-l'efficacia, raffronto tra i risultati programmati ed i risultati raggiunti;
-l'economicità, massima riduzione degli sprechi al fine di ottenere più beni e servizi possibili in un dato orizzonte temporale.
Anche a non voler scomodare i principi di public menagement, a cui qualsiasi amministratore deve uniformarsi pena il fallimento personale e sociale, basta spulciare i classici greci o romani per farsi un'idea di come si amministra; in proposito Cicerone identificava la "res publica" con la "res populi" cioè con il bene del popolo, che si raggiungeva quando il monarca, l'oligarchia o il popolo medesimo governavano "bene e con giustizia" (cum bene et iuste geritur).
E' sotto gli occhi di tutti che a Cefalù, in questo momento, non vengono rispettati nè i canoni del buongoverno arcaici nè quelli di attualità.
Quale sia la causa o meglio le concause di tale situazione è notorio: assenza di risorse economiche,
eccessiva esposizione debitoria dell'Ente,
mancanza di una figura apicale capace di avere una visione strategica d'insieme dei bisogni della nostra comunità, di elaborare linee generali di azione, fissando una scaletta delle priorità,
dissoluzione dei partiti politici che normalmente sono i contenitori nei quali si elaborano idee e strategie,
frammentazione del quadro politico generale ed affermazione di individulismi,
mancanza di reazione dell'opinione pubblica, sempre più avvilita e rassegnata a tale status quo.
Che fare?
Per dirla alla Troisi "non ci resta che piangere", nella speranza che continuando a battere i tasti delle nostre tastiere si possa contribuire a far nascere una futura classe di amministratori degni di questo nome e di risvegliare nel contempo le sopite coscienze.
Cordialmente alla prossima ed auguri a questo nuovo blog
Nicola Pizzillo