La città invivibile

ritratto di Salvatore Culotta

Versione stampabile

Convinto come sono che per risolvere definitivamente certe annose difficoltà non servono leggi, divieti, fili spinati e catene ( e mi riferisco per ora in particolare al traffico e ai rifiuti),

ma occorra piuttosto una convinta e intelligente consapevolezza del vivere in una società civile, e credendo d’altra parte che questa coscienza si possa acquisire attingendo a quanto altri, più avanti di noi, hanno prodotto, penso che un buon contributo alla nascita o al rafforzamento di questa coscienza,relativamente al problema dei rifiuti, possa darlo la lettura di un capitolo di un’opera di Italo Calvino – Le città invisibili- ( che d’altra parte è bello leggere per intero) scritto circa venti anni fa, e ch propongo qui di seguito :
“La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fre¬sche, si lava con saponette appena sgusciate dal¬l'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastroc¬che dall'ultimo modello d'apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, conteni-tori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldaba¬gni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbri¬cate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si mi¬sura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai so¬no accolti come angeli, e il loro compito di rimuo¬vere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozio¬ne, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l'imponenza del get¬tito aumenta e le cataste s'innalzano, si stratifica¬no, si dispiegano su un perimetro più vasto. Ag¬giungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fer¬mentazioni e combustioni, È una fortezza di rima¬sugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si sal¬dano in una corazza che non si può togliere; rinno¬vandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingo¬no lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mon¬do intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicen¬da, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmen¬te monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stes¬se, allontanare i nuovi immondezzai.”

Forse è più facile costruire un termovalorizzatore che acquisire coscienza, ma non sarebbe tutto più facile semplicemente producendo meno rifiuti ? (e meno automobili). Esiste un fenomeno chiamato saturazione per cui ad un certo punto il sacco si riempie e non c’entra più niente, la spiaggia si riempie e non c’entrano altri bagnanti, il territorio si riempie e non c’entrano altre case, le strade si riempiono e non c’entrano altre automobili. E’ tutto molto ovvio.

ritratto di Saro Di Paola

NELLA "LEONIA" RIEMPITA NON CI SARO'

Sì, caro Totò,
"E’ tutto molto ovvio" .

Quando la frenesia che ispira il verbo
RIEMPIRE mi fa pensare a "LEONIA",
la mia insofferenza diviene rassegnazione.

Arrivo, persino, a consolarmi :
NELLA "LEONIA" RIEMPITA NON CI SARO'

ritratto di Pino Lo Presti

Il tema “rifiuti”

è tra i più simbolici della nostra “civiltà”, l’esempio più evidente di quel pensiero “rettilineo” - cui accennavo in altra occasione - tipico della “giovani menti” e delle “culture barbare che si affacciano alla vita ed alla storia”; tipico di una visione “protesa verso una frontiera che pare avere una precisa collocazione nello spazio e nel tempo”.
Ma quel “diritto alla felicità” individuale, scritto nella costituzione Americana, attorno a cui si è santificato tutto il sistema consumistico della produzione, non può chiudere gli occhi sulla realtà convincendosi che ciò si lascia dietro non ha importanza, e considerarlo come problema a-posteriori”.

L’esperienza che il tempo ci costringe a fare ci rende evidente che “ciò che si lascia dietro lo si ritrova - prima o poi - davanti”; essa curva la geometria egoico-volitiva del pensiero “giovanilistico”, pian piano, sino ad una forma circolare: quella della Morale!

La raccolta differenziata ed il riciclaggio dei materiali vanno sicuramente nella direzione giusta ma non bastano; è tutto il modello culturale della nostra “civiltà dei consumi” che va riconsiderato in una chiave più “morale”.

La “Morale insegna” che il superfluo è frutto del “vizio” e che come tale “ingolfa e disperde” le energie della vita.
Il “vizio” non sta solo in una società in cui - per venire incontro ai singols che lavorano e non hanno tempo -, per pochi grammi di salame affettato o di insalata già tagliata e lavata, produce un confezionamento di 20 grammi di materiale plastico, ma anche nella funzione che viene data alla “apparenza”, alle confezioni accattivanti che spesso assumono un rilievo spropositato rispetto all’oggetto che contengono.
La legge della Domanda e della Offerta è cieca e non si interroga sulla “liceità” della Domanda, anzi troppo spesso ne stimola subdolamente i contenuti più perversi al fine di sostenere l’Offerta.

Un sistema sociale civile - così come un regime di vita individuale - è quello che non lascia “rifiuti improduttivi”, cioè “tossici” ma è capace di far rigenerare ciò che usa.

In attesa di una società migliore, intanto si potrebbe proibire di produrre materiali che non siano eco-compatibili, cioè la cui composizione chimica non sia “decodificabile”, digeribile dall’organismo-natura in cui viviamo!
Sarebbe già gran cosa!