«Noi, i veri studenti dimenticati dai media»

ritratto di Giusi Farinella

Versione stampabile

«Noi, i veri studenti dimenticati dai media»
di Oscar Bettinazzi*22-12-2010

Alla vigilia del voto in Parlamento sulla riforma dell’università, di tutto si discute, su tutto ci si interroga meno che sulla realtà quotidiana di chi vive in Università, soprattutto di coloro per i quali l’Università è luogo di preparazione a ciò che verrà dopo.

Dall’immagine che passa sui media si ha l’impressione che esistano solo due fronti che si combattono: i politici che vogliono la riforma, e studenti e docenti che la contrastano, più o meno pacificamente.
Ma in mezzo c’è invece la stragrande maggioranza di docenti e studenti che in Università ci vivono quotidianamente e che, giorno dopo giorno, cercano di costruire un ambito educativo.

I giornali e le tv continuano a raccontarci una università che da una parte è un mondo dominato da corruzione, baroni, sprechi e privilegi e non solo, e dall’altra è popolata di studenti che non hanno altri sbocchi che andare in piazza a tirare sanpietrini, a prendere a bastonate agenti della polizia e a bruciare camionette della guardia di finanza.

E’ proprio questa l’università?
Sono veramente i giovani col volto coperto nelle piazze gli unici che si stanno muovendo per il sistema universitario italiano?
Quante volte, in telegiornali o giornali vediamo immagini da dentro l’università?
Quante volte sentiamo voci arrivare dalle aule universitarie?
Chi ha mai fatto notare che negli organi di gestione delle università ci sono studenti regolarmente eletti da altri studenti, che in Università e per le Università lavorano, ma che vengono regolarmente ignorati dai “maestri” della democrazia tv, che invece preferiscono dare voce a leader che rappresentano solo se stessi?

Basta mettere il naso dentro l’università per capire che la realtà è ben diversa da quella raccontata dai media; che l’università italiana non è solo quella dei privilegi e che gli studenti dell’università italiana non sono quella roboante minoranza in piazza ma quella silenziosa maggioranza che nelle aule, nelle biblioteche, e talvolta nei corridoi se non c’è spazio, vanno a fondo delle proprie aspirazioni ed interessi confrontandosi faccia a faccia, tutti i giorni, con dei Maestri presenti anche loro in università per insegnare e imparare.

È proprio indifferente il contributo di tutti questi ragazzi alla comunità universitaria?
Quale contributo possono dare gli studenti a un sistema universitario che conta circa 80 atenei, almeno 6.000 milioni di euro di investimento pubblico all’anno e poco meno di 2 milioni di studenti?
L’unico contributo che possono dare in questo senso è mettersi al servizio del sistema universitario portando negli organi preposti i loro desideri, le loro esperienze e le loro aspettative, succede già in molti atenei e al CNSU (consiglio nazionale degli studenti universitari) ed è la possibilità quotidiana che gli studenti hanno per entrare in un rapporto operativo di stima reciproca con chi l’università la gestisce e la governa.

Se nel merito, con i dovuti distinguo, è possibile affermare che la riforma è portatrice di molti elementi positivi di novità nello scenario, a partire dallo status giuridico dei ricercatori fino ad arrivare alla possibile autonomia organizzativa degli atenei virtuosi è ancora più evidente che senza una rinnovata responsabilità di tutti, legislatore, studenti e docenti, a guardare alla sostanza delle cose, alla verità dell’università, sarà solo l’ennesimo tentativo di regolare tutto da un centro per limitare la libertà delle persone.

* Rappresentante degli studenti
nel Senato Accademico
Politecnico di Milano

ritratto di Claudio Pepoli

I veri studenti, quelli

I veri studenti, quelli ricevuti dal Presidente della Repubblica Napolitano ma non dal Presidente del Consiglio Berlusconiano

ritratto di Giusi Farinella

Lettera di un vero studente al Presidente Napolitano

Egregio Presidente, non Le scrivo spesso perché, in fondo, mi pare che il Suo ruolo, per quanto prestigiosissimo, debba essere al di sopra delle scelte politiche compiute dal Parlamento.
Ma siccome Lei ha avuto la bontà di ascoltare, in quanto rappresentanti "degli studenti", un gruppo di ragazzotti, fra i quali, magari, ce n'era qualcuno che il giorno prima si era distinto per aver sfondato vetrine in via del corso a Roma, e siccome la nostra Università interessa legittimamente tutti i cittadini italiani e non solo i summenzionati ragazzotti, Le inoltro anch'io un messaggio, certo di trovare un'accoglienza altrettanto sollecita.
Tanto più che non ho rotto vetrine.
Questa lettera, che mi lusingo di ritenere scritta in rappresentanza di almeno altrettanti cittadini italiani, non condizionati da vincoli corporativi di docenti o di ricercatori aspiranti al posto fisso al vitalizio, Le potrà forse servire da incoraggiamento, quando giungerà il momento fatidico del "firmo o non firmo?" – momento che, in fondo, rimanda alla questione più profonda oggetto di discussione, riassumibile con il drammatico interrogativo: ma è manifestamente incostituzionale questa nuova legge?
Perché solo ed esclusivamente in questo caso Lei si troverebbe davvero al centro del gioco, dovendo altrimenti rassegnarsi al ruolo sostanzialmente notarile che la Costituzione Le assegna nella promulgazione delle nuove leggi.

Il problema non è di poco conto: perché se qualcuno si è spinto al punto di chiedere di non "firmare" la legge Gelmini, bisogna che, appunto, nutra non solo vaghi dubbi di incostituzionalità – per i quali esiste, al caso, la Corte Costituzionale –, ma certezze, ma radicate e ben corroborate convinzioni, che dovrebbero risultare palesi anche ad una prima lettura.
Fatto peraltro singolare, visto che, come si è potuto verificare in più di una circostanza, gran parte dei giovani che "rappresentano" gli studenti non ha mai letto una riga del dispositivo di legge.
Ma per fortuna la Sinistra, le cui file si vantano di annoverarLa come antico combattente, conta numerosi esperti consultabili in materia: come lo stesso magnifico Rettore della più grande università italiana, la Sapienza.
Il quale, se non sarà una cima eccelsa in medicina, è certamente espertissimo su leggi, leggine e pandette, come si è visto anche in questi ultimi giorni; e sa quando è il momento di accelerare e quando è il caso di frenare nel reggere le sorti dell'Ateneo che gli è affidato.
Ne caverà senza dubbio un'idea chiarissima.

Tuttavia, dubbio per dubbio, ne avanzo anch'io uno: guardando dall'alto del Colle, ha davvero potuto concludere che a rappresentare il mondo universitario fossero loro, i casseurs e coloro che li accompagnavano giulivi nelle scorribande sui colli fatali, e non quelli, molto più numerosi, che hanno fatto regolarmente lezione, che le hanno seguite con interesse, o avrebbero cercato di farlo se non ne fossero stati democraticamente allontanati?
Essi vedono nella riforma Gelmini, se non la soluzione di ogni problema, perlomeno una significativa inversione di rotta rispetto alla piega impressa alla cultura superiore italiana dal prof. – e comp. – Berlinguer e sodali.
È vero, la scuola marxista e leninista sostiene che quelle che contano sono le avanguardie, fatalmente minoranze, e non le masse.
E il vecchio ma sempre vivo Rousseau riteneva che la "volontà generale" possa a volte essere rappresentata anche da una esigua minoranza.
Ma Lei, che rappresenta uno Stato che vuol essere democratico e liberale, è certo di non aver - da lassù - preso una retroguardia confusa e violenta per un manipolo di Combattenti per il Progresso?
La distanza, e ancor più le idee preconcette, a volte giocano brutti scherzi.

Il problema dei giovani, in Italia, è certo drammatico, soprattutto nel Meridione.
Ma è sicuro che basti ascoltare le loro proteste e le loro preoccupazioni?
È certo che la dissennata campagna condotta – forse inconsapevolmente – dalla sinistra contro i "lavori manuali" – per il "diritto agli studi superiori" e, neanche a dirlo, alla laurea per tutti non abbia creato un mare di disoccupati che soprattutto al Sud attendono di essere assunti per lavori di concetto con una laurea-cartastraccia, mentre gli elenchi di artigiani e operai qualificati mancanti crescono a vista d'occhio?
È sicuro che tutti coloro che Lei ha voluto ascoltare fossero "capaci e meritevoli", e che i "capaci e meritevoli" veri godano delle giuste provvidenze?
Li ascolti, questi giovani, come è giusto ascoltare ogni cittadino, ma senza dar loro un peso che non hanno e un ruolo che non compete loro in un Paese non più corporativo. E cercando anche di spiegare le ragioni ed i moventi che inducono la maggioranza dei legislatori a certe scelte.