L’ultima opera dello scultore cefaludese Sebastiano Catania

Ritratto di Quale Cefalù

17 Novembre 2012, 18:38 - Quale Cefalù   [suoi interventi e commenti]

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Lo scultore cefaludese Sebastiano Catania è l’autore del nuovo portone in bronzo collocato nella Chiesa dell’Immacolata del villaggio Chianchitelli di Alia.

Vi presentiamo quest’ultima sua creazione attraverso due letture dell’opera curate dalle prof.sse Rosalba Gallà e Marcella Moavero:
 

CIRCOLARITÀ ORIZZONTALE: DALLA PAROLA ACCOLTA ALLA PAROLA DONATA
di Rosalba Gallà

Il portone in bronzo realizzato dall’artista cefaludese Sebastiano Catania, collocato nella Chiesa dell’Immacolata del villaggio Chianchitelli di Alia, si presenta come un libro, le cui pagine, aprendosi, invitano i fedeli ad entrare in chiesa per far parte dell’assemblea di Cristo,  percorrendo la via delle verità della fede cristiana.
Si tratta di un’opera d’arte, realizzata con la tecnica del bassorilievo e dell’altorilievo, la cui lettura si articola su tre livelli, inframmezzati da due fasce che riportano rispettivamente immagini di essenze arboree  e brani tratti dal Vangelo di Luca.
I tre livelli sono relativi, a partire dall’alto, alla vita prenatale di Gesù, alla sua nascita e alla sua presentazione, a momenti salienti della sua esistenza: i primi due livelli sono unificati dal tema della Visitazione.
I due pannelli del primo livello sono quelli che, dal punto di vista iconografico, risultano più legati alla tradizione.

Il primo quadro raffigura il tema dell’Annunciazione: (“Concepirai e partorirai un figlio”, Luca 1,31). Classica l’immagine dell’Arcangelo Gabriele nell’atto dell’annunciare, con il braccio proteso verso Maria, e del giglio, simbolo di purezza. Anche la rappresentazione di Maria segue canoni tradizionali, ma c’è da evidenziare un elemento innovativo: il libro, oggetto che accompagna spesso l’immagine di Maria, viene appoggiato dalla giovane sul grembo, come a voler manifestare la consapevolezza che la Parola dovrà manifestarsi attraverso di lei.
Il secondo quadro raffigura il tema della Visitazione: (“Benedetto è il frutto del tuo grembo”, Luca 1,42). Anche questa rappresentazione è legata a schemi classici: ciò che colpisce è il contrasto tra le due mani che si toccano, definite anche nei particolari, e la mano collocata al centro della scena che ispira l’idea del non finito: forse l’artista vuole dirci che una mano trova la sua completezza solo quando ne sfiora un’altra.
Sotto questo primo livello, ecco la successione delle essenze arboree, raffiguranti il brano tratto dal libro del Siracide, celebrazione della sapienza divina. È la stessa Sapienza a parlare: “Sono cresciuta come palma dell’Engaddi, come un roseto di Gerico, come un ulivo che svetta nella pianura, mi sono fatta alta come un platano” (24,14).
Nel secondo livello, i due pannelli abbandonano l’iconografia tradizionale per stabilire nuove proporzioni e originali relazioni figurative, giocando anche con una disposizione triangolare delle immagini.

Il quadro a sinistra raffigura il tema dell’ Adorazione dei magi: (“Videro il bambino con Maria, sua madre”, Matteo 2,11).

Lo sguardo è attratto sicuramente dalla bellissima immagine della Sacra famiglia, dalla quale emana l’intensità degli sguardi di Giuseppe e Maria nei confronti di Gesù che, in braccio alla madre, è colto nell’atto di darle una carezza, ma nello stesso tempo è sfuggente dalle sue braccia, come se volesse già consegnarsi al mondo. Per quanto riguarda i tre Re magi, l’artista scardina completamente l’iconografia tradizionale: solo uno dei tre sapienti orientali è raffigurato interamente, mentre degli altri sono scolpiti solo i volti (Catania ripropone una tecnica molto efficace di alternanza di figure intere e volti, già utilizzata nella Via Crucis collocata nella Chiesa di Santa Maria della Luce, a Cefalù): ma per quanto la figura sia collocata in posizione centrale, non riesce a diventare il punto focale della scena,  che insiste sulla famiglia divina. Il Re, inginocchiato, offre una sfera: interessante fermarsi a riflettere sul significato simbolico di questa scelta. Secondo la tradizione i tre Magi hanno donato a Gesù oro, incenso e mirra, simboli di regalità, divinità e mortalità: probabilmente, nella visione dell’artista, la sfera racchiude in sé i tre simboli, insieme all’idea della perfezione divina, dell’universo, del ventre della madre che dà origine alla vita.
Il quadro a destra raffigura la Presentazione di Gesù al Tempio: (“Simeone lo prese tra le braccia e benedisse Dio”, Luca 2,28).

I quattro volti emergono dal fondo della materia e prendono vita, proiettandosi verso l’osservatore: il bambino, unica figura intera, ha le braccia aperte, gesto accogliente, ma nello stesso tempo presagio della crocifissione. L’artista, in questo caso, rispetta poco le proporzioni e Gesù risulta essere più grande rispetto alle figure che fanno da sfondo e il suo slancio verso l’esterno è così intenso che l’osservatore ha la sensazione di poterlo prendere in braccio. Il coinvolgimento emotivo con tutte le figure rappresentate è molto intenso: le figure tendono verso l’esterno, mentre l’osservatore viene attratto verso l’interno, con la creazione di una forza empatica bidirezionale.
Tra il secondo e il terzo livello, sono incise frasi tratte dai cantici del primo capitolo del Vangelo di Luca: il Magnificat e il Benedictus.

I due pannelli in basso rappresentano Le nozze di Cana: (“Fate tutto quello che Egli vi dirà”, Giovanni 2,5) e La donna che benedice la madre di Gesù: (“Beato il grembo che ti ha portato”, Luca 11,27).

Partiamo dalle Nozze: qual è il significato di questo sposalizio? Di fatto di queste nozze non si sa nulla, se non che venne a mancare il vino, che nel rito nuziale ebraico rappresenta l’amore tra gli sposi (essi bevono il vino da un unico calice che poi viene gettato a terra, a significare che nessuno può distruggere l’amore dei coniugi). La mancanza di vino è, quindi, la mancanza di amore nell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Le sei giare rappresentano la vecchia alleanza, perché esse contenevano l’acqua con cui l’uomo doveva purificarsi per meritare l’amore di Dio: adesso l’amore viene donato in quantità, attraverso la trasformazione dell’acqua in vino. L’amore è un dono di Dio agli uomini e deve essere un dono dell’uomo all’uomo: il nostro amore non deve essere meritato dagli altri, perché noi lo dobbiamo donare. È la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo. Fondamentale, in tutto questo, è il ruolo della Madre di Gesù: “Fate tutto quello che Egli vi dirà”, dice la Madonna ai servitori. Nel pannello, il volto di Maria emerge dalla materia con lo sguardo rivolto verso il figlio: rappresenta la guida che ogni uomo deve avere accanto, se vuole intraprendere un cammino di fede e contribuire alla fondazione della nuova Chiesa. Le nozze di cui si parla sono, allora, il patto nuziale con il popolo. Al centro della scena c’è l’agnello immolato. Nell’Apocalisse si dice che è stato annunciato un leone, ma si presenta l’animale simbolo della mansuetudine e dell’innocenza e quest’agnello vivente porta i segni della sua immolazione: “In piedi, come immolato”, perché Gesù si è sacrificato, ma vive ancora.
Il quadro in basso a destra conclude la sequenza con l’immagine di Gesù che con un braccio accoglie il popolo, con una mano indica la sua bocca, la sua parola.

Molto belli i volti che emergono dal metallo e che in parte vengono riassorbiti dalla stessa materia: una moltitudine di persone impegnate ad ascoltare e a custodire la parola di Dio. Ma le ultime parole incise ci riportano a Maria e, in maniera circolare, al punto di partenza. Una donna, dopo avere ascoltato il Messia dice: “Beato il grembo che ti ha portato”. È il grembo di Maria, quel grembo sul quale, nel primo pannello, era appoggiato un libro. La madre di Gesù è la donna che dall’inizio alla fine del nostro percorso di lettura dell’opera ci ha accompagnato, Lei che è madre e sposa, Lei che ama Gesù sopra ogni cosa ed è riamata dal figlio, Lei che, in ogni volto scolpito dall’artista, esprime la dolcezza dell’amore inteso come dono gratuito e la sofferenza di un presentimento di dolore: per tutto questo è beata, per avere accolto, per avere custodito dentro di sé e per avere partorito al mondo la Parola.
 

SEI SCENE, UN MESSAGGIO
di Marcella Moavero

Sei scene, intervallate da altre di minori dimensioni e da scritte, un unico messaggio. L’Annunciazione, in alto a sinistra, dà un ulteriore contributo al concetto della Visitazione in quanto tale. In genere, in opere pittoriche, sempre sfondi paesaggistici hanno incorniciato la scena, quella scena che ‘accende’ la luce recata nel mondo. Nel basso rilievo le figure vengono fuori, sporgono dalla materia creando un morbido effetto di rapporti chiaroscurali delicatamente contrastati. Ma emerge soprattutto un braccio divenendo alto rilievo, quello dell’angelo, che sembra protendersi verso di noi ed uscire fuori.

E’ il braccio che Dio protende verso l’uomo attraverso il dono del Suo Figlio recato all’umanità. L’Arcangelo porta a Maria con l’altra mano il giglio, simbolo della sua purezza verginale. Lei accetta, Bambina, il Santo Bambino, chiudendo le braccia e le mani in un gesto di accoglienza che prende in sé il Mistero, ricevendo in toto la Parola di Dio rappresentata dal Sacro Libro che stringe tra le braccia e facendola propria. Accogliere Cristo, infatti, significa accogliere la Sua Parola. Sotto, le parole “Concepirai e partorirai un Figlio”, ci immettono, partendo da una dimensione spirituale, nella fisicità dell’evento, reale INCARNAZIONE nel grembo di una donna.

Continua la lettura, svolta da sinistra verso destra, con la scena della ‘Visitazione’ a Santa Elisabetta. Questa si inginocchia in un gesto reverenziale verso la ‘Madre del suo Signore’. Anche in questo caso due braccia, quello sinistro di Maria e quello destro di Elisabetta, si intrecciano in una unione che è al tempo stesso fisica e spirituale, in un incontro tra Dio e l’uomo, il PRIMO incontro tra Dio e l’uomo, tra Gesù e Giovanni Battista, il Suo Grande precursore. Le braccia si intrecciano, gli occhi si fissano in uno sguardo intenso di accettazione, di comprensione reciproca di stati d’animo e dunque di complicità. E immediatamente sotto una frase… “Benedetto è il frutto del tuo grembo”… Sotto, quattro elementi di minori dimensioni, sembrano creare visivamente quasi una soluzione di continuità. Ma si tratta di un effetto apparente, di un’eccezione che conferma la grande regola. Quattro motivi vegetali, descritti nel Libro del Siracide, si affiancano in una simbologia apparentemente ermetica ma profonda. A sinistra compare la foglia di palma, dell’Engaddi; poi un roseto, quello di Gerico; quindi un ramo di ulivo “che svetta in pianura” e infine un ramo di platano, perché la Sapienza è alta come un platano. Questi rappresentano infatti la Sapienza, donata da Dio agli uomini: ma la Sapienza è il grande dono di Dio, il Logos, la Mente, la Ragione, la Parola. E’ Cristo, l’estremo dono di Dio, il Suo Figlio, immolato per noi nel grande sacrificio.
Nella fascia sottostante si susseguono due scene: la Visita dei Magi e la presentazione di Gesù al Tempio.

Ricorre il tema della ‘Visitazione’. Sei figure nella Visita dei Magi. Quattro, in alto, affiorano appena, semplicemente in alcune parti del loro corpo. Sono due Magi e Giuseppe e Maria. Dei due Magi e di Giuseppe affiorano solo le teste e parte del collo. Di Maria sporge dalla materia inerte del bronzo il volto, intenso, il busto e quelle braccia che sostengono il Sacro Bambino. Il Bambino emerge dallo sfondo interamente e quello sguardo intenso della madre lo guarda, lo contempla, appagata dalla sua Luce e dal grande Amore per Lui. “Videro il Bambino con Maria sua Madre”, è la frase che risalta sintetizzando la profondità di quegli sguardi e di quei volti, di uomini apparentemente comuni, ma portatori di Sapienza e di Pace. Una figura esce fuori dallo sfondo, l’ultimo dei re, al centro in basso, chinato, curvo, in quel gesto di umiltà che tutta l’umanità compie nei confronti del Divino, del Cristo Salvatore del mondo, offerto da Maria come uomo e come Dio. Cristo viene adorato. Il re, personaggio chinato, gli offre la sintesi di tutti i doni dei Magi, quei doni che l’uomo offre a Dio, ma che in realtà Dio ha recato all’uomo, l’oro, simbolo di divinità e di Luce, l’incenso, nella sua sacralità e nel suo rappresentare spiritualità ma anche l’amore della famiglia, la mirra, unguento profumato che era tradizione recare ai defunti. In ciò un presagio. Il volto malinconico di Maria tradisce ciò, una visione, amara, della morte del Figlio, fatto uomo per recare la Salvezza agli uomini morendo in croce, quale vittima sacrificale per il perdono dei peccati. Anche in tal caso emerge un braccio, quello del re, che reca in mano una sfera quale sintesi dei tre doni dei Magi. La sfera, che appare uguale da qualsiasi lato si guardi, catalizza l’attenzione dell’osservatore nella sua rotondità e perfezione, quella divina. Ed un triangolo virtuale collega simbolicamente ed in modo invisibile le sei figure, segno di Trinità ed anch’esso di perfezione.

Continua, sulla destra, la Visitazione: Maria porta Gesù al tempio visitando il vecchio Simeone, che ha atteso il Messia e che lo riconosce. Ma Simeone è il passaggio tra l’antico e il nuovo, tra Vecchio e Nuovo Testamento, tra antica religione ebraica e Cristianesimo. Simeone è colui che, nel luogo dell’antica tradizione, il tempio, viene visitato dal Divino ed accoglie il Nuovo, la Luce, Cristo, presentandolo al mondo. Una vecchia “di 84 anni” ascolta; è presente un secondo visitatore del tempio. Solo volti, solo sguardi. La figura della donna anziana sporge appena accennando un basso rilievo.

Il volto di un uomo esce maggiormente dallo sfondo. Maria è rappresentata in alto rilievo, che rende visibile anche parte del busto, ma il volto di Simeone si protrae fuori sporgendo notevolmente con grande intensità di sguardo e proiettandosi verso l’osservatore, divenendo quasi tutto tondo e presentando a tutti noi quel Bambino bello e possente, al tempo stesso dolce e titanico, che emerge in tutto il suo corpo ed interamente dallo sfondo. Il triangolo invisibile e divino unifica i personaggi, unendo idealmente la sfera del Divino e quella dell’umano, Dio all’uomo. Siamo tutti noi ad accogliere quel Bimbo-Dio, ai piedi del triangolo immaginario, a sentirlo nostro e ad accogliere la Sua Parola, creando con Lui un rapporto empatico. Al di sotto, due scritte: sotto l’Adorazione dei Magi, “La mia anima magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”, consolida il rapporto tra Maria e Dio tramite Cristo. Sotto la presentazione di Gesù al tempio, “Benedetto il Signore Dio di Israele perché ha visitato e redento il suo popolo”, evidenzia ancora di più il concetto di visitazione e questo legame tra Dio e l’umanità attraverso il dono del suo Figlio.

Penultima scena in basso a sinistra, le “Nozze di Cana”. Si tratta del brano trattato solo da Giovanni. Sei giare appena accennate, in alto a sinistra, si notano appena e vengono fuori dallo sfondo. Queste sono piene d’acqua, la vecchia Alleanza, il passato, dunque. Ma Cristo trasforma questa in vino, la Nuova Alleanza, compiendo un passaggio tra vecchio e nuovo, tra ciò che c’era prima di Lui e la luce futura. Tale passaggio avverrà attraverso l’offerta di se stesso. Egli, dunque, sarà Agnello sacrificale, immolato per noi e per la nostra salvezza. Ecco che Gesù offre davanti a sé a tutti noi l’Agnello, sgozzato, ma vivo, grazie al Mistero della Resurrezione. Tale immagine, ripresa dall’Apocalisse, si riconduce al concetto delle ‘nozze’: le nozze di un uomo e di una donna divengono sposalizio, dunque un patto, di Cristo con la sua Chiesa attraverso l’avvenuto sacrificio per la nostra salvezza. L’artista ha evidenziato quella mano benedicente di Cristo verso di noi. Ma continua ad essere fondamentale il ruolo di Maria, di cui sporge il volto in alto a destra, fondamentale nella storia della Salvezza divenendo strumento della volontà di Dio e costituendo un mezzo di continua intercessione tra Dio e i suoi figli. Lei, infatti, pronuncia quelle parole in basso,… “Fate tutto ciò che gli vi dirà”, e continua a dire a noi, essendo nostra Madre, di fare sempre la volontà del Signore.

L’ultima scena raffigura Cristo che, mostrando la propria bocca con la mano, indica a tutti la proclamazione della Parola di Dio. “Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la custodiscono”, è la frase che anticipa l’immagine. Davanti a Cristo, l’umanità è evidenziata da una moltitudine di volti che ASCOLTANO e MEDITANO la Parola. Ecco, dunque, che la Parola, il Verbum, donato da Dio all’uomo attraverso lo strumento del grembo di Maria, è donato dal Figlio a noi che la ascoltiamo. La frase, “Beato il grembo che ti ha portato”, è dunque l’inizio e la fine. L’inizio della Sacra Storia della Salvezza, ma anche l’inizio delle scene dei registri decorativi. Il tema della Visitazione inizia e conclude: inizia con l’annuncio a Maria del concepimento di Dio fatto uomo. Il termine, è l’annuncio, la visitazione della Parola di Dio all’uomo tramite Cristo. Giochi di braccia e di mani si intrecciano, i gesti divengono simboli di un unico messaggio. Quell’unico messaggio che, dunque, sintetizza la Parola resa immagine, raccontando quella Sacra Storia che ha cambiato il mondo.        

Commenti

Gianfranco,

desidero ringraziarti per il bel lavoro compiuto nell'intrecciare le parole alle immagini, conducendo egregiamente il lettore tra le raffigurazioni scultoree.

Grazie.

Sebastiano

Grazie a te, Sebastiano, ed a tuo figlio Riccardo per le fotografie.
Non è stato difficile "intrecciare" le vostre immagini alle puntuali e dettagliate letture dell'opera curate da Rosalba Gallà e Marcella Moavero.

Complimenti per questa tua splendida creazione.

Gianfranco