11 Dicembre 2020, 05:54 - Giuseppe Riggio [suoi interventi e commenti] |
Qualche tempo fa, la citazione della ‘Leggenda del grande inquisitore’ da parte di un osservatore laico, qual è Angelo Sciortino, più che chiudere le polemiche sulle attività economico-finanziarie della Chiesa di Cefalù, nel senso di non volerne parlare più perché tanto è tempo perso, lascia aperto il problema più grave: Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede su questa terra? (Lc. 18,8).
Tale senso attribuisco all’ultima frase dello scritto dell’amico Sciortino: «Un itinerario della bellezza, ma non dello Spirito’, come a dire che chi serve a mammona, pur trattando di cose belle, viene schiacciato dal peso della materialità, ha le ali tarpate che gli consentono solo di starnazzare e, visto che abbiamo dinanzi il mare, è incapace di prendere il largo, ma naviga terra terra come le barche di Cefalù (E’ un detto madonita). Da tali persone ci si può aspettare soltanto strumentalizzazioni, malanimo, ritorsioni, larvate sottintese minacce ed eclatanti vanterie, che mirano solo a difendere il potere conferitogli dal ruolo, mentre non viene loro riconosciuta l’autorevolezza, che dovrebbe nascere proprio da un modo diverso di esercitare lo stesso ruolo.
La leggenda del grande inquisitore, citata dall’amico Sciortino, mi ha riportato indietro di 60 anni e mi sono ritrovato tra le mani l’importante opera di Romano Guardini, Il mondo religioso di Dostojevskij, edito dalla Morcelliana di Brescia nel 1951, che dal mio ex libris acquistai e lessi nel 1959, che mi fu guida alla lettura di buona parte delle opere del grande romanziere russo.
Con Romano Guardini mi chiedevo e mi chiedo se ‘nella caricatura sacrilega del Grande Inquisitore si debba riconoscere la Chiesa Cattolica’, ovvero se il significato della leggenda non vada colto «in rapporto alla visione che Ivàn ha del diavolo e ai suoi discorsi sul mondo e su Dio».
Il Grande Inquisitore è certamente un attacco a Roma, cosa del resto presente in altre opere di Dostojevskij quando si parla di cattolicesimo o quando appare la figura di un cristiano cattolico, ma non si identifica con la Chiesa cattolica. Mentre la figura di Cristo che il Grande Inquisitore respinge non è quella che ci appare e ci parla nel Nuovo Testamento, ordinata al piano della creazione, che è e ‘rimane il piano di riferimento della Rivelazione’, e non può essere diversamente se è vero che il mondo è stato creato dal Logos e proprio questo Logos si è fatto uomo per riscattarlo, orientandolo a se stesso nell’escaton.
Il Cristo del Grande Inquisitore, invece, non ha questo rapporto con il mondo e pertanto non ha alcun rapporto con il Padre creatore.
«E’un Cristo distaccato. Un Cristo che esiste solo per sé. Egli non viene al mondo dal Padre e non va dal mondo al Padre»; addirittura non ha alcun rapporto con la realtà, presentandosi avulso da essa: egli è il Cristo di Ivàn e diventa la sua risposta al fratello Aljòša, avendo questi contrapposto la figura del Redentore alla filosofia anarchico-pessimista del fratello.
«In questa figura di Cristo il fatto cristiano è sentito come un’esigenza di responsabilità totale e, insieme, come qualcosa di assolutamente fuori del comune. Questo cristianesimo non ha rapporti con la zona intermedia ove vive l’uomo e si svolge la sua esistenza quotidiana»; così Romano Guardini, consentendomi di concludere che questo Cristo e questo Cristianesimo negano la stessa incarnazione.
Lo stesso Romano Guardini spiega che « altezza e profondità pura non sono valori limite e vita non può esservi senza quella sfera mediana dove tuttavia si è continuamente sollecitati a decidersi per l’una o per l’altra. Una vita priva di questa zona intermedia diventa irreale poiché qui è il luogo dell’attuazione pratica, qui il teatro e l’officina dell’esistenza».
In definitiva il Cristo della Leggenda è un ‘eretico’ e bene fa il Grande inquisitore a cacciarlo, anziché farne un martire, condannandolo al rogo.
Totalmente capovolta appare la situazione, se torniamo a far riferimento ai soggetti ispiratori della riflessione di Sciortino e oggi della mia.
Non possono essere paragonati al Grande Inquisitore della Leggenda perché non ne hanno gli attributi: manca loro l’autorevolezza che dovrebbe derivargli dal ruolo che svolgono nella Chiesa cefaludese, nella quale sarebbe stato opportuno che entrassero in punta di piedi anziché con la ramazza in mano, consapevoli di trovare una comunità ecclesiale con la sua storia, le sue caratteristiche, la sua cultura, le sue passioni…che tuttavia c’era, c’è e continuerà ad esserci, mentre loro sono soltanto meteore di breve durata.
Al Cristo Pantocratore che campeggia nel catino della Cattedrale, che era, è e sarà, Logos creatore, redentore e ricapitolatore, espressione della Cristologia del XII secolo e di sempre nella Cristianità d’Oriente e d’Occidente, renderanno e renderemo conto, ma con diversa responsabilità, della caduta (quasi una devianza) della fede dalla Sua Persona alle Sue creature, dal Salvatore ai salvati, mentre la radicalità cristiana sta proprio nella fede in Cristo.
Al di fuori della Liturgia, da tempo ormai la preghiera non viene rivolta al Padre perché quasi scomparso dalla vita religiosa dei credenti, anche perché non ci si ricorda facilmente del Padre nascondendone la rivelazione nel Figlio, ormai depauperato degli attributi specifici che lo collegano al Padre: Redentore e Mediatore. Mentre la madre di Gesù è diventata co-redentrice e mediatrice tra l’umanità e la divinità, quasi non bastasse la redenzione e la mediazione operata dal Figlio.
Di Maria basta ricordare la divina maternità, dipendente dalla unicità della Persona del Cristo teandrico, e l’essere Ella immagine della Chiesa, in quanto sposa di Dio.
Nel grande disorientamento culturale e spirituale dei nostri tempi, invece di proporre il messaggio cristiano nella sua essenzialità, brillantemente espresso nel nostro Pantocratore, parlando alle intelligenze dei fedeli, si continua con maggior forza che in passato, ad alimentare speranze miracolistiche che trovano terreno fertile nella debolezza dell’animo umano, «che se non crede al miracolo rischia di ripudiare anche Dio e si creerà altri possibili miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, fosse egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo» (Ivàn, nella Leggenda del Grande Inquisitore).
C’è un ritorno di fiamma all’intimismo e all’individualismo spirituali propri della Chiesa cattolica di altri tempi, oggi assolutamente anacronistici e dannosi!
E non sto parlando solo della Chiesa cefaludese, ma dell’intera Chiesa italiana, ormai sempre più simile alle Chiese latino-americane, con la sostanziale differenza che quelle hanno storicamente avuto una acculturazione cristiana che spesso si è risolta in sincretismi più o meno credibili, mentre la nostra Chiesa ha perso ‘lo smalto’ delle nostre nobili tradizioni culturali, queste sì frutto delle varie acculturazioni e storicizzazioni del Cristianesimo nei vari popoli d’Europa.
In fondo la Chiesa italiana ha subìto a livello spirituale la crisi d’impoverimento ed imbarbarimento che nell’ultimo secolo ha coinvolto la cultura europea e negli ultimi 50 anni anche la nostra società civile. E purtroppo non s’intravede neanche una piccola luce in fondo al tunnel!
Porto due esempi, uno relativo all’immediato passato, l’altro all’immediato futuro e concludo.
Nella scorsa primavera, quando, per limitare il diffondersi dell’epidemia, il Governo italiano vietò gli assembramenti anche all’interno delle Chiese, con la conseguente interruzione delle celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, l’unica cosa che seppero fare i vescovi italiani, per bocca e penna della Segreteria della CEI, fu di reagire maldestramente ‘al reato di lesa maestà’, quasi loro non fossero cittadini di questo Stato o, per il ruolo che rivestono, avessero facoltà di aderire o meno alle disposizioni governative. Si sono sentiti depauperati della libertà di culto, suscitando nella migliore delle ipotesi un sorriso di compassione. Non hanno saputo esercitare il carisma della Profezia per mettere a nudo, alla luce della Parola, le sregolatezze del progresso, che nell’ultimo secolo è sfuggito di mano provocando più male di quanto si percepisca, le responsabilità della politica e dell’economia con preciso riferimento a quanti avrebbero dovuto prevedere e non hanno previsto, provvedere e non hanno provveduto, decidere responsabilmente a rischio dell’impopolarità anziché cercare il consenso delle masse.
Forse sarebbero stati accusati di ingerenza nella sfera sociale, culturale e politica, ma chi meglio di loro dovrebbe sapere che confrontare la Parola di Dio con la vita reale è il modo ordinario di storicizzarla? Altro che ingerenza!
Avrebbero dovuto richiamare ai fedeli le responsabilità individuali in questo preciso momento storico e vietare ai loro parroci le pietose sceneggiate cui abbiamo assistito di Madonne sulle cappotte delle macchine in giro per le vie dei paesi o nelle terrazze delle canoniche con tanto di altoparlanti; parroci soli, con l’Ostensorio in mano e addosso l’armamentario dell’amplificazione, scalmanarsi in processioni prive di sacralità ma segni di conclamata superstizione; quotidiane celebrazioni di Messe in streaming, come se non bastasse la celebrazione di Papa Francesco alle 7 del mattino da Santa Marta su Tele 2000, mentre avrebbero dovuto educare i fedeli al ‘digiuno’ eucaristico per stimolare il desiderio della partecipazione in presenza, unico segno reale costruttivo di comunità e di chiesa.
Ultima riflessione, sul Sinodo diocesano che si è aperto in questi giorni. Il solo fatto di non aver deciso di rinviarne l’inizio per via della pandemia è la conferma della fretta e della smania di fare, nell’intento di passare alla storia. Ben gli si addice un epigramma di Jacques Prévert: «Era passato dal sarto marmista per farsi prendere le misure per la posterità», non importa a quale prezzo, persino quello dell’inutilità e del danno! Che siano passati tre secoli dall’ultimo Sinodo non può essere motivo di fretta, semmai deve indurre a maggiore ponderatezza.
Al nostro Vescovo l’ispirazione di rinviare il Sinodo era venuta, ma poi ha fatto prevalere gli interessi di facciata, immaginando di potere strumentalizzare il virus, e ha soffocato lo Spirito.
Fra Salvatore Vacca, da Gibilmanna, ha centrato il problema in via teorica ma non ha avuto il tempo di trattarne l’applicazione pastorale, avendo dovuto prima sviolinare il Vescovo. Chiesa di Cefalù, CHI SEI? I quattro snodi proposti alla riflessione girano attorno al Cristo pantocratore e quindi cristocentrica e cristologica deve essere la lettura che la Chiesa fa di se stessa per proiettarsi nel futuro. Spero solo che non abbia predicato al vento.
Bisognerà seguire attentamente i lavori sinodali per valutarne dall’esterno lo spessore e l’adeguatezza all’oggi della nostra Chiesa. Per il momento spero solo che i giochi non siano già fatti e che qualcuno non abbia già scritto o stia per scrivere i documenti da approvare, o che non venga fuori una serie di canoni moralistici e disciplinari utili solo a tenere sotto controllo le comunità locali, i Presbiteri e le coscienze dei fedeli. Cosa tanto cara a chi detiene il potere, ma quanto mai anacronistica e dannosa per la Chiesa di Dio.
Solennità dell’Immacolata 2020 Giuseppe Riggio
- Accedi o registrati per inserire commenti.
- letto 1508 volte
Commenti
Angelo Sciortino -
Andare in chiesa e non comportarsi fuori da cristiani
Caro Pino, grazie per la citazione, ma soprattutto grazie per avermi richiamato in mente una risposta, inventata e polemica, di Gesù, che così rispose a chi gli chiedeva se non fosse preoccupato dei tanti credenti, che non andavano in Chiesa: "Mi preoccupo di più di quelli che ci vanno, ma fuori non si comportano da cristiani."