Altri ricordi della Cefalù che fu

Ritratto di Angelo Sciortino

10 Gennaio 2020, 14:33 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Continuano i miei ricordi della Cefalù degli anni '50.

Da bambino avevo un'abitudine, che oggi non ho più, avendo preso purtroppo consapevolezza che la mia curiosità nasceva dalla mia ignoranza del dolore, ma anche dal mio rifiuto di considerare che la vita, specialmente quella delle persone conosciute, potesse avere una fine, per cui non avrei potuto vederli più. Così, mi accadeva spesso, quando moriva qualcuna di queste persone, di andare in tutta fretta in casa del morto, per restarmene anche qualche ora a guardare la salma, quasi incredulo che essa fosse senza vita. Incredulo, al punto di avere l'impressione che respirasse o che le sue palpebre stessero per aprirsi.

Oggi sono troppi i funerali di persone a me care e mi consola soltanto il fatto che forse c'è un altro mondo, dove potrò raggiungerli, per restarmene in loro compagnia. Allora, però, non avevo questa consolante fantasia e mi abbandonavo alla tristezza, rifiutando perciò che la morte esistesse veramente.

Tutti indistintamente i funerali, prima di proseguire per il cimitero, facevano tappa per l'ultimo saluto, sotto la casa che abitavo in via Umberto I. Era giocoforza che ne vedessi tanti. Mi colpiva, soprattutto, la presenza di numerosi orfanelli, costretti a parteciparvi in cambio dell'offerta ricevuta dal loro collegio. Già allora e ancor più oggi consideravo quella partecipazione una barbarie: quei bambini della mia età costretti, con i loro visini tristi e con fiori nelle mani, a partecipare a un funerale!

Allora non c'erano ancora le automobili mortuarie e la cassa con la salma veniva trasportata con una carrozza trainata da due cavalli, guidati da Sebastiano Maranto, elegante e impettito e così diverso dalle altre occasioni, in cui mi accadeva d'incrociarlo per le strade fuori da questo suo triste impegno.

E a proposito di carrozze tirate da cavalli, ricordo almeno due carretti adibiti al trasporto delle merci. Ricordo pure i loro proprietari: Barranco e Ilardo. Quest'ultimo aveva la stalla attaccata alla casa dove abitavo io e questo mi permetteva di andare spesso a trovarlo, per parlargli, ma soprattutto per prendere dimestichezza con il suo mulo e per imparare a riconoscere i cosiddetti “armigi”, necessari per attaccare il carretto al mulo. Ecco allora “u sidduni”, una specie di piccolo basto, dal quale pendevano due ferri a uncino per attaccarvi le stanghe del carretto; poi “u pitturali” con due lunghe strisce di cuoio da attaccare al carretto perché potesse essere tirato dal mulo; infine, visto che il povero mulo avrebbe dovuto trattenere il carretto nelle discese, “a curiera” alla quale era attaccato “u sidduni”.

Con Ilardo ebbi raccontato un episodio della II Guerra Mondiale. Era stato richiamato alle armi, per raggiungere l'Armata italiana in Russia. Sapeva che quella era una destinazione forse senza speranza, per cui si iniettò una o più siringhe di petrolio in una gamba, costringendo i medici dell'ospedale militare a prorogare di qualche mese la sua partenza. La necessità di soldati sul fronte russo continuava però a persistere e il giovane Ilardo chiese aiuto a mio nonno, che lo fece nascondere nella sua campagna a pochi chilometri da Cefalù. Egli riuscì così a evitare la campagna di Russia e conservava ancora grande gratitudine a mio nonno. Figuratevi il mio orgoglio di bambino! Mi sembrava di essere stato io a salvarlo!

Accadeva pure che ogni tanto venisse qualcuno da Palermo o da altri comuni e che passasse l'intera giornata nella traversa di via Umberto accanto alla stalla di Ilardo per aggiustare gli “armigi” dei carrettieri di Cefalù e altri finimenti di tutti coloro che avevano come unico mezzo di locomozione cavalli, muli e asini. Mi piaceva tanto assistere ai lavori e mi divertivo ad ascoltare i loro racconti, per cui in queste occasioni dimenticavo persino l'ora di pranzo, costringendo mia madre o mia nonna a mandare qualcuno per chiedermi di tornare a casa, perché la pasta era in tavola.

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