13 Dicembre 2019, 14:43 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Bravi. Coraggiosi. Determinati. Gli Avvocati – la A maiuscola se la meritano ampiamente – del Consiglio dell’Ordine di Palermo hanno fatto ciò che doveva essere fatto da molto tempo. Dopo la ciclopica gaffe del ministro Alfonso Bonafede, che ha dimostrato di non conoscere la differenza tra reato doloso e colposo, hanno alzato la testa; hanno difeso la dignità dell’avvocatura italiana, vilipesa dalla improntitudine di un ministro inetto; hanno detto con chiarezza la verità. Ma, soprattutto, hanno istituzionalizzato uno scontro ormai inevitabile.
Ora, vediamo chi la spunta. Vediamo se esiste qualcuno che se la senta di confutare l’inconfutabile e difendere l’indifendibile. Ora, o Bonafede se ne va e toglie il disturbo, o prende atto di una delegittimazione condivisa anche nelle sedi nelle quali, solitamente, albergano riserbo e moderazione e ne trae le conclusioni. A nessuno venga in mente di soccorrerlo: non se lo merita.
Il peggiore tra i ministri della storia repubblicana deve andarsene per manifesta incapacità e per eccesso di livore giustizialista. Non conosce l’elemento soggettivo del reato, ma è perfettamente in grado di strumentalizzare le sciocchezze che dice per distruggere la civiltà giuridica del Paese. A Palermo hanno capito che la soglia del tollerabile è superata.
Bene: togliamo ad Alfonso Bonafede la tribuna privilegiata che usa per propagandare le sue corbellerie. Liberiamoci di un ministro che parla a vanvera. Noi staremo meglio. Lui, forse, avrà tempo per riflettere, pentirsi e chiedere scusa all’avvocatura per averla così malamente rappresentata.
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Commenti
Salvatore Di Majo -
Statura culturale dei nostri politici
Angelo Sciortino -
Statura culturale dei politici
A onor del vero, il travisamento della prescrizione non appartiene però solo al sostrato culturale dei cinque stelle. Pochi anni prima il ministro Orlando del PD aveva già messo mano alla riforma della prescrizione, allungandone i tempi in secondo grado nel caso in cui il primo si fosse concluso con la condanna dell'imputato. Lo spirito di allora era molto diverso da quello di ora: là si trattava 'solo' di ritenere la prescrizione una scappatoia per i rei, qui di ritenere la giustizia un castigo perenne. Già da quella riforma, tuttavia, abbiamo iniziato a perdere il senso e il valore della prescrizione come caposaldo della certezza del diritto, come pilastro della giustizia intesa come bilanciamento (bilancia, appunto, e non ramazza) tra esigenze punitive, capacità ricostruttive dei fatti e obiettivi sociali, e non come pungolo per accelerare i processi o come arma per sottrarsene. Da quella a questa degenerazione il passo è lungo, ma il percorso è lo stesso, ed è un percorso che allontana l'ordinamento giuridico italiano dai suoi fondamenti liberal-democratici.