10 Aprile 2016, 09:43 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |
"LA LIBELLULA"
- solo per gli iniziati -
"facilis descensus averno" (Virgilio, Eneide)
Prologo, Proemio, Premessa, Prefazione, Preambolo, Introduzione, Esordio, Ouverture.
(e chi ne ha, più ne metta. Scegliete Voi quello che più vi aggrada!)
Prendendo le mosse dalla conosciuta citazione virgiliana sopra riportata, mi si consenta una breve riflessione paràdigmatica di puro stampo letterario.
È facile discendere nei bui recessi del profondo lago (qui si configura l'Ade, omerica oscura sfera fisica e misteriosa, regno dei trapassati, accessibile, secondo gli antichi, solo per vie impervie e pericolose) pieno di esalazioni mefitiche, ubicato presso Cuma nella Campania, nelle cui vicinanze la leggenda vuole esservi il bosco di Ecate dentro il quale pare si apra la bocca dell'orribile antro, covo della rinomata Sibilla Cumana: l'entrata all'Averno.
L'Averno (parafrasando): "... terra inesplorata dai cui lidi mai nessun viaggiatore fece ritorno..." (Shakespeare, Amleto).
Per chi vi si immergesse, difficile, se non addirittura impossibile, sarebbe poterne risalire la china.
Inoltrandoci nella metafora potrei formulare una ipotetica esplicativa equazione: l'Averno sta all'Inferno, come quest'ultimo sta al Peccato. Le tre entità, Averno-Inferno-Peccato, in ultima analisi si equivalgono perché l'immagine dell'Inferno è indiscutibilmente correlata a quella della Colpa, che rappresenta il riferimento più diretto al peccato.
Per transitività, riassumendo, quindi: è facile incorrere in quest'ultimo e difficile è uscirne, riscattarsene, affrancarsene.
La nera caligine del peccato! Brrrr!
Però, ammettiamolo pure: dall'esegesi del condannabile emana un indiscutibile aroma attrattivo.
Dal che ne viene (e mi si smentisca se si può!) che è più agevole cadere miseramente nel perfido vizio, essenza della colpa, che onorevolmente assurgere alla casta adamantina solare virtù.
Posto tale assioma, diciamocelo francamente (non voglio, comunque, minimamente tentarne una qualche apologìa): il concetto del peccato è alquanto aleatorio; c'é peccato e peccato e spesso quello che una volta lo era oggi non lo è più!
Ciò viene provato dalle continue storiche variazioni del pensiero alla luce degli immancabili mutamenti dei costumi in una umanità indirizzata verso un incessante sviluppo culturale.
Infatti, a seconda del punto di vista da cui lo si consideri, cioè, il peccato può essere tale e può anche non esserlo; può rappresentare l'espressione irreversibile di una negatività immanente, ma può anche scaturire da uno stato di fisiologica necessità o da una imprescindibile sviatura, da un ottundimento dei freni inibitori, elementi tutti, questi, che tarpano le ali alla più retta individuale coscienza facendo apparire razionale l'irrazionale, lecito l'illecito, redento l'irredento e così via. Giano bifronte! E potrei anche continuare su questa contestabile falsariga se ne richiedesse il caso.
Inoltre, per addurre qualche banale esempio (e qui ci si vuole riferire, comunque, non al concetto del peccato in generale condizionato dalla sua genesi primordiale, né inteso nella sua veridica basilare natura, bensì esclusivamente a quello definito veniale, leggero, comprensibile, correntemente giustificabile; perché veniale, con le prerogative che gli ho concesso or ora, ritengo sia quello attribuibile alla vicenda che nel prosieguo occuperà queste informali righe), dirò che una volta c'erano i libri posti all'indice e chi li leggeva commetteva peccato, mentre oggi, invece, la posizione è completamente ribaltata e tutti i testi possono essere liberamente letti senza tema di incorrere in discutibili infrazioni morali.
Pertanto, come ho già accennato prima, spesso non è più peccato quello che una volta lo era.
I tempi cambiano e la mentalità con essi. Le metamorfosi morali sono all'ordine del giorno!
E, ancora: senza ingredire nell'autoritarismo si può ben vietare qualcosa a qualcuno quando si tenda ad un fine benefico (quindi, ciò che di primo acchito può sembrare negativo, inumano, pretestuoso, si rivela, di contro, comportamento altamente salutifero); e, infine: potendolo, si può, in determinati specifici casi, non aiutare il prossimo che ha bisogno di soccorso se tale apparente indifferenza può indurre quest'ultimo a far da sé, a togliersi personalmente dal contingente, cavandosela da solo, conseguendo in tal modo una sua maggiore crescita.
Così come amorale può configurarsi un comportamento contrario a statuiti principi convenzionali, disattendendo la concezione che la personalità della monade si basa principalmente sui requisiti della sua fisicità.
Sono peccati, codesti? Certamente no. Eppure lo potrebbero sembrare; mentre problematiche, invece, a mio personalissimo vedere, appaiono le imprescindibili regole che coartano e debilitano la consistenza fisica di tutti i viventi (eterna spada di Damocle!), vessandola e martirizzandola; strali che promanano dalla caduca materia di cui siamo forgiati e imputabili alla discutibile bontà della creazione, ove vi sia stata, che per natural retaggio ci vuole il più delle volte sofferenti in itinere e tutti estinti ad un certo tempo ("... Valle di lacrime..." viene definito, infatti, il nostro pianeta sul quale si dispiega il temporal soggiorno umano; soggiorno stigmatizzato dagli immortali versi foscoliani de I Sepolcri: "... e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo...").
Calzante radiografia dell'esistenziale provvisorietà di tutte le cose!
La crudeltà di tale destino sta, appunto, nel fare affezionare l'essere umano a se stesso, alle persone che gli stanno intorno ed a ciò che è riuscito a produrre col suo copioso sudore e poi, non lesinandogli la sofferenza, togliergli il tutto senza alcuna pietà.
Sono soltanto la ragione, la coscienza e l'esperienza, comunque, che ci indirizzano ad un sano inattaccabile luminoso orizzonte di pensiero e d'azione e che ci riscattano durante il nostro fortunoso cammino facendoci accettare, obtorto collo, l'irreversibile incombente fato.
Tuttavia, cosa c'entra quanto ho detto con quanto dirò? Sicuramente niente o men che niente!
E a che pro averlo detto allora, così, senza apparente nesso e senza opportunità di dirlo?
Avrò trattato del peccato, oggi, forse per lenire la singolarità del criticabile assunto che mi accingo scritturalmente a dispiegare più avanti? Mah!
Ma poi, perché definire criticabile e condannare un comportamento atavico che rispecchia una particolare condizione umana? Uno stato di fatto? Una necessità fisiologica? Un atteggiamento per tradizione ostico?
I rapporti fra i sessi, intendo, che il perbenismo vuole demonizzare.
A tal proposito, non misconosciamo la celebre frase di biblica ricordanza che recita "... qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat..." (...chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra...) o, quell'altra, frutto della stessa matrice, "... nolite iudicare, ut non iudicemini..." (... non giudicate, per non essere giudicati...).
E poi, sia chiaro: a scanso di equivoci o di false interpretazioni moralistiche vorrei ben precisare che non sto mettendo il carro innanzi ai buoi, come si dice, per difendere la mia sviluppanda prosa! Il noto adagio che sancisce "... excusatio non petita accusatio manifesta..." (...la scusa non richiesta è un'accusa manifesta...) qui non ha motivo di allignare; e neanche voglio dar le viste di porre le mani avanti per anticipare una qualche sapida scusa, per difendere il prosieguo, insomma, perché non sono affatto il tipo che si cela dietro un dito, ecco. E ancora, ripeto, scusarmi di che o perché? Per le vicende più o meno positive della vita su cui mi trovo a dissertare? E che, l'ho fatta io la vita? Ho calcolato, io, i pro ed i contro della stessa? Ho creato, io, il bene e il male? Le miserie morali e materiali? L'infermità e la salute? La ricchezza e la povertà? L'ambiente in cui, si voglia o no, vige la cruda legge dell'homo homini lupus o di altre situazioni più o meno pruriginose?!
Pensate un po': da che mondo è mondo l'andazzo è andato sempre così! Nessuno l'ha potuto cambiare! Neppure i Papi! Ci si ricordi del Borgia!
E allora!
Eppure non bisogna dimenticare che tutto ha un nesso nella vita; così il mio precedente dire potrà trovare un plausibile accordo con il successivo. Ogni cosa si concatena ad un altra e quest'ultima fà parte della prima. Il parmenideo "essente" si propone ed è concepibile solo nella dibattuta misura in cui si confronti col suo storico antagonista col quale rimane sempre in antitesi : il "non essente"; così come il nietzscheiano "nus" confluisce nel cosmico ancestrale movimento dell'universo di cui è simbolico fattore o nell'osservazione di eraclitiana provenienza che acclara che tutto scorre, si modifica e si rinnova.
A ben considerare, l'intera esistenza tende alla catarsi.
Ma lasciando stare Parmenide, Eraclito, Anassagora, Nietzsche, Confucio e quant'altri, nominati o meno, che, ribadisco, con questa mia imminente spregiudicata chiosa non hanno niente a che spartire (... si parva licet componere magnis... - Virgilio, Georgiche - se è lecito accostare le cose piccole alle grandi) e che, forse, sono stati citati come baluardo di difesa a cui appigliarmi nel caso urgesse (estrema ratio) o per sciorinare inutile prolissa dottrina (polvere negli occhi) ed introducendo qualche argomento più adatto e pertinente (saltando, quindi, di palo in frasca), evidenzio che l'avere molti amici è sinonimo di grandissima egoistica utilità. E ciò perché si vive anche dell'apporto dell'esperienza altrui. Ed affinché l'iter prescelto ed adottato si esplichi nel modo e nella sua natura migliore e sia produttivo, quindi, di sani apprezzabili risultati, appare di enorme importanza saperseli scegliere con oculatezza e riflessione e, naturalmente, all'occorrenza, saper attingere al loro vissuto con oculati parsimonia e tatto, così come spero di stare, io, facendo adesso.
Uno di questi amici, dunque, più conoscente che sodale, un certo Aristide, romano di nascita ma cefalutano di adozione, fanfarone quant'altri mai, che per l'inveterata sua professione di animatore turistico esercitata in villaggi-vacanze e svariati luoghi ricreativi (centri-benessere e di massaggi, soprattutto) vive un po' qua ed un po' là ed oggi si trova a Mantova e domani a Copenaghen e così via, mi ha recentemente messo a giorno (vantandosene a due palmenti) di una sua avventura, risibile o meno, che lascia il tempo che trova oppure no e che, dati i suoi particolari risvolti psicologici e per non toglierle l'originalità del sapore picaresco di cui è permeata, io vi riporto in prima persona (forma da me già utilizzata altrove con qualche immeritato successo) così come mi è stata riferita, con la sola differenza di variarne luoghi e nomi.
Che, poi, tale narranda vicenda sia realmente avvenuta o che la stessa sia un (felice od infelice?) parto dell'estrema fantasia autogloriante del detto mio conoscente, novello Carneade alla ribalta cittadina, be', questo è un rebus tutto da interpretare e ciascuno che abbia a leggere queste righe e che non sia carente di senno, coscienza e scienza, comprensione e fantasia, ne valuti da sé.
Io, per me, comunque, atteso il vigore con cui il fatto mi è stato profferto e non sapendo a che partito appigliarmi, mi tengo prudentemente in bilico, sul filo del rasoio, per usare una frase fatta ed a portata di mano e, uniformandomi a Pilato, non propendo né per il sì, né per il no; o, per dirla col Parmenide, né per "l'essente" e neanche per il "non essente".
In medio stat virtus! Non vi pare?
Tornando all'accaduto, adunque, mi limito a riferire ciò che mi è stato ampiamente narrato con dovizia di pruriginosi particolari da me in questa sede avvedutamente in parte sottaciuti o mondati.
In buona sostanza: relata refero.
Atto unico
"Una giornata qualsiasi, come tante altre, all'inizio della scorsa estate.
Di ritorno da una solitaria passeggiata pomeridiana sul lungomare (per digerire, sosterrebbero i salutisti).
All'ingresso dell'abitato, appoggiati all'ultimo parapetto prospiciente il mare e, comunque, vicino la strada, una giovane coppia staziona in atteggiamento affettuoso.
Imprevedibilmente il "lui" mi interpella al passaggio.
- Scusi... - e sorride - non è bella la mia ragazza? -
Stranito dalla inusualità della domanda, mi fermo a considerare i due.
Lui può avere si e no 25 anni e mostra una fisionomia e un fisico insignificanti; lei ha qualche anno di meno ed è molto ben formata. Il suo sguardo è capzioso e i suoi capelli sono lunghi e neri. Si vede bene che è una ragazza dell'Est. Indossa un paio di jeans molto attillati che le modellano il corpo e una camicia viola di seta negligentemente annodata sull'ombelico, scoperto, su cui fà bella mostra di sé un piercing argenteo.
- ... Sì... è molto attraente... - convengo - Se me lo consenti, è anche molto sexy... -
- E non l'ha vista di profilo! - si anima lui - Helenya... - chiama, poi, rivolgendosi alla fanciulla - ... girati, per favore e fà vedere al signore quanto sei bella! - e, sospingendola con una certa determinazione la posiziona facendola girare di lato.
La ragazza lo lascia fare, sorridendo; tiene gli occhi leggermente rivolti verso il basso con un atteggiamento tra il vergognoso ed il pudico.
Effettivamente, in tale positura laterale, con i seni che svettano proponendosi imperiosi ed il fondo schiena che accentua la sua prominenza per l'aderenza dei pantaloni, il fisico della donna acquista ancora di più in avvenenza. La sinuosità delle sue forme, evidenziate dall'ostentata mise che la ricopre, appare molto più slanciata e coinvolgente.
- Perbacco, sì! - ammetto - è davvero una bella ragazza, la tua Helenya! -
- E, secondo lei - continua imprevedibilmente il "lui" - che dono potrebbe meritare una simile femmina? -
Lo osservo stralunato. Helenya sorride sempre ed evita di guardare verso di me.
- ... Come... che dono?... Che intendi dire?... - biascico.
- Mi ha capito benissimo! - continua imperterrito lui - Non caschi dalle nuvole e non faccia lo gnorri! Siamo tutti vaccinati, qui, no? E, allora? -
- Che vuoi che ti dica? Dillo tu! - sbotto lì, insofferente di mostrarmi imbarazzato.
- Per me non vale meno di un milione... - continua il giovanotto - ma, se vuole, per cinquanta euro è sua... -
Deciso e sfacciato! Così, senza troppi preamboli, è entrato nel discorso ed ha fatto la sua spudorata richiesta: abominevole modo che oggettivizza la donna coartando il comune senso della morale! Un imberbe lenone, certamente, un pappa, un protettore o compagno che sia o in qualsiasi altro modo possa definirsi un depravato simile. Offrire la propria donna in maniera così palese e cruda!
Non mi stupisco più. Da quando la Merlin nel '58, ha sfornato la famosa legge che ha castigato il vigore giovanile degli italiani, il bordello ha lasciato le case e si è trasferito all'esterno, su strade, macchine e abitazioni private, sicuramente favorendo aberranti episodi di gratuita violenza.
Non capisco, però, perché costui si sia rivolto a me che non ho più cinquant'anni.
- Ma che scherzo è questo?... - cerco di approfondire.
- Non è affatto uno scherzo! - conferma il bell'imbusto - È soltanto una semplice proposta che si può accettare oppure no. Tutto qui. Scelga lei! Se le va, va bene; diversamente, distinti saluti e ognuno per la sua strada! -
Lei, Helenya, intanto, non smette di sorridere; un po' impacciata, forse, pure.
- ... E che ne pensa il soggetto dello scambio?... - azzardo io, tentando un'ultima ipocrita melliflua resistenza - ... Credo che dovrebbe pur dire la sua, no?... -
- Rispondi, Helenya - fà lui - Sei tu l'interpellata -
Lei finalmente rivolge gli occhi verso di me e mi regala uno sguardo vellutato. Fissandomi parla con marcato accento straniero, tipico del suo paese d'origine, per quanto in perfetto italiano.
- ... Se lei ci sta... -
- ... E dove... in macchina?... - mi trovo a chiedere, oppresso, però, da una frenesìa che comincia ad attanagliarmi la gola.
- Ho un posto tranquillo dove potete andare - suggerisce lui - È qui a due passi. Se vuole seguirmi... -
Il miniappartamento ha un balcone che dà sul mare. È piccolo, si, ma comodo. Si trova a piano terra e vi si accede direttamente dalla strada.
Helenya mi pilota nel soggiorno, sempre col suo immancabile mezzo sorriso che le schiude le labbra.
Lui è rimasto fuori. Ha detto che tornerà a farsi sentire fra qualche ora.
Helenya mi si rivolge.
- ... E allora... - fiata - ... che facciamo?... -
La guardo, ma non proferisco verbo; c'è qualcosa che mi chiude la gola: un groppo! E allora lei prende l'iniziativa. Mi agguanta per un braccio e mi sospinge nella stanza accanto, quella da letto. Apre un armadio a muro e mi mostra, disposti in bell'ordine sulle grucce, capi di indumenti femminili dalle più svariate forme e colori e, sul fondo, un non disprezzabile armamentario di biancheria intima.
- Hai delle preferenze particolari? - mi chiede, passando con estrema naturalezza dal "lei" al "tu".
La guardo fissamente senza risponderle.
- Vuoi una mise classica... - continua Helenya - ... calze nere, reggicalze e corpetto o baby-doll nero, corto, sui glutei, reggipetto a balconcino e tacchi a spillo o sei per il moderno e mi preferisci nuda? Dimmi quello che vuoi e l'avrai... -
- ... Lasciami il piacere della sorpresa... - blatero.
- ... E allora, aspettami - fà lei. E, con decisione, riprendendomi per il braccio, mi mette alla porta e richiude.
Il soggiorno è spazioso. Mi avvicino al balcone che dà sul mare e mi vi affaccio. Osservo la grande distesa luccicante che sul fondo si confonde col cielo nel meriggio assolato. Siamo ad Aprile e sulla spiaggia c'è gente che già fà il bagno come se fosse Agosto.
Non sono trascorsi dieci minuti ed Helenya ricompare nella stanza. Ha optato per il classico. Le calze, le lunghe calze nere a reticella le fasciano le tornite cosce rendendo la visione più attraente e sconvolgente. La cortissima sottana, come lei aveva descritto, le lascia scoperti i glutei nel solco dei quali s'affonda un'esigua cordicella nera, fatiscente chiglia di un impalpabile tanga. Il seno, sorretto da un inconsistente bustino di piccola taglia, nero come il carbone, è lasciato nudo a metà e mostra i capezzoli rosei al vento, cuspidi esaltanti la sua femminilità svettanti verso il cielo, certamente inneggianti ad un paradiso cosmico a portata di mano o allo stesso tempo irraggiungibile e le sue rosse e carnose labbra sono schiuse da un sorriso più pronunciato, complice e d'intesa.
Sfrontatamente ella avanza verso di me con passo felpato polarizzando il suo sguardo sul mio, si siede su una poltrona ed accavalla le gambe con movimento molto civettuolo, rimanendo in una posizione lievemente piegata su un fianco.
Mi lascio cadere su una sedia dirimpettaia e la osservo con attenzione non scevra da un malcelato crescente desiderio.
- Perché lo fai?... - le chiedo concitato.
- Tu mi paghi, no? - s'informa la fanciulla.
- ... Si, certo che ti pago... Lo fai solo per questo?... Non per piacere?... -
La ragazza fissa il vuoto e parla come seguendo un suo discorso interiore.
- Mi piace?... Intendi prostituirmi?... Non me l'ha chiesto mai nessuno, questo... Ma che importanza ha?... -
- Una enorme importanza che potrebbe in parte giustificare la tua evidente disponibilità... -
- Dici? ... Non so se mi piace... Forse si, forse no... Lo faccio e basta, ecco tutto! Lo debbo fare... Filippo, il mio ragazzo, se non lo faccio mi lascia e io lo amo. Dice che è molto sexy concedermi agli altri... Dopo io gli racconto tutti i particolari e lui mi prende con più foga... è più focoso... io lo amo... sono rimasta qui per lui... Ho abbandonato la mia famiglia per lui... la mia patria... i miei amici... Vengo da Budapest... -
- Parli molto bene l'italiano... -
- Sono tre anni che ormai sto qua... Ero venuta per un impiego, che non c'é stato, per mantenermi agli studi... Studio lettere italiane all'università... Così ho incontrato Filippo... -
- Il tuo ragazzo dice che è molto sexy che tu faccia ciò... ma ti paghi... -
- Si, mi pago... è più erotico... Fà parte del gioco... -
- E i soldi li dai a lui o te li tieni tu?... -
- Li dò a lui... stiamo assieme... -
- E lo fai spesso?... -
- Cosa? -
- Questo che stai per fare con me? -
- ... Una... due volte alla settimana... Filippo vorrebbe che io lo facessi... tutti i giorni... Dice che sono più femmina... Ma tante volte io non me la sento... -
- E non provi il bisogno di una vita normale, di rivedere la tua famiglia, i tuoi amici, il tuo ambiente?... -
- Certo che sì, mi piacerebbe... Ma non posso tornare a Budapest... Non posso lasciare Filippo... sono certa che non mi amerebbe più e mi tradirebbe con un'altra... Io lo amo e faccio per lui tutto ciò che mi chiede... E poi lui non mi permetterebbe mai di partire... Anche lui mi ama e non può stare senza di me nemmeno per un giorno... -
- Ma che tipo di amore è questo? Ti ama e ti cede al primo incontrato, giovane o vecchio che sia, bello o brutto... Non pensi che questo possa essere il suo modo di tirare a campare facendo prostituire te?... -
- No, non lo penso affatto... C'é molta complicità fra noi... molta complicità... -
- Sarà, ma non lo capisco... Che vita è questa che fai?... Che coppia siete, insomma?... -
- ... Siamo quello che siamo... Siamo quella che si definisce una coppia aperta... -
- Aperta! Bella concezione: una coppia aperta! Non che io sia un moralista, tutt'altro. Ma che futuro potrete avere mai, tu e il tuo compagno, vivendo in questa maniera?... -
- Perché che futuro hanno le coppie regolari? Si conoscono, si sposano, hanno dei figli e nella stragrande maggioranza dei casi litigano continuamente e poi spesso si lasciano. Conducono una vita programmata, scandita dai bisogni e dai desideri repressi, seguono un cliché percorso per secoli dove non interviene mai nulla di eclatante, nessun diversivo a vivacizzare un menage che prima o poi, nel novanta per cento dei casi, porta inevitabilmente alla rottura, se non pubblica, almeno di fatto. Responsabilità e solita routine! E questo che col tuo perbenismo tu mi proponi e mi porti ad esempio? E questa la vita che si dovrebbe vivere?... -
- Mentre voi?... -
- Mentre noi, perlomeno, viviamo. Sì, è vero, viviamo all'avventura, fuori dai canoni usuali. Non c'é niente di preordinato nella nostra vita ed ogni nostro giorno è sempre diverso dal precedente. Io sono entusiasta di vivere così, alla giornata, seguendo la regola del carpe diem, per dirla con Orazio e con gli epicurei. Si vive certamente meglio, io ne sono convinta e si ha più interesse per quello che si fà e a mantenere un rapporto -
- ... Vedo che conosci anche Orazio ed Epicuro... -
- Li ho studiati all'università... -
- Peccato, però, che una ragazza così come te faccia quello che fai... -
- I casi della vita... il destino... l'amore... l'interesse... -
- Dal che ne viene, dunque, che ciò che fai lo fai indiscutibilmente volentieri e con piacere, malgrado poco fa tu abbia detto che non sai se ti piaccia o meno quello che fai... -
- Proprio così: volentieri e con piacere... Il fatto è che a volte sono confusa e non so quello che dico!... Per quanto conosca bene l'italiano, a volte il significato di certi concetti mi sfugge... -
- E lui, quindi, è contento? -
- Proprio così: è contento! E, soprattutto, è lui a volere che io faccia ciò che faccio... Credimi, non potremmo desiderare una vita migliore... Non abbiamo responsabilità di figli che non abbiamo, né siamo vincolati da niente e da nessuno. In poche parole: siamo liberi e felici, per quanto si possa esserlo! -
Pur trovandomi in una situazione allettante mi sento esterrefatto. Non avrei mai creduto che in una ragazza sui vent'anni così ben fatta e colta avesse potuto allignare un simile modo di pensare.
Lei, intanto, Helenya, prendendo lo spunto dalla mia palese indecisione, si alza e mi si avvicina invitante, ancheggiando ad arte lievemente. S'inginocchia dianzi a me e mi prende le mani vogliosa.
- Ma sei venuto qui per tentare di portarmi su quella che tu ritieni la retta via o per altro? Dimmi la verità, ti piaccio o non ti piaccio?... -
- Di piacermi mi piaci... ma... -
- Ma? -
- ... Ma guardando alla tua giovinezza... ti vedo come un padre possa vedere la figlia... e questo mi turba... mi disorienta... mi blocca... -
- Savie parole. Ma io non sono tua figlia, né tantomeno una fuorviata, almeno dal mio punto di vista. Sono una donna che vuol vivere e che ama la vita e i piaceri che essa può dare. Inoltre sono più che maggiorenne e so quello che faccio e che voglio fare. Le tue perplessità, quindi, sono completamente fuori luogo. Non ti pare?... -
Ragionamento da puttana! Non posso pensare ad altro.
Quand'é così, non vedo perché io debba ancora continuare a fare il buon samaritano. Fugo i miei dubbi e le mie prevenzioni, tanto non credo che io possa essere folgorato sulla via di Damasco, come lo fu il buon Paolo, per ripensamenti o rimorsi che dovessero sopravvenire.
Quando più tardi, varcato onorevolmente il Rubicone, il suo Filippo ricompare, noi stiamo comodamente seduti, perfettamente ricomposti, dinanzi ad un generoso bicchiere di whisky.
È a lui che io consegno i fatidici cinquanta euro contrattati; e così la partita doppia onorevolmente si conclude.
Andandomene, tuttavia, non posso fare a meno di notare lo sguardo infuocato di desiderio che Filippo lancia alla sua compagna e che questa gli restituisce con pari intensità; e sono certo che, chiusa la porta alle mie spalle, Helenya sosterrà un altro stressante certame amoroso.
E questa volta completamente gratis."
Sic dixit et tacuit.
Apile 2016.
Giuseppe Maggiore
- Accedi o registrati per inserire commenti.
- letto 3587 volte
Commenti
Enzo Rosso -
la fiaccola sotto il moggio
A parte il sapido racconto della "Libellula", devo dire che l'introduzione del Maestro Pippo Maggiore è una vera e propria "lectio magistralis" filosofica sul peccato, degna di Umberto Eco, sia per la forma forbita che per il contenuto davvero pregnante. Complimenti, Maestro!
Giuseppe Maggiore -
All'Amico Rosso
"...Sempre Grazie a quegli amici
che, le pecche mie ignorando,
mi tributano consensi
il mio spirito lodando...".
Giuseppe Maggiore -
All'Amico Rosso (n. 2)
Riscrivo la mia precedente quartina resa a commento, variandone la rigatura, perché, non so come, forse per una volontà esoterica o metapsichica che mi sfugge, nel trasmetterla il computer, sua sponte, ha accorpato pronomi ed articoli in modo anomalo, scombinando le rime.
Mai fidarsi dei computers!
"...Sempre grazie a quegli Amici / che le pecche mie ignorando / mi tributano consensi / il mio spirito lodando..."