Cinema Doc a Cefalù

Ritratto di Giuseppe Maggiore

22 Gennaio 2015, 15:55 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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CINEMA DOC a CEFALU'
17 Gennaio 2015, ore 15.

 

Al Cinema Di Francesca, sacrario carismatico cefaludese della settima arte, si è svolta la proiezione di 5 cortometraggi di autori indipendenti.

C'é stato qualcuno, che, bontà sua, mi ha chiesto che, a proiezioni concluse, fornissi il mio illuminato (per lui!) pensiero sui documentari in discorso.

E così, memore del detto che "...gli ultimi saranno i primi..." (per me ancora l'aforisma non si è rivelato attendibile), mi sono seduto all'ultimo posto della sala terrana del predetto locale cinematografico ("tam placidum quam ovem"- tranquillo come una pecora. Ma perché poi, scusate, le pecore sono ritenute così tranquille, tanto da far coniare un adagio? Appaiono placide, si, ma chissà quale tumulto scombina i loro cuori quando si sentono mungere le poppe o si vedono portate al macello) assieme all'amico Toti Coco ed ho visionato i 5 film in programma per la serata: dalle 15 alle 17,30, circa, comprese le prolusioni, iniziali e finali, degli organizzatori e degli autori.

A tal proposito è doveroso annotare, così come mi è stato dato di sapere da notizie attinte qua e là (e mi auguro di non aver preso abbagli scambiando fischi per fiaschi come a volte mi capita), che ad organizzare la rassegna di tali cortometraggi indipendenti, patrocinata dal Comune di Cefalù, sono stati Valentina Vincenzini e Fabio Culotta in collaborazione con il cinema Di Francesca e con l'Associazione Culturale Purple Road Picturers.

Il preciso intento espresso dagli organizzatori è stato quello di raccontare la nostra nazione al tempo della globalizzazione seguendo come filo conduttore il rapporto Italia-estero con particolare riferimento agli Stati Uniti d'America e trattando argomenti di grande attualità, quali l'immigrazione, la crisi economica e la questione delle armi in USA.

Bé, i presupposti per fare dei buoni film, seppure "cortometraggi", con tali indicazioni di massima mi pare ci siano tutti.

Intanto è da premettere che, avendo visionato i cinque video in unicum, uno dietro l'altro, non mi è affatto facile trarne una valutazione decisamente obiettiva per poterne disquisire con una certa avvedutezza; sarebbe più opportuno, volendo tentare un giudizio più equanime, rivederli analiticamente, assaporarli ed individuarne, ove vi siano, pregi e difetti. Inoltre, avendo visionato solo questi film di questi autori, non posso, di costoro, tracciare un profilo approfondito che ne identifichi la poetica.

Posto ciò, mi fiondo spartanamente nella considerazione delle opere.

Dumbo e Maggie si divertono su un terrazzo, in una zona alquanto desolata di una non meglio identificata città americana; Maggie danza al suono di un ballabile trasmesso da una radiolina in mezzo a svolazzanti lenzuola bianche stese ad asciugare, mentre Dumbo giuoca con delle macchinette, facendole correre ed immedesimandosi nella gara, tanto da vederla noi in soggettiva con apprezzabili risultati di animazione. Ad un certo punto il bambino, cercando di recuperare una macchinetta caduta in un tombino, trova una pistola e, per gioco, comincia a sparare con essa un pò dovunque, ma, soprattutto, in direzione di due ragazzi che giù nella strada prendono a calci una palla.

Tre elementi di osservazione: il bambino, la fanciulla e i detti due ragazzi; combinazione felice per la dialettica di ben dosate inquadrature nell'economia del discorso filmico. Un trio, se vogliamo, interdipendente e ben articolato. Ciò che è trino è perfetto, si dice.

La sicura dinamicità della Mdp, che, con movimenti calibrati ed in simbiosi col dolly passa dalla gradevole panoramica iniziale eseguita a 360° alle successive meno ampie descrivendo l'ambiente, il montaggio duttile, energico, scattante e la buona fotografia (bello il contrasto fra il bianco delle lenzuola svolazzanti e il restante contesto) dànno contezza di una professionalità acquisita ed egregiamente impiegata.

Il titolo del corto è "SIX". L'autore è italiano, ma si presenta sotto uno pseudonimo: Frank Jerky. La tematica appare duplice: sembrerebbe voler porre l'accento sul problema della facilità con cui in America è possibile da parte di chicchessia avere un'arma e, nel contempo, evidenziare la disattenzione genitoriale nella quale spesso si trovano a vivere i bambini.

Trovo, qui, opportuno, riportare un motto di Plauto: "..proba merx facile emptorem reperit..." (la merce buona trova facilmente un compratore).

DISRUPTION è il secondo corto che viene trasmesso. Il suo autore, siciliano, di Modica, Giulio Poidomani, tratta di un disperato e cruento fatto di cronaca al quale si è ispirato.

Un fumettista, con moglie e figlio, in cerca di lavoro, è depresso e non molto considerato dalla consorte per non averlo trovato. Ciò che fà scattare in lui la pazzia è l'ennesimo rifiuto di un editore, che, non solo rigetta senza mezzi termini i suoi disegni spiattellandogli in viso la loro incongruità ed inadeguatezza, ma anche cogliendo con una fotografia l'espressione disperata del giovane con l'intento di impiegare l'immagine chissà in quale altro contesto. Tornato a casa e durante il pranzo, anche irriso dalla suocera per le sue non riuscite, il giovane, alterato, è preda di una crisi irreversibile e confonde il mondo ed i personaggi del suo fumetto con la vita reale; ed in tale allucinata psicosi perde la cognizione del tempo, dello spazio e della ragione e spara al figlio ed alla moglie, uccidendoli.

Anche qui l'arma è di scena; ma viene evidenziata soprattutto la sensibilità del personaggio; sensibilità che, vessata da continui insuccessi e da incomprensioni, può cambiare una mente ed indurla alla follia e all'omicidio. L'aspetto psicologico nel dramma è ben reso con primi piani proficuamente espressivi.

Francesco Malavasi è l'autore del terzo corto visionato: PEOPLE IN MOTION.

Una rivisitazione, questa, del problema dell'immigrazione considerato attraverso 4 interviste ad extracomunitari. Uno sguardo, insomma, a tale fenomeno.

Il documentario (tesi di laurea del Nostro presentata a The American University of Rome), fotografato in b. e n. e seppure intramezzato da alcune rapide inquadrature di ricercata efficacia filmica (quali la strada che percorriamo in carrellata in avanti in soggettiva dei personaggi con valido effetto di accelerazione o i dettagli di passi di deserto che vengono superati, efficaci elementi cinematografici che dànno contezza della fatica, dello stress e della sofferenza dei personaggi che si industriano nel tentativo di raggiungere la destinazione e, quindi, la sperata libertà), risulta carente, tuttavia, in sceneggiatura, di opportuni piani di complemento; avrebbe potuto, l'autore, per esempio, includere dei totali di barche colme di migranti che arrivano al porto, di P.P. dei loro visi disfatti dalla stanchezza e dalla paura, di F.I. di bambini in braccio alle proprie madri, di visi degli addetti portuali che li ricevono, di dettagli di mani protettrici che abbracciano i piccoli, ecc, per una maggiore connotazione del dramma umano che si dispiega.  In sostanza, ritengo, sarebbe stato più opportuno non limitare il documentario alla semplice alternanza dei P.P. o P.P.P. degli intervistati, seppure altamente espressivi ed ai loro tragici racconti, ma renderlo più coreografico e dinamico con qualche efficace ulteriore impinguamento esclusivamente visivo. Il film, come tutti sappiamo, è essenzialmente immagine più che parola. Piatta la fotografia e mediocre il montaggio.

E' ben vero, comunque, che dando una stessa sceneggiatura a 10 registi diversi si otterrebbero 10 film totalmente differenti l'uno dall'altro (e questo lo affermò il grande Sergej Michajlovic Ejzenstejn, che è quanto dire, nelle sue imprescindibili lezioni di regìa).

La quarta proiezione riguarda l'opera del cefaludese Alberto Francesco Culotta: il corto NO TRAIN, in rigoroso b.e n.

Due personaggi in campo che vengono casualmente a contatto, immersi in una scenografia asettica che descrive l'aspetto progressista di una città (se non ricordo male: palazzi, strutture, agglomerati, ecc.): un giovane barcollante un pò su di giri per aver sorbito della birra (forse perché dominato da qualche assillante problema o per astrarsi dal contesto di una realtà non accettata) ed un anziano barbone. Entrambi, quindi, vessati da una evidente pena latente, camminano lungo la ferrovia nell'aspettativa di un treno che dovrebbe decidere del loro destino. Il barbone dice al compagno che è capace di fermare il convoglio. Ma, alla fine, raggiunta una piccola stazione, il giovane si avvede da un ordine di servizio appeso al muro che, essendo quel giorno semifestivo, il treno non passerà. E così l'intuìto destino dei due, che doveva determinarsi con l'arrivo del treno, non ha seguito.

L'allungarsi dei binari che si perdono in lontananza mi riporta alla memoria certi dettagli del film Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann e gli squallidi scorci di greti di fiumi del primo Antonioni.

Cinema sperimentale (quello che in pittura potrebbe definirsi naif) che rivela, tuttavia, nell'autore la capacità di dibattere argomenti di indubbia valenza esistenziale: l'incomunicabilità e il rifiuto di una esistenza che disattende le legittime più riposte aspirazioni. Il ritmo lento che si amalgama col tempo reale, il tempo reale che pare non esistere, rivelano metafore di spiccata valenza psicologica e di un comportamento enigmatico che caratterizza il costume di una società intenta soltanto al conseguimento dei propri interessi e sorda alla comprensione delle altrui necessità e dei sentimenti individuali. Cinema-verità; Zavattini, De Sica, Rossellini insegnano.

Ultima presentazione. L'AMORE CORTO, di un'altra cefaludese: Valentina Vincenzini.

Una commedia romantica che racconta i sogni ed i problemi di una giovane coppia di italiani trasferitasi a New York. La storia d'amore fra i due protagonisti, Lorenzo e Giulia, dà l'abbrivo ad un sottile ironizzare su alcuni aspetti dell'odierna realtà. Infatti, l'irrequieta incertezza di un appagante futuro, o (per chi voglia tentare la carriera del cinema indipendente) la relativa facilità di realizzazione di un film nella forma del cortometraggio, inteso, quest'ultimo, come unica risorsa espressiva praticabile, o, ancora, il preferire vivere all'estero anziché nel proprio paese per una più congeniale personale realizzazione e il rapporto fra le aspettative e le reali possibilità di riuscita rappresentano le motivazioni cardine dell'immaginario giovanile.

Brillante la fattura e convincente la recitazione.

Da sinistra: Francesco Malavasi, Alberto Francesco Culotta, Valentina Vincenzini e Giulio Poidomani

 

Al termine delle proiezioni mi vien fatto di chiedermi, però, perché mai, pur essendo italiani gli autori, quasi tutti abbiano optato per dei titoli in inglese anziché nella nostra madre lingua. Forse per rendere il corto più appetibile ad un mercato più vasto o per globalizzare maggiormente il prodotto italiano?

Dal contrappunto tra la capacità esteriore fornita dalla tecnica e la forza interiore di cui sono permeate le tematiche, peculiarità che emergono con evidenza dai lavori presentati e che, in buona sostanza, si rifanno ad una riflessione sociologica sull'indole borghese, l'opera che nasce ha in nuce tutte le carte in regola, tutti i presupposti necessari per un suo conseguente sfociare nella fiction; e le immagini ed il montaggio che strutturano l'economia del racconto si impregnano di implicazioni che comprovano un certo carattere interdisciplinare degli autori, attenti critici verso l'odierna società.

Per dirla con Giovenale, "facit indignatio versum" (Lo sdegno fà poesia).

Sala piena e Sindaco Lapunzina (artium cultor) presente, da me intravisto a distanza, nella prima fila. Non so se vi fossero altri del quorum con lui.

 

Cefalù, Gennaio 2015.                                                                                                                                                        Giuseppe Maggiore

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A “Cefalù Cinema DOC” i cortometraggi di cinque registi italiani indipendenti – Quale Cefalù – 13 gennaio 2015 (https://www.qualecefalu.it/node/16031)

Commenti

In questi ultimi tempi Cefalù si è dimostrata ricca di fermenti artistici in tutti i campi: pittura, scultura, fotografia, danza, poesia, cinema. Molti talenti sono venuti fuori, talenti che prima erano nascosti e che tali sarebbero rimasti senza le varie manifestazioni che si sono succedute da qualche anno a questa parte. Ma un decisivo contributo alla divulgazione e alla fruizione delle opere di questi talenti è venuto dalla brillante penna del Maestro Pippo Maggiore, artista anche lui, versato in molte arti: musica, fotografia, letteratura, cinema. Le sue recensioni hanno tutte un punto in comune: lasciare emergere i pregi delle opere degli artisti che via via sono saliti alla ribalta. Si tratta di recensioni brillantissime, molto pertinenti e caratterizzati da una profonda conoscenza delle varie arti; insomma, il linguaggio di chi sa il fatto suo. Lo stile è ben tornito, pieno di dotte citazioni che conferiscono alla recensione un qualcosa di aulico e solenne. Da questo punto di vista credo che molti artisti cefaludesi debbano gratitudine a Pippo Maggiore.

Ma il campo dove il Nostro eccelle è senza alcun dubbio la Settima Arte, cioè il cinema. Già in possesso di una robusta preparazione tecnica grazie agli studi compiuti a Roma presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, il Maestro Pippo Maggiore ha al suo attivo decine di film, dove è riconoscibile uno stile inconfondibile, uno stile evocativo ed onirico, venato talora di sottile ed amara ironia.

Sulla scorta di quanto premesso, mi permetterei di suggerire alla redazione di “Quale Cefalù” di istituire una rubrica fissa sul cinema, dove siano recensiti dal Maestro Pippo Maggiore i film che via via escono sul grande schermo. A tal uopo suggerisco alla Redazione del giornale on line di farsi parte diligente a che Pippo sia dotato, da parte degli esercenti dei due cinema di Cefalù, di una “wild card” che gli permetta di visionare i film in uscita e di farne recensione su “Quale Cefalù”. Sarebbe una rubrica molto interessante, e non credo che gli esercenti ci perderebbero, in quanto sono convinto che le competenti e brillanti recensioni invoglierebbero non poche persone ad andare a vedere quel dato film.

                                                                                 Enzo Rosso