L'abballata del Mandralisca, parte seconda (lo scenario)

Ritratto di Totò Testa

6 Gennaio 2014, 23:13 - Totò Testa   [suoi interventi e commenti]

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Pochi giorni fa un noto imprenditore turistico di Cefalù dava, giustamente, risalto all’intervento del ministro della Cultura Massimo Bray al Centro Studi di Confindustria, dove il concetto colto dalla massima parte dei giornalisti è che “Integrare turismo e cultura porta ricchezza”.

In realtà l’intervento del ministro è stato molto più articolato e denso di spunti interessanti, e meno male, perché, se si fosse limitato a sviluppare quell’espressione, ci si dovrebbe chiedere dove sia stato l’uomo di cultura Bray negli ultimi decenni.

Da almeno quarant’anni, infatti, e, cioè, da quando è stato univocamente affermato il concetto di “Bene culturale”, la definizione dello stretto rapporto tra turismo e cultura (come fonte di ricchezza) non solo è stato assunta al repertorio di tutte le discipline che si occupano di pianificazione e governo del territorio, ma è stata declinata in diverse varianti che, tuttavia, si fondano sui seguenti denominatori comuni:

A) La definizione di “bene culturale” comporta, in sé, il riconoscimento di un valore economico, almeno in forma virtuale.

B) I beni culturali sono una risorsa non rinnovabile, vanno, quindi conservati, per quanto possibile, nella loro integrità affinché possano mantenere il loro valore.

C) La conservazione dei beni culturali comporta alti costi, di per sé non sostenibili dal tessuto sociale, se non a fronte di una loro valorizzazione che produca, almeno, altrettanto reddito (diretto o indotto).

Va da sé che la produzione di reddito necessaria per la conservazione del patrimonio culturale trova nel Turismo (anche se non solo nel turismo) una leva fondamentale.

Va da sé, pure, che, nell’ambito dei beni culturali, il maggiore ruolo strategico vada attribuito ai musei, alle aree archeologiche (che altro non sono che musei all’aperto) e ai Centri Storici, proprio perché, offrendosi come “concentrazioni” o “collezioni” di beni (in genere accomunate da tematiche corrispondenti ad interessi dei potenziali visitatori) possono agire direttamente come attrattiva capace di sviluppare la nascita e l’implementazione di flussi turistici.

Ma qual è la strada per trasformare il valore “virtuale” di un bene culturale in valore reale?

Molti presunti “addetti ai lavori” risponderanno che la domanda non prevede una sola risposta, bla, bla, bla …

Per quanto mi riguarda (ma non credo di essere il solo) la risposta è una sola: divulgazione.

Chi si deve occupare della divulgazione?

Innanzi tutto gli stessi custodi o conservatori, poi gli amministratori locali, i portatori di interessi legittimi (operatori turistici, editori, commercianti), le associazioni culturali, ogni singolo cittadino che avverte l’esigenza di contribuire al benessere di un istituto culturale.

La divulgazione è un esercizio fondamentale per fare conoscere il bene, per farlo apprezzare ad un pubblico il più ampio possibile, per attrarre visitatori.

Insomma, per staccare più biglietti d’ingresso!

Perchè questo è il compito della gestione di un Museo: staccare più biglietti per acquisire le risorse che garantiscano la conservazione e, in una logica di circolo virtuoso, consentano di rilanciare la divulgazione, per staccare più biglietti che garantiscano una migliore conservazione, e così via.

Mi pare utile precisare, a questo punto, che il ragionamento logico non viene messo in crisi qualora, per esempio, si scelga la politica di non far pagare il biglietto d’ingresso.

Si noterà, infatti, che finora non ho parlato di soldi, ma soltanto di biglietti.

E’ utile tenere a mente questa precisazione per i capitoli successivi.

Ma veniamo al Museo Mandralisca.

Qual è la situazione attuale nel rapporto tra conservazione, divulgazione e gestione?

E’ palese che, negli ultimi anni, non sono stati fatti passi avanti, nonostante l’impegno della Fondazione e i sostegni “random” dell’amministrazione pubblica locale e regionale.

La conservazione dei beni custoditi nel Museo non è garantita (basti pensare allo stato della collezione naturalistica, alla precarietà delle misure di sicurezza … ecc.).

La gestione ha visto ridursi le entrate, non solo per effetto dei sempre minori contributi pervenuti da parte pubblica, ma anche e soprattutto per una riduzione degli introiti provenienti dalla vendita dei biglietti.

Così risulta, almeno, per l’anno 2012 rispetto al 2011.

Attendiamo di conoscere i dati del 2013.

La divulgazione è arretrata.

Negli anni 2011 e 2012 una serie di incontri ed eventi culturali (in particolare quelli estivi sulla terrazza) aveva dato un minimo di risalto alla presenza del Mandralisca quale istituto di cultura “a tutto tondo”, con la sola pecca, a mio parere, di avere forse troppo sofferto l’incidenza relativamente scarsa degli eventi, che più di tanto, di per sé, non potevano effettivamente sortire, senza cercare di ampliarne la risonanza, per esempio attraverso l’enorme capacità divulgativa del Web.

Nel 2013, forse anche per un contagio di scoramento dovuto in parte alla crisi economica, in parte alla politica fallimentare del principale partner della Fondazione e, cioè, dell’Amministrazione Comunale che, anche in questo campo si è rilevato un arretramento.

Alcuni volenterosi hanno provato ad invertire la tendenza, ma sono stati frustrati dallo scarso rilievo dato alle loro proposte, e dall’assoluta mancanza di capacità d’implementazione delle diverse iniziative spontanee in una logica, se non di progetto, quantomeno di intenzione condivisa.

Forse perché, in realtà, l’obiettivo non è quello di scongiurare al Mandralisca la sorte di maceria prossima ventura, bensì quello di dare risalto alle passerelle “abusive” dello psico-sindaco, tanto ottenebrato dall’entità del contributo regionale ex tabella H, da avere più volte toppato gli annunci, dando notizie di presunti “allargamenti” (ovviamente, si intende, dovuti al suo impegnato e competente intervento), quando, invece, appare scontato che si vada verso restringimenti e che, finora, ciò è considerabile solo a livello ufficioso, perché il livello ufficiale è ancora è tutto da definire.

Già qualcuno ha annunciato che, nel caso il contributo regionale dovesse essere di novantottomila euro rispetto ai centoquarantadue preconizzati dal sindaco e mai ufficialmente confermati dalla Regione, il Museo Mandralisca, così come altre istituzioni culturali dell’Isola, sarebbe costretto a chiudere i battenti.

Quello che rimane da capire, per il povero cittadino che paga le tasse, è perché la sorte di un’istituzione privata dovrebbe dipendere (come effettivamente, ahimè dipende!) dall’erogazione e dalla consistenza di un contributo pubblico.

Se cercaste di spiegarlo ad un giapponese, ad un americano, ad un tedesco, ad un polacco difficilmente riuscireste a farvi capire.

Nemmeno Ruggiero (che però era normanno) e nemmeno Enrico Pirajno di Mandralisca (che normanno non era) lo capirebbero.

Anch’io, devo confessare, non lo capisco e, se cerco di capire, mi piace poco quello che mi sembra di capire …

(continua)

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Intervento correlato: L'abballata del Mandralisca, parte prima (prologo) - Totò Testa - 3 gennaio 2014 (https://www.qualecefalu.it/node/6512)

Commenti

Sì, ottime riflessioni, ma una ancora migliore conclusione: perché la sorte del Museo dovrebbe dipendere dal contributo dello Stato?

Il povero Mandralisca, se avesse previsto l'attuale situazione, avrebbe nel suo lascito stabilito la clausola di esclusione non soltanto della Chiesa, ma anche (e forse soprattutto) dell'Amministrazione comunale.

Per aggiungere un sassolino all’argomento “Mandralisca” propongo  la lettura di quanto segue:

“…Oggi, sempre di più, le amministrazioni (pubbliche o private) vogliono che il museo si presenti come azienda efficiente, rispecchiando la “vision” dei finanziatori. Il direttore di museo, quindi, deve saper gestire al meglio il budget a disposizione e arricchirlo, eventualmente, cercando nuovi sponsor.

Il direttore di museo è il responsabile della direzione del museo, dal punto di vista della conservazione del patrimonio culturale, della gestione del personale, della sicurezza delle opere e delle persone, della gestione economico-finanziaria e della conduzione delle diverse attività.

I compiti principali del direttore di museo sono:
– gestire la programmazione, coordinamento, impulso e vigilanza sul funzionamento della struttura;
– provvedere alla ripartizione del lavoro fra i collaboratori;
– dare disposizioni per la conservazione, il restauro e l’esposizione del materiale;
– curare i rapporti del museo con istituti, enti e studiosi;
– provvedere al funzionamento della biblioteca e cura le eventuali pubblicazioni del museo;
– preparare l’annuale relazione sull’attività del museo e redige il bilancio preventivo e consuntivo.

Il direttore di museo ha rapporti con:
– il personale del museo (guardiani, guide, personale tecnico quello amministrativo, studiosi e ricercatori);
– gli organi istituzionali del museo (ad esempio il consiglio di amministrazione);
– i rappresentanti degli enti e delle istituzioni con cui il museo collabora;
– esperti, critici d’arte, restauratori, insegnanti.

REQUISITI
I direttori dei musei sono in maggioranza storici, archeologi e storici dell’arte, dunque tecnici del settore e non manager come il nuovo indirizzo della gestione dei beni culturali sta auspicando.
Per il ruolo che riveste deve essere:
– un buon gestore sia delle risorse umane sia di quelle finanziarie;
– capace di creare e mantenere relazioni a scopo professionale, perché importanti sono i rapporti con altri studiosi e con enti di ricerca e cultura;
– un tenace ricercatore di sponsor e finanziamenti;
– amante dello studio, della ricerca, della storia e della cultura;
– propositivo e dotato di spirito di iniziativa per soddisfare i visitatori e relazionarsi con studiosi e tecnici del settore.”

Tratto da:  Job Tel – il portale dell’orientamento al lavoro (http://www.jobtel.it/)
 

Il tuo intervento, più che un sassolino mi sembra una bella pietra di volta nella costruzione di un discorso sillogico sul Mandralisca.

Ciò che utilmente riporti, infatti, non è frutto di sperimentazione accademica proiettata all'utopia, bensì parte di un manuale di orientamento al lavoro.

Ciò significa che il rapporto tra efficienza gestionale, efficacia della comunicazione ed esigenze della conservazione è ormai ampiamente accolto nelle discipline e nelle prassi operative dei musei, delle biblioteche, dei siti storici ed archeologici.

Trovo particolarmente significativo l'incipit: "Sempre di più, le amministrazioni (pubbliche o private) vogliono che il museo si presenti come azienda efficiente, rispecchiando la “vision” dei finanziatori. Il direttore di museo, quindi, deve saper gestire al meglio il budget a disposizione e arricchirlo, eventualmente, cercando nuovi sponsor"

Letto "a contrario" significa che chi dirige o amministra un museo non può limitarsi a rappresentare la nobile storia dell'istituzione, ma deve, anche, rimboccarsi le maniche e fare quel "lavoro sporco", senza il quale l'istituzione stessa rischia di andare in malora.