Cefalù da favola: qualcuno vuole proteggerci.

Ritratto di Angelo Sciortino

5 Aprile 2013, 11:05 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quando fummo dentro, il gruppo si divise in due ali, che, procedendo quasi ad allontanarsi l'una dall'altra, si riunirono alle spalle di un grande tavolo semicircolare e si sedettero su comode poltroncine, che io non potevo vedere, perché ero rimasto al centro, di fronte al tavolo, che me ne impediva la vista.

Ero rimasto solo di fronte a quei grandi uomini e fui preso da un grande timore, che aumentò nei minuti successivi, quando essi, in silenzio, mi fissarono tutti insieme. Mi sentivo come nudo di fronte a essi e avevo persino paura di pensare, consapevole com'ero che avrebbero potuto leggere i miei pensieri.

Il silenzio fu rotto da Ruggero, che sembrava presiedere quella strana giuria.

“Pur con tutti i tuoi limiti – e non sono pochi – tu ti sei dimostrato meritevole della nostra fiducia. Vogliamo affidarti un incarico, che in fondo non stride con quanto tu hai fatto finora.”

Mentre così parlava, Ruggero mi guardava come accigliato. Poi si volse verso il Mandralisca e così gli parlò:

“Spiegategli voi, caro Barone, quale compito vogliamo affidargli.”

“Sua Maestà vuole che io ti riassuma le nostre recenti discussioni e, soprattutto, a quali decisioni siamo giunti. Come Egli ti ha anticipato, ci fidiamo di te. Questa fiducia non ti è stata accordata all'unanimità dal nostro gruppo, perché qualcuno ha espresso dubbi. Questa mancata unanimità devi sempre tenerla presente, per ricordarti dei tuoi doveri.”

Si fermò, come per prendere respiro, e poi continuò:

“Noi tutti abbiamo un caro ricordo del luogo in cui vivi. E' questo il motivo per cui da tempo siamo preoccupati per il suo futuro. Non è la fine di una civiltà a preoccuparci. Anche civiltà più antiche sono tramontate, ma di esse restano tracce evidenti della loro esistenza. Si tratta di tracce materiali, come quelle lasciate dagli Egizi e dai Greci, o di tracce culturali e spirituali, che ancora, a migliaia di anni, sono un faro per gli uomini. Per tutti gli uomini, ma non per quelli che abitano insieme a te. Per essi la storia non illumina più i loro sentieri ed essi procedono come bendati. Credono d'andare verso il futuro e non si accorgono che, dopo decenni di mosca cieca, sono diretti invece verso il passato.”

“No, signor Barone, vanno verso un baratro” intervenne Carmine Papa “vannu sulu cincu grani comu li m...”

Lo interruppe il Barone: “Carminu, aviti a jessiri cchiù bonu...”

“Ma chi bonu e bonu! Un si nni po' cchiù!”

Giuseppe Giglio, con la pacatezza tipica dei medici, s'intromise: “Smettiamola di preoccuparci per il loro futuro. Presto non ne nasceranno più in quel luogo, perché presto saranno costretti a migrare per trovare un letto dove le donne potranno partorire. Ma c'è di più: tra discoteche, alcol e droghe, gli uomini presto non saranno più in grado di generare. E io ho lasciato loro un ospedale!”

Costanza non parlava, ma guardava suo figlio Federico, che sembrava pronto a dare sfogo alla sua ira, come fece quando, nelle sue Costituzioni Melfitane, stabilì la condanna a morte per le mogli fedifraghe o per i mariti, se le avessero perdonate. Fu forse per impedirgli lo scatto d'ira, che intervenne:

“Cerchiamo di essere più ottimisti. E' vero che sbagliano ormai da decenni, ma mi sembra che un desiderio di ripresa morale e culturale stia per esserci. Certo, è ancora confuso. Tanto confuso che non sanno distinguerlo da appetiti più materiali: la salsiccia e i dolci confusi con la cultura! Anche se qualcuno lo fa richiamandosi al mio nome, io non mi adiro, ma perdono.”

Non capivo più nulla! Sapevano più di me, che in quel luogo ancora vivevo. In che cosa, però, potevo esser loro utile? Che cosa avrei potuto fare?...Ecco, c'ero cascato ancora...Avevo pensato e loro avevano subito capito.

“Non pensare a che cosa puoi fare. Saremo noi a darti le indicazioni, perché faccia l'ultimo tentativo di salvare quel luogo, che, come hai visto, evitiamo di nominare.” intervenne Ruggero.

“Adesso, però, noi ci ritiriamo. Tu sei libero di andare. Ti chiameremo presto, per darti l'incarico.”

Il sole, attraverso la finestra, entrava nello studio e mi colpiva sugli occhi. Mi svegliai e soltanto dopo un poco capii che avevo sognato. Un sogno, che mi tornò in mente per tutto il giorno.

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Favole precedenti:

1ª parte: Una Cefalù da favola nella favola (https://www.qualecefalu.it/node/2005)

2ª parte: Ancora nella favola (https://www.qualecefalu.it/node/2017)

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