Ruggero tratta la pace

Ritratto di Angelo Sciortino

16 Febbraio 2014, 17:55 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Era la fine di settembre del 1144, quando le navi del Re giunsero di fronte a Napoli.

La traversata era durata nove giorni. Nove giorni, che il Re e Adele vissero immersi nella passione. Adele scoprì che i suoi sentimenti per Ruggero crescevano di pari passo con la confidenza, che la rendeva meno timida ad assecondare ogni desiderio del Re.

È vero, quell'uomo era pur sempre il Re, e se ne accorgeva ogni volta che egli si attardava, anche all'ora di pranzo e di cena e persino, talvolta, a sera inoltrata, con i suoi consiglieri e i suoi generali. Discuteva con costoro delle condizioni del suo esercito; delle condizioni di pace da pretendere dai suoi ex nemici, sconfitti ormai definitivamente; della costituzione in preparazione, per dare al Regno un corpo giuridico; del catalogo dei baroni, che doveva elencare tutti i suoi feudatari.

Insomma, Ruggero visse quei nove giorni da grande statista, indefessamente impegnato a dare un assetto definitivo al suo Regno.

Nonostante questi suoi impegni, non trascurò Adele. Ogni suo momento libero fu dedicato a lei. Furono momenti in cui l'apprezzò non soltanto per le sue qualità di amante, ma anche per quella di ascoltarlo tacendo, quando egli aveva voglia di parlare, e di parlargli, quando le chiedeva la sua opinione su qualunque problema. In questo caso, anzi, scopriva a poco a poco che l'innato buon senso, unito alla sua recente crescita culturale, ne avevano fatto una consigliera fidata spesso più dei consiglieri della sua Corte.

Mai un'intromissione, mai saccenteria, mai una gelosia, mai arroganza, ma soltanto la volontà di essergli utile, spingendolo a evitare qualsiasi decisione avventata.

E quando egli sembrava essersi dimenticato di lei, preso dal suo lavoro di Re, lo aspettava con pazienza. Mai gli rimproverò un ritardo, ma sempre lo accolse con il suo sorriso, anche quando la sofferenza dell'attesa aveva superato ogni limite umano.

Quando le navi furono in vista del golfo di Napoli, il Re fece salire Adele sul ponte e, abbracciandola, la condusse fino alla prua, per mostrarle l'incanto di quella città vista dal mare.

“Magnifico, vero!” le disse.

“Sì, mio Signore! Bello come tutto ciò che mi farete scoprire Voi!” disse Adele.

“Anche la nostra Chephaledium non ha nulla da invidiare a questo splendore” aggiunse il Re.

“Finora non ve l'ho detto, per timore d'infastidirVi, ma ora, se me ne date il permesso...”

“Parla pure!” disse Ruggero.

“Ecco, mio Signore, io non riuscirei più a vivere, se Voi non ci foste; non riuscirei a scoprire la bellezza neanche nel più bello dei fiori, se non potessi condividerla con Voi...” si fermò, perché un nodo le serrava la gola.

Ruggero la strinse con forza a sé e poi la baciò sulla fronte.

“Maestà!” era la voce di Giorgio d'Antiochia.

Il Re allontanò Adele e si girò.

“Dimmi, mio fedele ammiraglio.”

“Maestà, siamo pronti all'attracco. Sul molo gli uomini sono pronti a raccogliere le nostre gomene. Manca soltanto il vostro ordine.”

“Attracchiamo pure.” poi, rivolto ad Adele: “Tu scendi. Le dame ti prepareranno per lasciare la nave.”

Adele si allontanò e, aiutata da una delle dame, che aspettava vicina al boccaporto, scese nella stiva ed entrò nella camera. Si guardò attorno e sentì come un dispiacere doversene allontanare. In fondo lì aveva vissuto giorni di grande felicità. Poi pensò, però: se il mio Signore vuole così, sono certo che Egli mi darà ancora altra felicità.

Avrebbe voluto continuare con quei pensieri, ma una delle dame la interruppe:

“Signora, forse sarebbe il caso che Vi cambiaste d'abito. Quello che indossate è ormai sciupato e sgualcito e a sua Maestà potrebbe dispiacere non avervi al suo fianco ordinata come piace a Lui.”

“Sì, avete ragione, signora.”

“Non rivolgeteVi a me o alla mia compagna con questo pronome e con questo appellativo. Anche noi siamo suddite del Re e dobbiamo obbedienza anche a chi Egli ha eletto a sua regina. Il mio nome è Matilde e quello della mia compagna è Maria. Chiamateci con questi nomi e non rivolgeteVi a noi con quella reverenza, che noi dobbiamo avere per Voi. Perdonatemi l'ardire, ma se sua Maestà dovesse notare che non siamo con Voi reverenti come lo siamo con Lui o, ancora peggio, se notasse che non Vi abbiamo insegnato comportamenti congeniali con il ruolo che Egli vuole farVi esercitare in futuro al suo fianco, saremmo sicuramente punite per l'inadempienza.”

Adele non capì subito. Era ancora convinta che lei, di fronte a quelle dame eleganti, era la povera fanciulla plebea, alla quale era stata abituata. Comunque, sebbene non avesse capito, si rese conto che questa era la volontà del suo Re, al quale doveva obbedienza.

Intanto la nave era già legata alle gomene lanciate dal molo e stava per prepararsi la passerella. Ruggero sembrava non avere fretta e parlava con alcuni suoi consiglieri, che gli sottoponevano alcune osservazioni o giudizi, che egli ascoltava con attenzione. Non parlava, però, ma preferiva ascoltare. In fondo quelli erano i suoi consiglieri, scelti da lui, perché gli dessero il loro contributo nel momento delle grandi decisioni. E quello era uno di questi.

A Capua i suoi ex nemici sarebbero stati pronti ad approfittare di ogni sua esitazione per imporgli le loro scelte. Ruggero doveva essere preparato a qualsiasi tranello e soprattutto doveva dimostrare di avere chiara una strategia. Non era facile essere re, soprattutto quando si era il primo fondatore di un regno, per il quale s'immaginava un grande avvenire di potenza e di ricchezza per i sudditi.

Eppoi i suoi nemici erano abituati a secoli di diplomazia e a un esercizio della politica, che egli stava invece imparando con l'esperienza. In una cosa voleva con tutte le sue forze distinguersi: nel non esercitare mai l'arte dell'inganno, come invece facevano i due imperatori e lo stesso Papa. In ogni occasione avrebbe agito come il migliore dei suoi soldati: armato e coperto della sua corazza, ma con il viso scoperto. I suoi nemici o anche semplicemente i suoi avversari dovevano leggere nei suoi occhi la sua benevolenza o la sua irritazione e in questo secondo caso avrebbero dovuto tremare, leggendovi la sua volontà di punire la loro pusillanime astuzia.

Insomma, Ruggero da quelle trattative si aspettava di raccogliere i frutti delle sue vittorie militari, ma anche della sua abilità diplomatica. Frutti che avrebbero finalmente pacificato a lungo il Regno.

Sistemata la passerella, Ruggero, preceduto da quattro delle sue guardie personali, scese dalla nave. Aspettò che lo stesso facessero i suoi consiglieri e infine la stessa Adele.

“Quanto è bella!” pensò il Re.

E bella lo era davvero, vestita da regina. Adele si accorse dello sguardo soddisfatto di Ruggero e ne fu felice. Ancora maggiore fu la sua felicità, quando le si avvicinò e le disse:

“Sei proprio bella! Vorrei essere più libero, per dedicarti più tempo, ma i miei doveri di Re mi chiamano. Sebbene tardi, spero di venire a trovarti dove sarai accompagnata. Aspettami alzata e fai ciò che le dame ti diranno, perché lo faranno per insegnarti a essere come io ti voglio.”

“Mio Signore, sarò felice d'imparare a piacervi sempre di più.” disse Adele.

Il Re si allontanò, seguito da tutti i suoi consiglieri e dai suoi ministri. Adele, invece, seguì le due dame in direzione opposta, scortata da un gruppo di guardie del Re.

Non camminarono a lungo, quasi duecento passi, e si ritrovarono in una casa circondata da un giardino fiorito. All'ingresso c'erano due donne e due uomini, che si inchinarono dinnanzi ad Adele:

“Benvenuta, Signora!” dissero quasi in coro e inchinandosi.

“La Signora è stanca e ha bisogno di riposare.” disse Matilde e poi aggiunse: “Indicateci le sue stanze e preparate molta acqua calda.”

“Sarà fatto!” disse la più anziana delle due donne e guardò i due uomini e disse con tono autoritario:

“Avete sentito? Eseguite immediatamente!”

I due si allontanarono e Adele, preceduta dalla donna che aveva dato l'ordine e seguita dalle due dame, si diresse verso le sue stanze. Queste, tutte insieme, erano dieci volte più grandi della sua casa di Chephaledium. La colpì quella posta accanto alla stanza con un enorme letto. Era una stanza quasi spoglia, con varie piccole vasche e una molto grande al centro. Stava ancora chiedendosi a che cosa poteva servire tutto quell'armamentario, quando entrano i due uomini e le due donne con grandi secchi fumanti. Contenevano acqua calda, che versarono nella vasca grande e subito si allontanarono, per tornare dopo alcuni minuti con altra acqua calda, che come prima versarono nella vasca. Poi, rivolti ad Adele:

“La Signora è servita. Vi occorre altro?”

“No, andate pure” intervenne Matilde.

Quando furono usciti gli altri, lei e Maria si avvicinarono ad Adele e cominciarono a sciogliere i lacci del suo abito.

“Dovete fare un bagno ristoratore. Poi sarete massaggiata e profumata da noi. Vi prepareremo per accogliere degnamente sua Maestà”

Adele si lasciò spogliare senza vergogna e s'immerse in quell'acqua calda, provando immenso piacere nel sentirsi circondata da quel tepore. Chiuse gli occhi, come se volesse dormire, quando sentì le sue gambe e poi il resto del suo corpo massaggiato da una sostanza, che diventava schiumosa a mano a mano che entrava a contatto con l'acqua.

Quando questo piacevole massaggio fu finito e la schiuma fu tolta con tanta altra acqua, Adele fu accompagnata su un piccolo letto, dove prese posto. A questo punto una delle due donne, chiamata da Matilde, entrò e cominciò a ungere di unguenti profumati il corpo di Adele e poi a massaggiarlo, a seconda del punto.

Adele non aveva mai provato un simile piacere. Non sapeva, fino a quel momento, che esso potesse esistere.

Quando la donna finì quel massaggio, Matilde e Maria accompagnarono Adele nella stanza con il grande letto e la fecero sdraiare nuda. La coprirono con una leggera coperta di lana e chiusero le finestre. Matilde, rivolgendosi a lei, disse:

“Adesso dormite, Signora. Quando verrà sua Maestà sarete sicuramente riposata e se dormirete, perché non l'avete sentito, se lo vorrà, sarà Lui a svegliarVi.”

Le due uscirono dalla stanza e Adele, un po' per il buio e un po' perché si sentiva ristorata per il bagno caldo e per il massaggio, si addormentò dopo poco tempo.

 

Ruggero aveva raggiunto il luogo dove si sarebbero svolte le trattative. Nella sala predisposta per ospitare i convenuti intanto si erano radunati il Papa, l'Imperatore di Germania e il rappresentante dell'Impero d'Oriente. Poi c'erano altri, che Ruggero non conosceva. Fra questi uno lo colpì per la cattiveria del suo sguardo. Era un uomo con il saio e stava seduto accanto al Papa. Mentre gli altri si alzarono in segno di saluto verso il nuovo venuto, l'uomo con il saio rimase seduto come lo rimase il Papa.

“Non si comincia bene!” pensò Ruggero.

Quasi a interrompere il suo pensiero il Papa disse:

“Benvenuto, Figlio mio diletto!”

“Non sono vostro figlio e meno che mai credo di esserVi diletto. Intanto perché non costringete quell'uomo accanto a Voi ad alzarsi e a onorarmi come re e come ospite. Perché forse non sa, quell'uomo, che questa è casa mia.”

A parlare fu proprio l'uomo con il saio:

“Sono Bernardo di Chiaravalle, predicatore per conto di Sua Santità. In tale veste non Vi devo la reverenza che chiedete. Le parole che escono dalle mie labbra sono le parole dello stesso Dio Onnipotente e se Egli lo volesse, potrei punirVi in suo nome.”

Pronunciava queste parole e a Ruggero sembrava che esse fossero concreto veleno misto a fiele. Stava per prendere la sua spada, per trafiggerlo, quando ricordò che non poteva macchiarsi del sangue di un pazzo. Non potendo accettare, però, simile linguaggio, disse, rivolto al Papa:

“Io non so ancora se Voi meritate il mio rispetto, ma sicuramente fate sedere al Vostro fianco un pazzo. V'invito, pertanto, se volete che le trattative abbiano inizio, a farlo uscire immediatamente.

Voi sarete rispettato e persino difeso, a condizione che lo meritiate con comportamenti consoni. Sapete pure che le cose delle quali dobbiamo discutere non possono ammettere la presenza di simili individui. Ogni loro parola è sempre un oltraggio all'intelligenza e come tale riesce insopportabile, quando si ripete oltre il limite della pazienza, che ci siamo imposta. Quando questo limite dovesse essere superato, la reazione potrebbe comportare una severa punizione di lui e di coloro che dovessero prenderne le difese. Doveste essere anche Voi stesso. Allontanatelo, quindi!”

Il Papa sapeva che Ruggero non parlava mai a vanvera e che dalla sua aveva la forza militare e il carattere per usarla persino contro di Lui, se fosse stato necessario.

Fece allontanare Bernardo, che, passando dinnanzi al Re, gli rivolse uno sguardo pieno d'odio e mentalmente si disse che prima o poi gliela avrebbe fatta pagare.

Chiarito questo punto, che per il Re contava, perché gli aveva permesso di dimostrare che egli aveva la potenza del vincitore, tutti presero posto nella stanza attigua, che serviva come sala del trono. Si ritrovarono attorno a un lunghissimo tavolo, con il Re e il Papa seduti, invece, su due alte poltrone uno di fianco agli altri. Dominavano su tutti gli altri. E soprattutto, posti sullo stesso piano, dimostravano di essere pari grado.

I lavori procedettero velocemente e sembrava che a sera essi si sarebbero conclusi. Invece, quando già era sera, essi si bloccarono al momento di decidere sulla sorte del ducato di Benevento, al quale Ruggero non voleva rinunziare. Anche il Papa, però, lo richiedeva per sé.

“Su quali ragioni basate la Vostra richiesta? Avete forse conquistata la Città? No! Essa è in mano a un mio presidio ed è governata da un mio vicario. Non intendo rinunziarvi, cedendovela mentre è nelle mie mani. Perderei ogni considerazione dei miei sudditi. Non insistete, quindi, se non volete che riprenda le ostilità!”

“Quel ducato è appartenuto sempre alla Chiesa!” esclamò il Papa.

“Sarà forse appartenuto alla Chiesa, come alla Chiesa sono appartenute e appartengono tante cose usurpate, ma adesso esso appartiene al mio Regno. Appartiene a Me! Se, poi, volete appellarvi a qualche lascito del passato e volete tentare di provarlo con uno di quei falsi testamenti, che, quando ne avete interesse, tirate fuori dai vostri archivi segreti, sappiate che essi sono per me carta straccia, perché tale la ridurrò con la punta della mia spada.”

Il Re era furibondo e pronunciò queste parole con tanta veemenza, che tutti gli astanti e lo stesso Papa non osarono parlare. Ruggero capì d'aver vinto e fece cenno, allora, al suo segretario, che posò davanti al Papa il testo del trattato da firmare.

Egli, senza neppure leggerlo, vi appose la propria firma e il proprio sigillo. Lo stesso fecero i due imperatori, di fronte a Ruggero, che teneva la sua mano sulla bocca, per non far vedere il sorriso di compassione disegnato sul suo viso.

“Bene, Signori, la pace è conclusa. Preghiamo Dio Onnipotente di garantirla per molti anni a venire. Domani Sua Santità celebrerà una messa di ringraziamento, alla quale parteciperà, insieme a noi, tutto il popolo.”

Prima di girarsi e allontanarsi, aspettò che tutti fossero in piedi e lo salutassero rispettosamente. Soltanto allora si girò e uscì, seguito dalla propria guardia e da tutto il suo seguito.

Quando furono fra i viali del giardino, gli si fece accanto Giorgia d'Antiochia:

“Maestà, è stato come se aveste vinto cento battaglie! Persino il Papa, privo di quel perfido Bernardo, ha ceduto!”

“Avete ragione, ho vinto cento battaglie, ma siccome dopo una vittoria bisogna sempre fare in modo che segua un lungo periodo di pace e di prosperità, non dimentichiamo che ci aspettano impegni moltiplicati per cento. Non dimenticando, soprattutto, che i nemici di oggi sono più subdoli del demonio, il Papa in testa. Essi saranno attenti e pronti ad approfittare di ogni nostra distrazione. Tu per primo, mio caro Giorgio, dovrai fare in modo che le nostre navi siano in grado d'intervenire in ogni parte del nostro grande Regno, per difenderlo o per sedarne le rivolte, che dovessero fomentarvi.”

“Maestà, anche se il compito non sarà facile, sappiate che mi c'impegnerò con tutte le mie forze e con la fedeltà, che mai verrà meno, dovesse andarne della mia vita.”

Era già notte inoltrata e, se non fosse stato per il plenilunio, non si sarebbe vista neanche la direzione seguita. Grazie alla luna, invece, raggiunsero in breve la casa, dove il Re si sarebbe ritirato per la notte. Giunti che furono all'ingresso, il Re congedò tutti, tranne le guardie, che rimasero in parte dinnanzi all'ingresso e in parte girarono attorno, per sistemarsi a guardia degli muri della casa.

Ruggero si avviò verso la camera, dove a letto c'era Adele ad attenderlo. Sulla soglia, seduta su una scomoda sedia, c'era Matilde addormentata. Fu svegliata dai passi del Re e, scattando in piedi, disse:

“Perdonate, Maestà!”

“Vai pure a dormire” disse il Re, e varcò la soglia, la cui porta era tenuta aperta da Matilde.

Quando entrò in camera, scostò la tenda che copriva Adele e la vide che dormiva, con le spalle scoperte. Alzò la copertina e delicatamente coprì le sue spalle. Poi, facendo piano per non svegliarla, si diresse verso il terrazzo.

Aveva voglia di restare ancora sveglio a pensare. Il silenzio e la debole luce dell'aurora lo rasserenavano.

La sua giornata era stata assai impegnativa. A parte il viaggio, l'aveva trascorsa quasi per intero a discutere alla conferenza di pace. Sì, aveva vinto e aveva imposto agli altri le sue volontà, ma sapeva che essi avrebbero tentato una qualche rivincita. Il suo Regno, in fondo, non aveva avuto ancora il tempo di radicarsi nelle coscienze dei suoi sudditi. Persino tanti suoi feudatari, sebbene di origine normanna, non sentivano con le primitive forza e fedeltà dei loro padri, che erano giunti al Sud al seguito degli avi di Ruggero.

Bisognava approfittare della pace, per far nascere una vera e propria coscienza patriottica. Questo poteva ottenersi dando al Regno un'unica legge e magistrati per farla rispettare. Per questa ragione era urgente condurre a termine i lavori per un nuovo corpo giuridico, simile a quello suggerito dalle sue conoscenze della storia di Roma.

Poi sarebbe servito qualcosa di più della centralità di una monarchia normanna. Bisognava, pensava Ruggero, fare in modo che questa prendesse forza da un'altra “fede” più diffusa e più radicata. In ciò poteva essergli d'aiuto la religione cristiana. Essa era inaffidabile e pronta a ogni falsità, come il Testamento di Costantino dimostrava, ma doveva servirsene, se voleva che la sua sovranità avesse un sicuro e duraturo riconoscimento. Il metodo non poteva che essere quello del bastone e della carota: allettamenti, come chiese e vescovadi, ma anche risposte pronte e dure, quando era necessario.

Non aveva dubbi che egli sarebbe stato capace di attuare una simile strategia e per questo stava pensando a quali uomini chiedere la collaborazione.

Mentre era immerso in questi pensieri, lo distrasse il canto di un'allodola. Temette che il canto avesse potuto svegliare Adele. E così fu, infatti.

Adele si svegliò e si accorse della finestra sul terrazzo aperta. Si alzò e indossò un abito di foggia araba, che la copriva totalmente, ma che aveva numerose aperture per tutta la lunghezza, in modo che Ruggero potesse accarezzare ogni parte del suo corpo, raggiungendolo soltanto aprendo a caso un lembo. Adele ricordava che la prima volta che Matilde glielo fece indossare non lo trovò di suo gradimento. Si sentiva nuda, anche se tutto il suo corpo era nascosto, almeno fino a quando non se ne fosse scostato un lembo. Quando, però, Ruggero l'abbracciò e le sue mani entrarono in diretto contatto con la sua pelle, benedisse quell'abito e d'allora l'indossò con grande piacere.

Così vestita entrò nel terrazzo e vide Ruggero rivolto verso il primo sole del giorno. Egli, come se non l'avesse sentita arrivare, non si girò. Allora Adele si fermò a due passi da lui e rimase in silenzio per non disturbare i suoi pensieri.

Rimase così per molti minuti, finché Ruggero non si girò e disse:

“Sei già sveglia? Volevo che riposassi ancora un po'. In fondo soltanto ora è l'alba”

“Mio Signore, sono felice di vederVi. E questo, Voi lo sapete, è il mio vero riposo!”

“Non mi chiedi che cosa ho fatto?”

“Non posso chiederVi nulla, perché Voi soltanto potete autorizzare le mie curiosità e a esse dare risposta, se lo volete. Io sono felice così e non mi costa alcuna fatica essere come Voi volete. Anche se non Vi nego, mio Signore, che vederVi pensieroso mi mette un poco in ansia. Poi, però, penso che Voi siete un uomo in grado di affrontare ogni cosa con perizia e con coraggio, fino a risolverla. Questo mi rende fiera di essere la Vostra compagna e mi fa capire come sarebbe presuntuoso da parte mia pensare di poterVi aiutare e rasserenare in modo diverso da come la natura ha voluto.”

Il Re si avvicinò ad Adele. La guardava quasi incredulo. Non aveva mai creduto che potesse esistere una donna come lei. Per un momento considerò che forse doveva offrirle di più; magari di più del suo tempo. Pensava, infatti, di dedicargliene poco, preso com'era dagli affari di stato. Ormai, però, non poteva più sottrarvisi, se non voleva essere ricordato per aver fallito. Il suo Regno, sebbene giovane, si avviava a diventare un impero. Già le coste africane appartenevano a lui e la stessa Cartagine, com'era accaduto con Roma, era nelle sue mani. Il Mediterraneo, il Mare Nostrum dei Romani, diviso tra l'Oriente arabo e l'Occidente cristiano stava per riunificarsi grazie a lui. No! Non poteva fermarsi, lasciando incompiuta la sua opera. Voleva con tutte le sue forze essere ricordato dai posteri come un grande Re.

Guardò Adele e si rese conto che doveva anche a lei la sua determinazione. Si rendeva pure conto che di questa sua determinazione ne avrebbe sofferto più lei che lui. In questo si riconosceva la grandezza del suo affetto, che forse superava il suo proprio oppure che era solamente diverso dal suo.

Sentì affetto e commozione per lei, ma non seppe trovare parole. Le parole le udì Adele, quando l'abbracciò. In quell'abbraccio seppe leggere nella mente e nel cuore del suo Re, apprendendo in tal modo quanto grandi fossero e quanto posto vi fosse riservato a lei. E tutto ciò, lo sapeva bene, non avrebbero potuto esprimerlo compiutamente come e quanto quell'abbraccio le parole di tutti i poeti, che aveva letto per volontà del Re. Nella semplicità della sua anima, questo lo sapeva bene. Aveva imparato a leggere negli occhi, che non sanno essere ingannevoli come le parole.

Le parole, anzi, avrebbero potuto dire al suo Signore “Vi amo con tutta me stessa” ed essere sincere, ma non avrebbero mai potuto esprimere quanto grande fosse l'amore che sentiva.

Ruggero, intanto, continuava a stringerla a sé, mentre le sue mani l'accarezzavano sulla pelle, dopo aver superato l'inconsistente baluardo dell'abito indossato da Adele. Non piccola, ella si sentiva piccola fra quelle braccia, eppure avrebbe voluto che esse fossero ancora più numerose, come se il suo corpo potesse dare spazio a tutte. Sentiva di essere amata, anche se mai il Re gliel'aveva detto; sentiva che il donarsi a Lui l'avrebbe resa più degna del suo amore. In quel momento avrebbe voluto che si ripetessero le notti sulla nave, che mai avrebbe dimenticato. Avrebbe voluto, ma sapeva di non poter osare chiedere, anche se dal suo corpo venivano segnali di desiderio quasi insopprimibili.

Ruggero allentò il suo abbraccio sentì il suo corpo invaso dagli stessi desideri di Adele. Egli, però, non doveva chiedere. Le cinse la vita e la guidò verso il letto. Dopo averla spogliata, si spogliò a sua volta e si coricò accanto a lei. In silenzio entrambi lasciarono libero sfogo alla loro passione, come era avvenuto tante volte sulla nave.

Era ormai mezzogiorno, quando Ruggero si staccò da Adele.

“Devo andare” disse.

“Vi aiuto a vestirVi, mio Signore. Poi andrò a prepararvi la brocca dell'acqua e qualcosa da mangiare.” disse Adele.

Nella stanza accanto, dove il Re entrò appena pronto, trovò Adele accanto al tavolo, dove aveva preparato l'acqua e alcuni manicaretti, che la sera prima aveva voluto preparare lei stessa con l'aiuto di Matilde e di Maria.

Ruggero si accomodò e mangiò con grande appetito. Fece tutto rapidamente e infine si alzò e, dato un bacio in fronte ad Adele, uscì.

Passò rapido davanti a Matilde e Maria, che erano nell'anticamera, e passò per la porta d'ingresso, prontamente aperta dalla guardia all'interno. Giunto fuori, ordinò:

“Il mio cavallo e la guardia!”

In pochi minuti l'uno e l'altra erano pronti dinnanzi al Re, che montò a cavallo e si lanciò subito al galoppo, seguito dal piccolo drappello della guardia.

Ruggero aveva fretta di raggiungere il porto, per parlare con Giorgio d'Antiochia. Lo trovò riunito sul molo con tutti i nocchieri. Stava spiegando loro quali compiti li attendevano. Ruggero, giunto vicino, scese da cavallo e non fece nemmeno caso al loro saluto. Si avvicinò a Giorgio e disse:

“Vieni!”

“Eccomi, Maestà!” e lo seguì per un breve tratto, finché il Re, certo di essere lontano abbastanza per non essere sentito, si fermò e si girò verso di lui.

“Ammiraglio, oggi stesso voglio partire per Messina. Tieni pronte quattro navi, altre quattro lasciale qui e le rimanenti mandale a Palermo. Ordina ai comandanti di quelle che resteranno di fare la spola tra Napoli e la foce del Tevere. Voglio che sia controllato ogni pur piccolo movimento prossimo alle coste delle navi di Pisa e di Genova. Nessuno, dico nessuno, deve avvicinarsi a Roma dal mare. Da terra, invece, darò ordine che le guarnigioni a guardia del confine con lo stato del Papa fermino chiunque oserà tentare di attraversarlo. Io attraverserò via terra la Calabria e ti raggiungerò a Messina. Non so quanto tempo dovrai aspettarmi, perché non lascerò la Calabria prima di aver domato alcuni feudatari infedeli.”

“Come Vostra Maestà ordina!” disse l'ammiraglio. Poi aggiunse: “Alcune spie mi hanno informato che a sud di Messina vi sono alcune navi bizantine, che sicuramente non hanno buone intenzioni. Tengono abbassate le insegne imperiali, come se non volessero farsi riconoscere. Sembra pure che i loro comandanti siano d'accordo con l'archimandrita di Messina, che ha assicurato loro una rivolta popolare quando le navi saranno di fronte al porto. Se mi permettete, vorrei mandare subito le navi più veloci, che potranno giungere sullo Stretto almeno due giorni prima di noi. In due giorni potranno affrontare i bizantini e dar loro una lezione definitiva. Ho già preparato i nocchieri, quindi non sarà necessario perder tempo per le disposizioni.”

“Consigli bene. Fa' che i tuoi ordini siano eseguiti subito. Adesso devo lasciarti: i preparativi di una partenza sono sempre noiosi e spesso lunghi.” disse il Re, e si allontanò.

Rientrò, sempre al galoppo e sempre seguito dalla sua guardia. Giunto nella casa, dove aveva lasciato Adele, ordinò di convocare tutti i suoi consiglieri per l'ora successiva, poi raggiunse Adele, che lo aspettava vestita come al mattino, tanto che al suo inchino le si scoprirono le gambe. Ruggero sembrò, però, non accorgersene e, guardandola negli occhi, le disse:

“Preparati! Dovrai essere pronta entro un'ora, per partire. Faremo un lungo viaggio lungo tutta la Calabria, per poi raggiungere la Sicilia attraverso lo stretto Messina. Sarà un viaggio lungo. Cercherò di alleviarti i disagi e la stanchezza, ma non voglio evitartelo, perché voglio che tu sia al mio fianco. Voglio, soprattutto, avere sempre la gioia del tuo sguardo pronto ad accogliermi. Adesso va', le dame ti aiuteranno a prepararti.”

“Sarò pronta secondo i vostri ordini, mio Signore. Pronta e felice di avervi ubbidito.” disse Adele.

Il Re uscì dalla camera e subito dopo di lui entrarono Matilde e Maria. Parlò Matilde:

“Signora, ordinate pure.”

“Maria prepara il baule con i miei abiti e fai attenzione a sistemarli in modo che non si sgualciscano troppo. Tu, invece, mi aiuterai a vestirmi e pettinerai i miei capelli.” ordinò Adele.

Si sentiva un po' strana a usare quel tono autoritario, al quale non era abituata, ma così doveva fare, se voleva che il suo Signore fosse contento di lei.

In meno di un'ora fu pronta e se ne stette seduta in attesa d'essere chiamata dal Re, che intanto dava disposizioni ai suoi consiglieri, due dei quali lasciava a Napoli, perché lo rappresentassero in sua assenza e dove si assicurassero che le sue disposizioni fossero eseguite puntualmente.

Poi ordinò che l'esercito fosse pronto per la partenza, tranne quella parte consistente, che aveva deciso di lasciare a Napoli agli ordini dei due consiglieri rimasti.

Ordinò pure che si preparasse un cavallo mansueto con in groppa un comodo baldacchino, sul quale doveva prendere posto Adele con una delle dame. L'altra avrebbe seguito da presso su un altro cavallo semplicemente sellato.

Quando tutto ciò fu pronto, entrarono nella camera di Adele quattro soldati, che presero il suo baule e le altre cose, che avrebbero dovuto seguirla nel viaggio.

Adele non stava più in sé dalla gioia del viaggio insieme a Ruggero. Sì, disse proprio così, “insieme a Ruggero”. Si ravvide subito, però: come si era permessa, anche se soltanto nel pensiero, di parlare del suo Signore con tanta familiarità? Non riusciva a perdonarselo e non poteva neppure averlo perdonato dal Re, perché mai gli avrebbe confessata questa sua presunzione.

Era così presa da questo pensiero, che non si accorse del ritorno di Matilde.

“Signora, dobbiamo andare, sua Maestà ci ha fatte chiamare.”

“Sì, facciamo presto!” disse Adele. Poi aggiunse, in tono confidenziale: “Sarò felice di rivederlo e di trascorrere il tempo del prossimo viaggio in sua compagnia. Ho come l'impressione di non vivere, quando non sono insieme a Lui. È proprio il mio Signore!”

“Su, Signora, andiamo. Io non ho il diritto di parlare con Voi di sua Maestà. Posso soltanto dirVi che V'invidio e non dubito che la Vostra felicità durerà quanto la Vostra vita intera. Lo meritate!”

Uscirono dalla stanza e appena fuori dalla casa Adele vide il Re circondato dalle sue guardie, pronto a partire. Il suo cavallo scalpitava, mal sopportando il morso che il Re teneva serrato con le redini. Le allentò e lo spronò verso Adele, che intanto prendeva posto, aiutata dalla dama, sul baldacchino del suo cavallo. La raggiunse quando ella era già comodamente seduta sui cuscini e le disse:

“Il nostro sarà un viaggio faticoso, ma ti permetterà di conoscere da vicino tanta parte del mio regno.”

“Nulla sarà mai faticoso per me, quando a volerlo è il mio Signore.” disse prontamente Adele.

Ruggero le sorrise e si allontanò verso le sue guardie. Parlò brevemente con il comandante, che fece segno al trombettiere. Quando la tromba emise le prime note, con meraviglia di Adele spuntarono come per incanto centinaia di soldati, che si accodarono e cominciarono a marciare dietro al Re e al suo seguito.

Non appena fuori dall'abitato, dove cominciava la larga trazzera verso il Sud, un gruppo di soldati superò il Re e galoppò in avanscoperta.

In quest'ordine e silenziosi, essi proseguirono per tutta la mattinata, finché non giunsero in prossimità di una stretta gola, dopo la quale ci sarebbe stata la pianura dell'antica Sibari. Il Re aveva troppa fretta di giungervi per la notte e non attese che gli esploratori tornassero dopo l'esplorazione. Spronò il suo cavallo ed entrò nella gola, che già la sua avanguardia aveva attraversata. Trovatala deserta, tornò indietro con la sua piccola scorta, che l'aveva seguito, e fece cenno agli uomini rimasti di precederlo insieme ad Adele e alla sua scorta personale. Appena si mossero, Ruggero li seguì, mentre la sua guardia e il resto dell'esercito si sistemava in doppia fila, per superare la stretta gola.

Erano a metà percorso, quando dall'alto cominciarono a precipitare grosse pietre, che ne trascinavano altre incontrate lungo il pendio. Per scansarle, Ruggero spinse al galoppo il suo cavallo e ordinò al palafreniere responsabile del cavallo di Adele di allontanarsi velocemente. Assicuratosi della rapida esecuzione del suo ordine, si girò e scoprì che i massi precipitati lo avevano separato dal resto dell'esercito e che insieme a lui erano rimasti soltanto due soldati della guardia.

Senza perdersi d'animo, Ruggero cercava di decidere il da farsi, quando una ventina di uomini armati circondarono lui e i due soldati. Erano tutti appiedati e Ruggero scese dal suo cavallo e prese la sua lunga spada legata all'arcione. Con essa cominciò a battersi contro gli assalitori, affiancato dai due soldati.

Adele era rimasta a guardare indietro per tutto il tempo e ora, visto Ruggero circondato, ordinò al palafreniere di tornare indietro.

“Signora, non posso disubbidire a sua Maestà. Egli ha ordinato di portarVi in salvo.” disse il palafreniere.

“Fermati, vile. Egli è il Signore di entrambi e noi abbiamo il dovere di essergli accanto nel pericolo, o per salvarlo o per morire con Lui!” disse Adele, con un tono perentorio, che ella stessa non credeva di poter avere.

Al palafreniere non rimase che ubbidire e girò il cavallo indietro. Lo stesso fecero i due soldati, ai quali Ruggero aveva ordinato di scortare Adele.

Il gruppo non aveva percorso più di cinquanta passi, quando si udì alle loro spalle un galoppo sfrenato. Erano gli uomini dell'avanguardia, che, udito il boato delle pietre che franavano, tornavano indietro a gran galoppo.

Quando essi la superarono e furono in vista del Re, Adele si sentì risollevata. Ma durò poco. Quando ancora essi non erano giunti fino al Re, altri assalitori si aggiunsero ai due, che Ruggero e i suoi due uomini non avevano ancora uccisi o feriti. Uno di questi colpì Ruggero alle spalle con la sua corta spada e Adele vide il suo sangue sgorgare copioso. Svenne fra le braccia di Matilde e non poté vedere il Re che rapidamente si girava e colpiva con la sua spada il suo assalitore al cuore.

Ferito com'era, però, non avrebbe potuto resistere ad altri assalti. Per fortuna giunse l'avanguardia, che uccise tutti gli assalitori che non si arresero subito.

La breve battaglia era finita e uno dei soldati, abituato a curare le ferite dei suoi compagni, tamponò la ferita di Ruggero, perché non perdesse ancora sangue.

Intanto Adele, riavutasi, scese dal suo cavallo e si avvicinò a Ruggero. Non badò neppure a inchinarsi davanti a lui, ma con gli occhi bagnati per le lacrime e con la voce tremante per la paura provata e ancora presente, gli disse:

“Mio Signore! State bene, mio Signore?”

“Non temere” le disse il Re, accarezzandola “non temere, bambina mia. Il tuo Signore non può essere abbattuto da simili vigliacchi.” e poi, rivolto al capo della sua guardia: “Portatemi i prigionieri! Voglio interrogarli.”

Intanto la gola era stata liberata dalla frana e il resto dell'esercito si riunì a Ruggero e all'avanguardia.

Quando i prigionieri furono davanti al Re, s'inginocchiarono e posarono la fronte a terra. Uno di essi, tirato da due soldati, si alzò e ascoltò il Re.

“Perché mi avete attaccato? Non sapevate che sono il vostro Re?”

“Non lo sapevamo. Il nostro padrone Aginulfo, su suggerimento del suo ospite Bernardo di Chiaravalle, ce lo ha ordinato. Lo stesso Bernardo ci aveva detto che le vostre insegne sono false e che Voi siete un usurpatore, al quale non dobbiamo obbedienza. Anzi, se non avessimo ubbidito, saremmo stati inghiottiti dalle fiamme dell'inferno per l'eternità.”

“E voi avete creduto alle parole di un pazzo?”

“Le sue parole ci sono sembrate ispirate da Dio!”

“Le sue parole! Le sue farneticazioni, piuttosto!”

“Non potevamo sapere...”

Ruggero lo interruppe e con la irremovibile durezza del forte gli disse:

“A te e a quelli come te non è dato sapere altro che il tuo Re è il padrone della tua vita e di quella del tuo Aginulfo. Costui non può né deve essere ubbidito quando ordina qualcosa contro il suo Re. Lo stesso Bernardo finora è stato un mio suddito, ma presto penzolerà dal più alto torrione del castello del tuo Aginulfo, che gli farà compagnia.

Anche tu gli farai compagnia, se non eseguirai quanto sto per ordinarti. Tornerai al castello di Aginulfo e riferirai che il suo ordine è stato eseguito. Dirai che il Re è stato ucciso e che il suo esercito è tornato verso Napoli e che i tuoi compagni sono rimasti qui a guardia dei prigionieri e in attesa di essere raggiunti da lui.

Hai ben compreso, gaglioffo?”

“Sì, Maestà. Sarò convincente e domani mattina saremo qui.”

“Allora vai, gaglioffo. Ne va della tua vita e di quella dei tuoi compagni!”

Allontanatosi l'uomo a briglia sciolta, Ruggero fece allestire la tenda reale per la notte. Quando essa fu pronta, comandò ad Adele di entrarvi e di aspettarlo. Poi diede disposizioni di preparare il campo e di disporre il doppio delle guardie, alle quali doveva darsi il cambio ogni ora invece che a ogni due ore. Lo scopo, i soldati lo capivano, era quello di tenerli più svegli e più attenti.

Quando tutto fu pronto, il Re si allontanò verso la tenda. Era appena entrato, che due soldati vivandieri portarono due cosciotti di agnello e alcune verdure. Posarono tutto su un tavolo al centro della tenda e, ricevuto l'ordine del Re, si allontanarono.

“Vieni” disse il Re, rivolto ad Adele “vieni e mangia qualcosa con me. La giornata è stata stancante e abbiamo sciupato molte energie.”

Adele si avvicinò e sedette di fronte a Ruggero. Disse, però:

“Mio Signore, perdonatemi, ma non ho fame. Mangiate Voi, piuttosto. Avete perso sangue per la ferita e occorre che Vi riprendiate.”

“Non ho perso troppo sangue, ma così come un sacco vuoto non può stare in piedi, anche un uomo digiuno non può. Non può pure una donna e io, Adele cara, domani avrò bisogno di te in pieno possesso delle tue forze. Anzi, non è escluso che ne abbia bisogno anche questa notte.”

“Se lo ordinate, mi sforzerò di mangiare, mio Signore.” e prese il pezzo di carne che Ruggero aveva tagliato e teneva sulla punta del suo pugnale. Lo mangiò a piccoli morsi, che masticò lentamente, contenta di vedere il Re, che mangiava a grandi morsi e masticava appena e che la guardava sorridente. Di tanto in tanto beveva il vino direttamente dalla brocca e qualche volta ne offriva ad Adele.

Questa cena durò più di un'ora. Poi vi fu il terrazzo e i cinguettii di buona notte degli uccelli; infine un'altra notte d'amore e poi il sonno ristoratore.