Cefalù 23 Dicembre 2013, ore 18.
PERFORMANCE TEATRALE al TEATRO “CICERO” - “I Narratura”.
di Giuseppe Maggiore
Invitato insistentemente da uno “scalpitante” Antonio Barracato, pigmalione di tante iniziative culturali intraprese e tutte portate onorevolmente a termine, da poco tempo anche “vate” in una dimensione letteraria di stampo puramente vernacolare e, nel prosieguo, creatore e coordinatore di una compagine artistica, teatrante, itinerante nel comprensorio, dall’esplicativa denominazione “i Narratura”, pure essa operante non da molti mesi (e chi non lo conosce?!), mi sono recato al teatro comunale “Cicero” per una annunciata esibizione del sopradetto gruppo dialettale.
Ad onor del vero debbo ammettere che per quanto m’interessino tutte le dimensioni culturali in genere, non sono particolarmente attratto da quelle etniche.
Tuttavia, essendo stato proprio Barracato ad invitarmi, quasi esigendo la mia presenza in teatro (premetto, in sintesi, che Antonio, ex collega di banca e di set, come ebbi a scrivere altrove, è un carissimo Amico oltre che “discepolo” mio, come Lui affettuosamente si professa), non ho potuto dispormi diversamente e, facendo di necessità virtù, come si dice, ho aderito all’invito presentandomi in sala all’ora canonica.
Affollatissima!
Non trovavo un posto ove sedermi. Per mia fortuna si accorse di me la Gent/ma D.ssa Antoniella Marinaro, lungimirante giovane donna colta, adusa e promotrice di collaterali prestigiose iniziative nonché Assessore (io direi “Assessora”, comunque, per non toglierle nemmeno un atomo di femminilità) alla Cultura del Comune di Cefalù, la quale, vedendomi errare come un povero don Chisciotte in cerca di uno scanno più che di una ipotetica Dulcinea (senza lancia e senza scudiero, fra l’altro), ebbe pietà di me e cortesemente mi fece sedere quasi accanto a lei, in prima fila, quella riservata ai “blasonati”, insomma; fila che, in parte, era già stata occupata da altri quattro maggiorenti (così fui “quintus inter pares”, o quasi).
Preceduto da una prolusione ad hoc di Gaetano Forte, impeccabile aedo perfettamente in tono con la manifestazione in itinere nonchè attore teatrale della più bell’acqua, adatto al ruolo sia come figura da palcoscenico che come indole e capacità espressive (e pure interprete cinematografico da me utilizzato in quest’ultima veste in alcuni miei film, anche come doppiatore sempre con risultati altamente eccellenti) e in più anche scrittore e Direttore Artistico del denominato gruppo, Antonio Barracato, quale capostipite di quest’ultimo, ha preliminarmente e sommariamente evidenziato le linee essenziali alle quali si sarebbe uniformata la recita de “i Narratura”. Poi. costoro, alternandosi, hanno cominciato a declamare i propri pezzi.
Si sa che il vernacolo, quello siciliano soprattutto (ma credo che nessun’altro consimile idioma sfugga a tale catalogazione), ha un suo stile e una sua particolare metrica; ma non una specifica sintassi (quella che ha è molto elastica, tuttavia), né pertanto fornisce un titolo abilitante all’artista che lo fà suo.
Dal che ne viene inevitabilmente che ogni autore (e qui ripeto una concezione già licenziata nella mia prefazione al libro di poesie siciliane di Antonio) lo usi secondo un proprio intuito, modificando ad arbitrio congiunzioni e parole.
Il vernacolo viene, quindi, utilizzato “ad usum delphini”, come si dice. C’è, infatti chi scrive “di” e chi “ri”, c’è chi scrive “pi” e chi “pri”, chi rafforzando consonanti come “cca” in certe significazioni e chi, invece, “ca”. E potrei continuare ad libitum; ma questa non è la sede opportuna per intessere un discorso grammaticale, del quale, fra l’altro, non mi ritengo neppure capace e, pertanto, ritorno al filone programmatico iniziale che muove questi miei sparuti righi.
Barracato, per primo, dunque, ha letto una sua lirica con capacità di timbro e di espressione.
Debbo dire a questo punto e andando alla sostanza, che Antonio in questa sua nuova espressione artistica licenziata in chiave squisitamente poetica, rlelabora uno spirito di osservazione non comune, una intuizione più che profonda ed ancora, per me incredibile dictu sino ad ieri (un “ieri” traslato), una versatilità al logos siciliano di tutto rispetto, per quel che mi è dato di dedurre dal lessico.
A lui sono succeduti gli altri due autori facenti parte della compagine: Catalano e Ranzino.
Il tutto, sin dalla presentazione armonica fatta dal misurato Gaetano Forte, condito da pertinenti e interessanti brani musicali composti ed eseguiti magistralmente sulla chitarra dall’eccellente Salvo Leggio, musicologo e collega di banca a quanto ho saputo..
Mi corre l’obbligo, qui, di affermare che la manifestazione recitativa e musicale nel suo insieme è stata per me una rivelazione inaspettata ed inusitata, perché artisticamente non avevo avuto alcun sentore della eccellenza di nessuno dei tre autori: né di Catalano, né di Ranzino e né di Leggio, ognuno secondo le proprie specialità.
Con Franco Catalano non avevo nemmeno mai parlato; lo conoscevo solo di vista. Sapevo sino a pochi giorni fa che gestiva un esercizio commerciale per la vendita di souvenirs e nient’altro. Ma mai avrei potuto immaginare che scrivesse anche e che avesse un animo sensibilmente lirico versato all’esternazione poetica. Anche lui osservatore acuto e sensibile con impronta critica focalizzata sull’umana realtà.
Proprio l’altr’ieri, infatti, mi è stato presentato in Piazza Duomo dal comune amico Italo Piazza (anche lui versato nella scrittura, come ebbi modo di costatare quando, in passato, mi fece leggere dei testi da lui concepiti). Catalano, nell’occasione di tale incontro, mi aveva anche invitato, sempre al teatro “Cicero”, alla presentazione di un suo libro di poesie (manifestazione alla quale, tuttavia, non sono riuscito a partecipare per precedenti miei contratti impegni) dall’ambizioso titolo “Sicilia terra mia”; libro che mi ha anche regalato con dedica e dal quale testo è stata tratta una lirica che poi lui ha letto nel contesto della serata.
Ho avuto modo di scorrere qualche composizione contenuta nella raccolta regalatami e mi sono trovato di fronte ad una evidente tendenza espressiva che in una composizione lessicale rappresenta il motore trainante di tutta la poetica dell’autore; una poetica scevra da ogni indottrinamento o da artefazione.
La “sicilianità” o, meglio, la “cefalutanità” di Franco Catalano, prorompente e sincera, sgorga dalla silloge con veemenza cristallina e immediata come l’acqua che erompe da una sorgiva alpestre.
L’Autore disquisisce su “..fatti, eventi, riflessioni e personaggi…”, così come dichiara nell’incipit del testo e continua focalizzando il concetto che le sue liriche sono state scritte e licenziate alle stampe con l’intento di “..non dimenticare le nostre origini, la nostra lingua, la nostra cultura, vivendo il presente, guardando il passato, proiettati nel futuro…” (sic!)
Ranzino, palese erede di una cultura popolare, onnipresente, rude in certi passaggi, anche farsesca, se vogliamo, dove l’estemporaneità dell’espressione gergale favorisce un effetto finale immediato pregno di evidente sincerità (cultura dialettale che si è formata sulla scia di un’atavica saggezza di proverbi, di modi di dire comuni, di elementari logiche di pensiero che il travaglio del quotidiano non manca di forgiare), Ranzino, dicevo, col suo stile diretto e senza fronzoli teso ad affrontare l’attualità attraverso il velo della lirica minimizzando le “res adversae” e rendendole sormontabili e compatibili, è il tipico interprete di una esistenzialità paesana.
Per non parlare, poi, di Totò Bianca, zampognaro d’animo e di elettiva professione, che, quale appariscente continuatore della elegiaca naturalità del precursore Carmine Papa, intende autorevolmente rappresentare l’essenza contadina siciliana sempre vigile a valutare i fatti intervenuti di cui è spettatrice.
Nella sua pittoresca esibizione offerta, accompagnato dalle dolci nenie pastorali che sa trarre dalla sua duttile cornamusa, ha riproposto una vitalità rurale obsoleta ma mai dimenticata.
Serata riuscitissima per l’impegno e la passione profusi nella performance da tutti i componenti la compagine de “i Narratura”; alla fine della quale, a sorpresa, dalle mani dell’Assessore Antoniella Marinaro, personaggio competente e liberale la cui disponibilità nel suo specifico dicastero è di prammatica e che ha presenziato oltre che in nome proprio anche in rappresentanza del Comune e dei “Narratura” stessi, mi è stata consegnata una targa per qualche mia ipotizzata valenza culturale.
Giuseppe Maggiore