Ricamarte: Farfalle di Tradizione e Innovazione

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7 Dicembre 2013, 19:37 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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RICAMARTE: FARFALLE DI TRADIZIONE E INNOVAZIONE
di Rosalba Gallà
 

C’è un luogo magico a Cefalù, la Porta Pescara, dalla quale osservare il mare, sentirne gli odori e i suoni è un’esperienza unica e sempre nuova. Da quella Porta puoi osservare la Marina, il molo, la spiaggia, le barche dei pescatori: è il cuore di Cefalù, della sua gente, dei suoi pescatori. Quel posto magico, denso di storia e tradizioni, racchiude uno scrigno che contiene tesori e tradizioni solo apparentemente distanti da quelli del mare. È il laboratorio/esposizione di RicamArte che dal 2000 ha avviato l’attività di Scuola di Ricamo e dal 2005, in convenzione con il Comune di Cefalù, opera in quell’incantevole cornice.

Tradizioni solo apparentemente distanti da quelle del mare, dicevo: prendiamo, ad esempio, due tecniche molto diverse tra di loro, praticate e insegnate nella scuola, e cioè il filet e il macramè. Che cos’hanno in comune con l’ambiente marino? Sicuramente la loro origine o parte della loro storia e il fatto di essere passate, nel tempo, dalle mani maschili di pescatori e marinai alle più delicate mani femminili.

Il filet, parola francese che vuol dire rete, era originariamente frutto di un’attività maschile, precisamente di pescatori che, per realizzare le loro reti, annodavano fili con un lungo ago di legno a doppia cruna aperta, chiamato modano, così definito dall’enciclopedia Treccani.it: Piccolo regolo cilindrico di materiale vario (legno, plastica, ecc.), lungo circa 10 cm e di diametro variabile, che si usa, insieme con l’ago, per tessere le reti da pesca e dalla cui circonferenza dipende la misura della maglia.

Tutti noi cefaludesi abbiamo negli occhi della mente e del cuore l’immagine dei nostri pescatori intenti a preparare o riparare le loro reti.
 


 

La lavorazione delle reti da pesca (ma anche da caccia) è molto antica, addirittura preistorica, e diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo: solo successivamente divenne attività di donne che adattarono la tecnica alla creazione di ornamenti per corredi e arredi. La differenza rispetto all’attività dei pescatori è negli strumenti utilizzati, il modano e il ‘ferro’, di diametro ridotto. “E’ nel momento in cui inizia la civilizzazione che  viene utilizzato per decorare gli abiti, ricamando le maglie della rete con oro, argento e fili colorati e se ne fa un uso diverso da quello che fino a quel momento era di semplice “rete”.  Isaia nomina le bordure in filet che ornavano tuniche ebraiche, Omero descrive i veli in filet tessuti d’oro con i quali si ornavano le donne greche, gli egizi guarnivano i loro abiti regali con filet ricamato, come possiamo vedere nei bassorilievi e nelle pitture dei sarcofagi provenienti dall’Egitto. La moglie di Claudio, imperatore romano, comparve ad una festa con un abito in filet d’oro regalatole dal consorte. Era conosciuto anche dai Mori, dai Saraceni e dagli Arabi.  In Cina era utilizzato come supporto per un ricamo leggero e trasparente e da lì arrivò in Europa nell’ XI e XII secolo” (tratto da http://www.bolsenaricama.it/). In Italia la tradizione del filet è antica e conosce diversi punti di irradiazione ma, volendo restringere il campo di interesse, si può senz’altro affermare che in Sicilia, già dal 1300, la lavorazione del filet era fondamentale per la realizzazione dei preziosi corredi che le giovani ragazze ricevevano in ‘dote’ al momento delle nozze.

L’idea di ricamarvi sopra, considerando la rete realizzata con il modano solo una base, risale comunque al XVI secolo, quando questa tecnica visse un periodo di grande diffusione. In tutte le famiglie si lavorava il filet, sia in quelle aristocratiche che in quelle contadine: ciò che cambiava era la preziosità dei filati utilizzati e, in generale, il valore dei materiali. Inoltre esistevamo dei ‘modellari’ cui ispirarsi per la realizzazione dei ricami. Si dice, ad esempio, che Caterina de’ Medici si dedicasse spesso al filet e sono stati trovati molti suoi elementi di corredo realizzati con questa tecnica.

“Una bella leggenda italiana racconta di un giovane pescatore veneziano che, partendo per la guerra d’Oriente, lasciò in dono alla sua amata una rarissima alga di prodigiosa bellezza. Mentre la fanciulla aspettava il ritorno del suo innamorato, lontano ormai da tanto tempo, l’alga cominciò ad appassire e perché non andasse perduta la bellezza del dono e non intristisse anche il suo amore, ella imparò a riprodurla, tessendo con l’ago sulla più fine delle reti da pesca del padre” (blog filid’oro – Storia del filet).

Nel momento in cui le donne si appropriano della tecnica della rete a modano, essa acquista delicatezza, eleganza e le piccole maglie, realizzate con modano e ferri sottili e con filati altrettanto sottili, rendono il filet quasi impalpabile. Una volta realizzata la rete, essa viene sistemata sul telaio affinché si possa creare il ricamo di riempimento con diversi punti.

Negli ultimi anni si sta diffondendo l’uso della rete prodotta a livello industriale che, evidentemente, abbassa il livello qualitativo e il pregio del manufatto. Pochi sono ancora i luoghi che conservano questo patrimonio della tradizione, che lo tutelano e che desiderano tramandarlo. RicamArte è un di questi luoghi. Nella sua organizzazione interna, la lavorazione e l’insegnamento del filet sono curati da Ida Cannatella.

Centro bicolore ecrù/rosa (particolare)

Il centro bicolore è frutto di una sperimentazione per la quale il passaggio da un colore all’altro e da un punto all’altro (punto tela e punto rammendo) avviene senza lasciare la maglia vuota, come, invece, accade nel ricamo tradizionale del filet: l’effetto che ne consegue è quello della continuità, come delle pennellate, che pur variando per colore e intensità, non lasciano spazi bianchi.

Tovaglietta con disegno classico, punto tela e punto rammendo, rete ecrù e ricamo bianco
 

Bomboniera

La bomboniera è stata realizzata su disegno di Tilde Coco per la partecipazione al concorso biennale internazionale “Italia invita”, a Rimini.

Tovaglietta rotonda, intaglio, punto tela e punto rammendo, rete ecrù, ricamo bianco ed ecrù
 

Nel caso della tovaglietta rotonda, troviamo un’altra applicazione del filet che viene utilizzato come inserto su stoffa, ma esso può essere utilizzato anche nell’ambito dell’arredamento, ad esempio per la decorazione di un paralume.
 

Paralume con decorazione di filet

Ampia diffusione ha avuto nell’ambito dell’abbigliamento e della realizzazione di gioielli:

Completo Jeans

Nel completo jeans è stato utilizzato un modano più grosso e nel corso del ricamo al telaio sono state inserite delle perline.

Abito nero con inserto in filet

Il filet è stato realizzato con tecniche originali, lavorato con lurex argento, a punto tela ‘alternato’ e punto rammendo in seta con inserimento di perline.

L’abito ha conseguito il 3° premio alla prima edizione del Concorso internazionale di Stile e Moda di Pietrasanta.

Orecchini filet

La particolarità di questi orecchini è che è stato eliminato l’effetto ‘spigolo’ della rete e, con una tecnica originale consistente nell’uso del punto occhiello senza una base, si realizzano le linee curve. Gli orecchini sono stati realizzati con filo metallico.

Orecchini in filet

Anche il macramè è una tecnica che ha conosciuto diversi passaggi da mani femminili a mani maschili  e viceversa.

La parola ‘macramè’ “deriva dall'arabo mahramatun (fazzoletto) o da migramah (frangia per guarnizione), da cui vengono anche i termini turchi-ottomani mahrama e makrama (asciugamano o fazzoletto da capo con decorazione ricamata o tessuta)”  (M. Daniela Lunghi e Loredana Pessa: Macramè – L'arte del pizzo a nodi nei paesi mediterranei, 1996, Sagep Editrice, Genova); secondo altri studiosi, la parola "macramè" deriva dalla fusione di due parole arabe: "mahrana", che significa "frangia" e "rame", che significa "nodo", con riferimento proprio al nodo che è la base di questa tecnica di produzione artigianale e artistica, consistente nel creare decorazioni per i corredi e gli arredi annodando diversi fili. Si tratta di una tecnica antica, nata da una necessità pratica: sembra che già nelle prime civiltà mesopotamiche e in quella egizia i tessitori avessero imparato ad annodare i fili dell’ordito (quelli disposti verticalmente nel tessuto) per evitare che la trama si sfilasse. Dalla necessità di evitare la ‘sfrangiatura spontanea’ del tessuto, si passò quindi alla creazione di frange di chiusura: dalla necessità tecnica all’uso decorativo il passo fu breve. Ebbe grande diffusione in oriente e il mondo arabo ebbe un ruolo determinante nella sua diffusione nel bacino del Mediterraneo. Il macramè giunse in Italia probabilmente intorno al 1400: fu diffuso dai marinai che, imbarcati sui velieri, trascorrevano le lunghe giornate delle traversate realizzando svariati oggetti con fili di corda annodati (cinture, amache, tessuti di vario genere), secondo la tecnica appresa in Arabia, oggetti che spesso, nei porti, venivano barattati per ottenere un alloggio, un pasto e tutto ciò che risultava necessario per riprendere la navigazione. Probabilmente c’è stata una contaminazione tra le antiche annodature e i nodi marinari. Secondo altre fonti, invece, il macramè giunse in Italia grazie ai crociati che tornando dalla Terra Santa, portavano con sé oggetti ottenuti mediante razzia o acquistati come ricordo del loro viaggio avventuroso. Nel momento in cui il macramè ritornò sulla terra ferma, passò nuovamente a mani femminili che, utilizzando filati sempre più sottili, lo trasformarono in una trina raffinata e di pregio, realizzata con sviluppo modulare. Si deve alle donne liguri la grande applicazione della tecnica del macramè nei corredi nuziali e in varie forme di arredo e centro di irradiazione fu Chiavari.

Nella scuola/laboratorio RicamArte è Tilde Coco ad occuparsi del macramè, come della tessitura, nel desiderio di salvare quest’arte che non può entrare nei circuiti industriali, che non necessita di alcun attrezzo, ma che ha bisogno solo di mani sapienti e pazienti che, sulla base di un’idea progettuale, con a disposizione un certo numero di nodi base, creano originali disegni modulari. E così, anche nel laboratorio cefaludese, si lavora la frangia naturale del tessuto che altro non è che la prosecuzione dei fili dell’ordito, oppure si crea una base con un filo porta nodi da cui far partire la lavorazione: in ogni caso, la lunghezza dei fili deve essere almeno sei volte maggiore della lunghezza che si vuole ottenere a lavoro ultimato. Le frange, come è stato già detto, hanno un andamento modulare, cioè i disegni si ripetono con un ritmo costante.

Strisce da tavolo
 

Gioielli in macramè

Tra le tecniche utilizzate nella scuola c’è sicuramente quella Cavandoli (consistente nell’utilizzare fili di due o più colori e nel lavorare i fili in maniera da ottenere un ‘effetto a scacchiera) e la Margarete.
Quest’ultima merita un’attenzione particolare, a cominciare dalla donna tedesca che l’ha inventata agli inizi del ventesimo secolo: Margarete Neumann.


Il macramè Margarete consiste nel raccogliere gruppi di fili in fasci trattenuti insieme dal cordoncino: aprendo e chiudendo il fascio  è possibile dirigere i fili in tutte le direzioni creando disegni originali, con la possibilità di inserire diversi materiali e decorazioni, come perline e strass, e con effetti tridimensionali.
Margarete Neumann avrebbe voluto che la sua tecnica creativa potesse trovare ampia diffusione, riconoscendone anche la grande potenzialità economica e si rendeva conto che si stava perdendo una grande occasione; lei stessa scrisse che “non si può immaginare quante nuove interpretazioni si possono fare per il mercato. Con la trascuratezza della mia invenzione va perduto un possibile profitto". Lo scoppio della seconda guerra mondiale rese ancora più difficile la diffusione della sua tecnica. Morì nel 1946 e fu Lotte Heinemann a riscoprire la sua tecnica innovativa  attraverso vecchie pubblicazioni: ne studiò i lavori e pubblicò il libro Margaretespitzen: lo studio, appunto, del pizzo Margarete. In Italia, Adriana Lazzari, già insegnante di macramè, ebbe modo di conoscere il libro Margaretespitzen e decise di dedicarsi allo studio della tecnica “Margarete” e alla sua divulgazione.

Il macramè, con tutte le sue tecniche e. in particolare, con la Margarete, trova applicazione anche nella realizzazione di gioielli, nel settore dell’abbigliamento e dell’arredamento.

     

Gioielli realizzati in macramè Margarete
 

 

Inserto per abito in macramè Margarete e orecchini

Partendo dall’elemento metallico centrale, c’è stato l’inserimento in una circonferenza e il collegamento attraverso una barretta metallica che in realtà è un porta nodi da cui si dipartono i fili che vengono lavorati con un altro filo (come nella tecnica Cavandoli) attraverso i nodi, alternando cordoncino verticale, orizzontale e perline.

Corpetto in macramè
 

Abito da sposa
 

 Paralume con macramè

Paralume con macramè Margarete

La tessitura, alla quale il macramè, come abbiamo visto, è strettamente legato, è considerata una delle tecniche più antiche e più diffuse che l’uomo abbia mai inventato. Nata dalla semplice arte dell'intrecciare, la creazione del tessuto è il risultato delle trasformazioni del neolitico, quando l’uomo passò dalla vita nomade e dall’economia di prelievo alla vita sedentaria e all’economia di produzione, da cacciatore ricoperto unicamente di pelli ad agricoltore ed allevatore, con  la possibilità di ricavare fili da intrecciare dalle fibre vegetali e dalla lana di diversi animali, in conseguenza delle sue nuove attività lavorative. E’, quindi, un’arte antica quasi quanto l’uomo e nel corso del tempo si è trasformata ed evoluta, non limitandosi più a rispondere  ad una semplice necessità, ma assumendo sempre più caratteristiche decorative e creative e divenendo espressione della cultura dei popoli. La tessitura ha attraversato secoli, con leggende e miti, ed è entrata nelle opere letterarie: come non pensare alla Penelope omerica che tessendo la sua tela e disfacendo il suo lavoro per venti lunghi anni prendeva tempo nei confronti dei suoi pretendenti, affermava la scelta di aspettare Ulisse e decideva il destino di Itaca; come non pensare ad Aracne, fanciulla talmente consapevole della sua abilità, da sfidare la dea Atena che, infine, la condannò a tessere per sempre sospesa ad un filo. Ma anche Arianna a Creta dà un filo a Teseo e lo fa uscire dal labirinto: una fanciulla, avvezza come tante ai lavori femminili, usa il filo in maniera innovativa, facendolo diventare simbolo della possibilità di salvarsi dalle situazioni intricate, dove i fili, invece, sono imbrogliati. Il filo diventa metodo, linea di condotta da seguire e, ancora oggi, ci sono modi di dire che si rifanno proprio al filo come, ad esempio, Perdere il filo del discorso o Seguire un filo logico: per chi tesse, perdere un filo vuol dire bloccare il lavoro, rovinarlo e, spesso, dovere ricominciare da capo. Tante le fanciulle cresciute dedicandosi al lavoro del telaio: come non pensare a Silvia “allor che all’opre femminili” sedeva intenta con “la man veloce che percorrea la faticosa tela”.

“Un confronto tra prodotto tessile preistorico e contemporaneo dimostra che non ha senso vedere la storia del tessuto  come un percorso lineare in termini di progresso tecnico: molti dei materiali, delle tecniche, delle forme in uso nell'antichità lo sono ancora oggi.
Ciò che rende il prodotto tessile estremamente complesso e rivelatore dell'ingegno umano è il fatto che nella fabbricazione del tessuto si include anche la creazione della materia prima, diversamente da ogni altra forma di artigianato  dove  l'uomo  interviene  sulla materia già esistente quale pietra, legno, terra ....” (Sulle tracce della tessitura a “liccetti" – itinerario storico-turistico, Provincia di Macerata)

Particolarmente significativo è il rapporto tra tessuto e scrittura: “testo” deriva dal latino “textus”, che vuol dire proprio “tessuto”, per cui un testo altro non è che un intreccio di parole in cui l’ordito e la trama si combinano armonicamente in ‘disegni’ sempre nuovi.

Ce lo suggerisce anche Dante nel XVII  Canto del Paradiso, alla fine della profezia di Cacciaguida, quando, riferendosi alla risposta del suo avo afferma:

"[..] si mostrò spedita
l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch'io le porsi ordita".

“Ordire è la preparazione dei fili longitudinali attraverso i quali passerà la trama trasversale […] Il tessuto nasce dall'incontro di due elementi: ordito e trama. Diversa è la maglia o la rete, dove un unico filo si intreccia su sé stesso. Ciò spiega perché, in senso figurato, la maglia o la rete lasciano intendere un coinvolgimento più violento (presi nella maglia di un imbroglio... cadere nella rete). Tessere no, è l'arte del comporre intrecciando diversi elementi, di cui uno, l'ordito, si apre per accogliere la trama, in un susseguirsi di andate e ritorno, insieme per costruire, formare il tessuto”. (Op. cit)

E il tessuto diventa metafora della vita stessa perché i fili che si intrecciano rappresentano le relazioni umane e gli incroci esistenziali, sempre diversi, sempre nuovi, talvolta imprevedibili, come i disegni dei tessuti.

Preparare un ordito è lavoro lento e paziente e per realizzare il tessuto prezioso di un abito, Tilde Coco ha sistemato 1275 fili, da far passare in otto licci, maglia per maglia, filo per filo.

Abito realizzato con una tessitura complessa
 

Tessuto con disegni ispirati alle decorazioni ceramiche della produzione “Meli”.
Tecnica del sumak, consistente nell’avvolgere il filo attorno all’ordito. La frangia a macramè riprende tutti i punti e i disegni del tessuto.
 

Se il tessuto è metafora del combinare le parole per creare un testo, il chiacchierino rinvia alla chiacchiera e, probabilmente, al fatto che le donne dedite a quest’arte, mentre eseguivano i loro nodi, parlavano tra di loro. Anche in inglese, il termine ‘tatting’ con cui viene indicato, “definisce il mormorio sommesso delle donne che, nell’eseguire meccanicamente un lavoro che non richiede concentrazione, in passato impegnavano molto le mani per annodare i fili e ancor di più la bocca per tramare congiure. Basta ricordare che la stessa Madame de Pompadour, forse la più famosa maestra dell’intrigo, era un’eccellente tessitrice di pizzi al chiacchierino, o, per meglio dire, di frivolité, come veniva, e viene ancora, chiamato in Francia e nei Paesi scandinavi. Sicuramente, questo nome sta a indicare la delicatezza e la fragilità dei pizzi ottenuti con quest’arte. Nei Paesi arabi e in Turchia il suo nome, makouk, deriva invece dalla forma d’occhio allungato della navetta, mentre in Germania, per lo stesso motivo, è chiamato Schiffchen. Comunque lo si chiami, è pur sempre un’arte, anzi molto antica, visto che, in Egitto, è stata rinvenuta una mummia la cui veste è decorata con una trina al chiacchierino”. (http://www.webalice.it/2sca03/IL_CHIACCHIERINO.html)

In effetti, al di là delle origini etimologiche dei termini, il chiacchierino è una tecnica complessa che richiede attenzione e pazienza per la conta dei nodi, tanto più che un errore risulta irreparabile perché il lavoro non può essere scucito: pertanto, la realizzazione del chiacchierino spesso richiede silenzio.

Il chiacchierino è una tecnica che deriva dal macramè e nel corso del Settecento ebbe ampia diffusione e molte furono le donne di rango reale a dedicarsi a questa attività, come testimoniano opere letterarie e dipinti.

“Questo è anche il secolo in cui il chiacchierino gode di maggior fama: le navette in oro, argento, avorio e tartaruga con pietre preziose incastonate, vengono addirittura sfoggiate a teatro, come piccoli gioielli. Dall’Europa, il chiacchierino emigrò in America dove le donne lo accolsero favorevolmente anche se le loro navette erano in osso o in legno. Si dice che la guerra civile americana sia stata sovvenzionata con la vendita di molti manufatti eseguiti proprio al chiacchierino. La stessa Rossella O’Hara, la protagonista del famoso “Via col Vento” di Margaret Mitchell, lavorava al chiacchierino” (sito già citato).

Nella scuola RicamArte, Teresa Giardina fino a un anno fa si è occupata della lavorazione e dell’insegnamento del chiacchierino: oggi diverse sue allieve ne continuano l’attività.

Se è vero che il chiacchierino deriva dal macramè, è diversa la tecnica di lavorazione. Abbiamo già detto che il macramè non utilizza strumenti, ma solo l’abilità delle dita della mano: per realizzare il chiacchierino è necessaria la ‘navetta’ che contiene la ‘spoletta’ e può essere con o senza uncinetto. Ogni nodo è composto da due mezzi nodi e il numero di essi determina la grandezza del tipico cerchietto. Per ottenere il cerchietto il filo si chiude intorno alle dita, per ottenere gli archi il filo si lascia aperto intorno alla mano. Con una sola navetta si realizza il cerchietto, con due navette si realizza l’arco che, in questo modo, può essere di due colori. Caratteristica del chiacchierino sono i pippiolini o picot, piccole asole che decorano il lavoro, ma che vengono utilizzati anche per unire i vari motivi o per inserire la trina nel tessuto. La tecnica Ankars consiste nell’inserire perline e strass durante la lavorazione.

Anche il chiacchierino, come il filet e il macramè, si presta a tante applicazioni.

Centrino bianco
 

Tovaglietta con bordura in chiacchierino

Abito viola con inserti in chiacchierino bicolore
 

Scialle con inserto in chiacchierino
 

Abito da sposa

Nell’abito da sposa la fascia alla vita, bordata da chiacchierino, riprende il motivo della spalla

Orecchini con effetto ‘sovrapposizione’ lavorati contemporaneamente con due navette
 

Orecchini

La storia del ricamo è vastissima e complessa e non è questa la sede per tentarne anche solo una sintesi: “può essere ricostruita per la maggior parte citando fonti storiche e iconografiche, ma non mancano, anche se ridotte in piccolissimi frammenti, testimonianze autentiche. In Egitto ed in Attica, infatti,  sono state rinvenute strisce decorative risalenti a secoli prima di Cristo e data la loro precisione ed accuratezza si desume che fossero frutto di una scuola regolare e formalmente codificata” (www. Artedelfilo.org/storia-ricamo - Estratti delle Conferenze che la Dott.ssa Maria Concetta Ronchetti ha tenuto, negli anni, durante le Mostre di Ricamo per l’Associazione Arte del Filo). L’origine è orientale e si hanno notizie di simboli ricamati su tessuti già dalla millenaria civiltà cinese; nella bibbia, in più punti, si fa riferimento a tessuto di velo o di bisso ricamato; le civiltà fluviali conobbero il ricamo e lo utilizzarono per decorare abbigliamento e biancheria; Omero parla dei ricami eseguiti da Elena a Troia,  attraverso i quali la principessa ‘raccontava’ i combattimenti tra Greci e Troiani.

Ed ecco nuovamente il contatto tra la scrittura e un’arte legata ai fili. Si può narrare con le parole, si può narrare con la pittura o con il ricamo (che alla pittura è stato associato per tanto tempo); la scrittura come ricamo, il ricamo come scrittura e racconto. Da questo probabilmente deriva l’espressione ‘ricamarci sopra’ riferita alla tendenza ad arricchire una notizia con particolari di fantasia.

“Il ricamo rappresentava il modo più semplice per impreziosire e personalizzare  i capi d’abbigliamento indossati da personaggi di grande risalto politico o religioso, aumentandone così dignità e prestigio.
In Italia, e precisamente in Sicilia, questa arte inizia intorno all’anno Mille, durante il dominio dei Saraceni, che vi introducono laboratori di tessitura e di ricamo, rispettivamente Thiraz e Rakam, dai quali escono manti cerimoniali di grande pregio. La parola ricamo, infatti, deriva dal lemma arabo raqm (racam) che significa “segno, disegno” […]
L’arte del ricamo (considerata come professione esercitata nelle botteghe - n.d.r.) era prerogativa maschile, tuttavia ci sono prove documentali che comprovano anche la presenza femminile e non solo monacale.
In particolare, era il passatempo preferito delle nobili dame ed è per queste che nel ‘500 sono pubblicati i primi libri di modelli di ricami […]
Soprattutto nel Quattrocento e nel Cinquecento, è documentata la collaborazione fra le “arti maggiori” e le “arti minori”, così accade che grandi maestri di pittura, come il Botticelli e Bartolomeo di Giovanni, preparino i cartoni per i ricamatori che poi li trasferiranno su piviali o paliotti” (sito citato)

Il ricamo come racconto, dicevo, e il ricamo è presente in tanta narrativa e poesia: come non ricordare “Il velo delle Grazie” nel poemetto Le grazie di Ugo Foscolo in cui, nell’ideale mondo di Atlantide, Pallade fa tessere un velo per le Grazie, velo su cui sono ricamati i sentimenti più elevati, in cui sono composti armonicamente il desiderio di godere le gioie della vita e la consapevolezza della sua fugacità e dei dolori che spesso l’accompagnano. Molto bello il modo in cui Erato, Musa del canto, ripetutamente invita Flora, dea dei fiori, a intrecciare i fili per rappresentare i ‘quadri’ che lei stessa le detta:

Mesci, odorosa Dea, rosee le fila;
[…]
Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;
[…]
Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;
[…]
Mesci, o Flora gentile! oro alle fila;
[…]
Mesci cerulee, Dea, mesci le fila;

L’opera, dedicata allo scultore Antonio Canova e volta ad esaltare la funzione civilizzatrice della bellezza e delle arti e a realizzare una “armonïosa melodia pittrice”, consegue uno dei momenti più alti nella descrizione di un ricamo: è  un’opera, quindi, che in vario modo collega poesia, pittura, ricamo e scultura.

E veniamo al ricamo dell’associazione di Cefalù, che già nel suo nome fa riferimento al ricamo: RicamArte, appunto, dove è Concetta Valenziano ad occuparsi di questa tecnica appresa da Pina Alberti, precedente insegnante, cofondatrice e presidente della scuola fino alla sua prematura scomparsa.

Anche qui si cerca di realizzare una ‘contaminazione’ tra le arti:

Tovaglietta in lino con ricamo a punto erba accostato

In questo caso il ricamo riproduce motivi tipici della ceramica di Caltagirone: la decorazione è racchiusa da due linee parallele realizzate con filo dorato e a punto erba.

Tenda con ricamo a punto erba accostato e nodini

Il medaglione centrale si ispira ai motivi di un particolare mattone in ceramica prodotto dalla fabbrica “Meli” di Collesano.
La fascia all’uncinetto riprende le stesse decorazioni ed è stata realizzata da Pina Alberti. Gli sfilati lungo la tenda sono realizzati con gigliuccio e punto quadro.

Vassoio con tessuto in lino con gli stessi motivi della tenda

 

Paralume e vassoio con motivo mimosa a punto nodini

 

Centro ovale in bisso di lino, ricamato a punto ombra e nodini, con bordura a chiacchierino

 

Scialle nero in seta: ricamo realizzato a punto erba, broccatello e paillettes con filati lurex

 

Scialle nero in seta: ricamo realizzato a punto palestrina con perline e medaglione in filet

 

 

Abito bianco ricamato con punto broccatello, punto erba accostato,
perline e paillettes, con filati lurex e spallina in macramè

Per concludere, ecco le farfalle realizzate con le varie tecniche (filet, tessitura e macramè. chiacchierino e ricamo) che sulle loro grandi ali portano tutto il senso del connubio fra tradizione e innovazione.

Filet

Macramè

Chiacchierino

Ricamo

Oltre alle insegnanti già citate, operano nell’ambito dell’Associazione RicamArte:
Antonella Cucchiara, Caterina Macaluso, Lucia Miceli, Mimma Norato, Mimma Polizzotto, Francesca Sellari, Teresa Vazzana.

Ringrazio Tilde Coco, Ida Cannatella, Concetta Valenziano e Antonella Cucchiara per le informazioni relative alle diverse tecniche.

Ringrazio, inoltre, Emanuele Miceli e Rosario Vizzini per le fotografie e Gianfranco D’Anna per l’impaginazione.