23 Novembre 2013, 09:33 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |
L'EROS nella pittura di GIUSEPPE FORTE
(crescit eundo)
di Giuseppe Maggiore
Tratteggio sicuro, semplice, d'effetto, con volute di colore appropriate al disegno e alla tematica trattati. Labirintici ghirigori di linee nere profuse in bozzetti a china o acquerello, di contenuto erotico, dati alla luce una diecina di anni fa (episodio circoscritto e che io sappia non più ripetuto) e tenuti quasi nascosti nell'archivio personale dell'autore fra una miriade di altri disegni. Tali tratteggi si evolvono in svolazzi chiaroscurali esaltanti l'immagine della donna effigiata nella sua più disponibile fisicità, sola o in gruppo, aggrovigliata ad altri corpi, supina o eretta, languidamente sdraiata in indolente abbandono, invitante, soffusa di ostentata mollezza, colta nel limbo di coinvolgenti lascivi atteggiamenti dalle feline statiche movenze (sembrerebbe un anacronismo, una "coincidentia oppositorum", qui, l'accorpamento dei termini "statiche" e "movenze", perché letterariamente l'uno escluderebbe l'altro, attesi i due significati contrapposti. Infatti se una figura è "statica", allo stesso tempo non può presupporre il movimento suggerito dal termine "movenza"; la giustapposizione apparirebbe, appunto, irrazionale. Ma qui non c'è contraddizione perché anche nella staticità il movimento può sussistere adombrato dalla flessuosità dei muscoli pronti a scattare, dall'atteggiamento prorompente della persona, dalla sua postura e dalla scenografia che la circonda); statiche movenze, dicevo, dunque, che inneggiano al sempiterno primordiale afflato fisico, indiscutibile supporto del nostro continuo divenire (qui mi soccorre il sempre abusato concetto eraclitiano in cui spesso mi rifugio: "panta rei").
L'artista di cui parlo, che ha al suo attivo anche un ragguardevole nutrito bagaglio di tele nelle quali i sapienti colpi di pennello dispiegano immagini di provato impatto emozionale (paesaggi serafici, incantevoli nella loro dimensione pittorica o vessati da cruente tempeste, scorci ambientali paesani, ascosi anditi in cortili suburbani o fra lo svettare dei tetti rossi di stampo contadino in caratteristici rustici centri storici, vedute che mettono a nudo la loro più intima bellezza), ha, tra l'altro, focalizzato soggetti che adombrano immaginifiche metafore attraverso le quali il fruitore viene messo a diretto contatto col suo mondo interiore più segreto tenuto quasi celato ed esternato esclusivamente a mezzo di emblematiche composizioni da interpretare.
L'inconfondibile stile del Nostro, che lo rende allogabile, forse, alla emerita classe dei Rachimburgi (di teutonica memoria), stile niente affatto nichilista bensì pervaso da puro pragmatismo sicuramente ispirato dalla vivida concezione del pleroma (stridente contrasto cosmico fra l'assoluta superiorità dello spirito sull'assoluta inferiorità della caduca materia; contrasto da cui scaturisce la veridica concezione dell' "arte", stato di grazia inteso come superamento degli imprescindibili limiti imposti dalla natura alla materia e come sublimazione dell'essenza dell'animo), si libra sulle ali dell'ingegno coniugato al gusto sopraffino che promana dalla compiacenza di sé acquisita nella ripagante fatica dell"atto creativo.
Congratulazioni al Nostro! Ha varcato il Rubicone, come si dice! Ha drizzato il suo interesse in un settore che, apparentemente, prima aveva trascurato: quello dell' "eros". Tale autore ha subito una catarsi tematica, dunque, dimostrando nel nuovo filone una valenza degna dei suoi precedenti validi assunti. E se questa "discrasìa", chiamiamola pure così (ci si passi il termine seppure in questo caso non è del tutto pertinente, ma esplicativo), ha potuto favorire nel Nostro un impulso creativo degno di nota (quantunque , come ho scritto sopra, quest'aura felicemente produttiva si sia manifestata molto tempo fa e per un periodo abbastanza limitato), è ben che sia venuta!
Naturalmente parlo del Pittore Peppino Forte. E chi se non lui, nel nostro acquario soprattutto, può vantare delle così meritate espressioni alla sua riconosciuta valenza? Egli è "primus inter pares" tra una nutrita schiera di validi artisti che in una ineludibile osmosi danno vita nel comprensorio ad un policromo mosaico culturale di pura estrazione figurativa; schiera che annovera nel suo ambito pittori del calibro di Anna Forti, di Mariella Ferrara, di Santuzza Valenziano, di Anna Maria Miccichè, di Silvana Schittino, di Sebastiano Catania, di Giovanni Di Nicola, di Ignazio Camilleri, di Franco D'Anna, di Adriana Abbate Virga, di Lucia Verderajmo Abbadessa e di tant'altri, tutti per più versi encomiabili e suscettivi di corali apprezzamenti. Il citarne per iscritto i più rappresentativi, quindi, appare atto dovuto in armonia col noto assioma che sancisce che "scripta manent, verba volant"; perché se è condivisibile che "la parola è il riflesso sonoro di uno stimolo nervoso" (Nietzsche), e, pertanto, labile nella memoria, lo scritto, immediato riflesso del verbo, diversamente e com'è intuitivo, rivela una sua natura tangibile atta a perdurare, più consona a sopportare l'inevitabile deterioramento prodotto dal tempo.
A proposito del nuovo tema erotico trattato casca a fagiolo, qui, e non so perché la cito ma mi è a grado proporla, una considerazione dotta (dotta perché viene da un dotto, sempre Nietzsche!) su un argomento da alcuni moralisti per ancestrale congettura ritenuto "pruriginoso" o, addirittura, "tabù" (concezione retrograda fortunatamente superata e quasi del tutto abrogata dalle odierne convinzioni culturali): la "sessualità", appunto. "L'enorme aspettativa - scrive il filosofo, radiografando la psicologìa femminile - riguardo all'amore sensuale e la vergogna per questa aspettativa rovinano sin dall'inizio alle donne ogni aspettativa" (sic!).
Eppure l'amore fisico, che adombra il sesso, unico deputato alla continuazione della vita, è alla base dell'esistenza. Perché anche graficamente non parlarne, dunque? E' naturale, quindi, che soprattutto un artista abbia a considerarlo senza remore o condizionamenti di sorta. In piena libertà di pensiero e di azione, insomma!.
Quest'opera subliminale dell'amico Forte, versata prevalentemente al femminile, evidenzia, e qui mi ripeto, una manualità esperta, uno stile maturo anche in un settore che credevo in Lui non usuale, se non addirittura obsoleto.
E ciò perché? Perché, oltre alle tele paesaggistiche e di scorci d'ambiente di cui ho detto prima, gli ho sempre visto effigiare Cristi e Madonne nello splendore del loro carisma, nella fantasmagorica luminosità emanata dalla Loro serafica essenza, dall'espressione maestosa ma credibilmente rassicurante allo stesso tempo, su tele, su coperchi di botti, su tavole di legno, su supporti vari insomma; gli ho visto effigiare Santi, Cherubini e Serafini, opere sulle quali già in passato ebbi favorevolmente a dissertare (il sacro nel Forte); ma non avrei mai immaginato, ribadisco, che Peppino Forte, dopo una lunga consolidata carriera in questo ieratico campo, carriera non scevra di numerosi ambiti riconoscimenti e di consequenziali soddisfacenti tappe, avrebbe mai oprato anche in una branca diametralmente all'opposto dei suoi consueti temi: la dimensione dell'eros.
E, invece, Forte l'ha fatto. A dargliene l'imput sarà stato forse un momento di particolare emotività in cui le sue latenti pulsioni vitali, risvegliandosi ex abrupto da un più o meno voluto letargo, gli hanno giuocato un tiro mancino (o, anche, "destro", se vogliamo) travolgendo l'uomo e l'artista e inducendolo a rivalutare una realtà imprescindibile (latente nel suo humus ma pur sempre presente nella sua spiccata personalità) che dormiva sotto la cenere degli anni, volutamente o passivamente relegata in un emisfero inferiore sia per pudicizia, sia per opportunità, sia per calcolato intendimento; oppure la intervenuta temporanea "catarsi" sarebbe da ascriversi ad una rinnovata presa di coscienza delle proprie pulsioni costrette da un più o meno criticabile disinteresse verso una branca della esistenza spesso ostracizzata ma, comunque, mai cancellata? Si è voluto, in sostanza, il Nostro, anche, cimentare nella dimensione erotica che, come in precedenza ripetutamente ribadito, fa parte integrante del nostro esistere o il tema, potenziato dall'esperienza, gli è stato opportunamente suggerito da qualcuno o da qualcosa, se non da una sua personale esigenza creativa, com'io credo, rispolverando un'autenticità esistenziale non scevra da una certa malizia?
Ricordiamoci, a questo proposito, ciò che scrive Julies De Gaultier nel suo impareggiabile saggio sul "bovarismo" (il credersi, cioè, diversi da quello che realmente si è) quando tratta del Genio della Specie; scrive, infatti, che praticamente l'amore, il sentimento amoroso, questo emblema della poesia del cuore, se vogliamo ammantarci di lirismo, questa "alterazione cerebrale", se invece razionalmente vogliamo circoscrivere il fenomeno allogandone la sostanza emblematica alla sfera esclusivamente anatomica, non è altro che un ben architettato bluff della natura posto a presidio della continuazione della specie.
E, quindi, in questo senso, tutte le espressioni creative che ne esaltano la fisicità sono senz'altro pertinenti, opportune e basilari nell'iter dell'intera evoluzione umana. E Forte si è impadronito del concetto e lo ha espresso in china, in acquerello, a penna con la maestrìa che tutti gli riconosciamo. In un primo tempo aveva accantonato questa sua pulsione, è vero, maturando ed esemplificando la dimensione del sacro, come accennato, ma poi, portato alla sublimazione quest'ultimo, si è inoltrato nelle latomie dell'eros trattando l'argomento da par suo e filtrandolo attraverso le maglie della sua personalissima sensibilità. Mai dire mai", insomma! In fondo, se vogliamo, l'arte è la divinità purificatrice di ogni umana esternazione; e a corollario di ciò aggiungo, inoltre, che lo stesso Nietzsche afferma ancora che essa è "la vera e propria attività metafisica dell'uomo".
D'altronde è da considerare che la dote più spiccata di un Artista (con I' "A" maiuscola) è, o dovrebbe essere, appunto, a mio modestissimo parere, la poliedricità senza remore dei temi da trattare, lo spaziare cosciente e spregiudicato in tutti i campi, insomma, il non tirarsi mai indietro di fronte a qualsiasi argomento, lecito o scottante che sia, il voler focalizzare la vita in tutti i suoi multiformi aspetti, intrisa di male e di bene, di sacro e di profano, d'amore e di odio, di gioia e di tristezza, di coraggio e di paura.
E nei disegni, nei quadri, nelle studiate metafore pitturali del Forte con le quali viene esteriorizzata la sua volontà costante del fare, del creare, del mettere a nudo il proprio humus di fronte ad una realtà esteriore spesso ottusa, tutto ciò è presente, latente o manifesto, chiaro o ambiguo che sia. Adombra, Egli, l'idea matrice che ha prodotto l'opera, espressione diretta del suo più recondito anelito al bello, attraverso il dispiegarsi delle linee, dei colori e dei soggetti (come, d'altronde, fanno tutti gli altri artisti che non sono mestieranti), fattori determinanti, questi, che danno all'immagine quell'invidiabile sapore di autenticità, unico valsente deputato a tornire l'assunto pittorico e a renderlo appetibile a un pubblico più o meno qualificato.
Picasso ebbe un periodo blu (1901-1904), durante il quale i suoi dipinti si uniformarono ad un certo tono cupo, nella variazione del blu e del turchese, mostrando dei personaggi macilenti chiaramente appartenenti alla infima categoria degli sfruttati, degli emarginati, dei depressi; Modigliani (sia nella pittura che nella scultura) elesse a suo stile la stilizzazione dei tratti somatici della persona dipingendo prevalentemente personaggi femminili con visi dai contorni geometrici e colli allungati, volendo con ciò fornire un'intima immagine autentica, ma distorta, del mondo esteriore; Talani predilesse il tema della partenza, effigiando quasi sempre personaggi con la valigia in mano per lo più sulla spiaggia, con ciò favorendo il concetto dell'estrema precarietà ed instabilità dell'esistenza; Ronda si rifece ai soggetti e alla moda di una volta, affidandosi a un manierismo della più bell'acqua, quello improntato al migliore classicismo; ci sarebbero pure da considerare De Boni, Canola, Selvi, Melodìa, fra i tanti altri, con le loro peculiarità più o meno originali - la collana di artisti non finirebbe più - ma per non appesantire ulteriormente il testo demordo dall'idea; Forte, dal canto suo, non è stato da meno; ha anche lui avuto una particolare variante creativa che l'ha dirottato su una tematica differente, quella prefata verificatasi circa 10 anni fa che lo ha indotto a un periodo "rosa", seppure temporaneo, rispolverando il suo concetto del "sensuale" e manifestandolo, come già accennato, con una sicurezza di espressione pittorica in bozzetti la cui espressività depone a favore della vitalità della sua coscienza artistica.
Le superiori considerazioni soddisfano il mio interesse di cultore dell'arte, di un arte che tiene conto di tutte le pulsioni della vita, senza falsa retorica e senza falsi pudori, un'arte schietta, lungimirante e coinvolgente.
Nei disegni che mi mostrò, per caso l'altra sera e di cui ho parlato, disegni di fanciulle discinte, in languide posizioni distese e di coppie in orgasmatici amplessi, a parte la novità del tema, perla nello stagno della conosciuta sua produzione, io ho potuto assodare l'humus di un altro Forte, diverso da quello comunemente conosciuto e apprezzato. La riconsiderata movenza lasciva delle linee in bianco e nero (alcune immagini, però, a tratti soffuse di un tenue colore marrone), il disegno morbido e fluente che si stempera in linee molli e sinuose, a parer mio danno un'estrema consistenza all'immagine, caratteristica, questa, precipua nell'opera, rendendola pregnante e piena di stimoli.
A questo punto non so più se preferire il pittore del sacro o quello del profano; sta di fatto, comunque, che Forte si rivela forte in tutti e due i citati filoni, perché entrambi appaiono supportati da uno stile inconfondibilmente magistrale che dà contezza della valenza dell'Artista.
Giuseppe Maggiore , Novembre 2013
Per pura malizia completo il verso da cui è tratto il sottotitolo di questo bell’articolo: “Fama, malum qua non aliud velocius ullum: La Fama è un male, di cui null'altro è più veloce.” ( Virgilio - Eneide ).
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