21 Ottobre 2013, 19:29 - Salvatore Culotta [suoi interventi e commenti] |
Quasi ogni volta che si passa ( che io passo) per alcune strade di Cefalù, in particolare per la v. V. Emanuele e dintorni, non si può fare a meno di alcune considerazioni, in maggior parte negative, riguardanti la quantità di negozi che vendono “souvenir”, il genere di oggetti esposti, le capacità di discernimento dei turisti che comprano tali cose, la mancanza di tradizioni artigianali a Cefalù, il ruolo del Liceo Artistico, e, per contrapposizione, la presenza a Cefalù di alcune persone che, situandosi tra hobby e artigianato, sanno ancora usare testa e mani e lasciare campo libero alla propria creatività.
Specificando un po’, trovo avvilente che si offrano in vendita oggetti di nessuna qualità, fabbricati a migliaia a Taiwan, Milano, Polo Nord etc., che, per la maggior parte perpetuano e mettono in giro per il mondo banalità, luoghi comuni ( e spesso infondati), stereotipi e ricordi di una Sicilia da film di quart’ordine. Che manchi una qualsivoglia peculiare tradizione artigianale è, se non sbaglio, sotto gli occhi di tutti. E veniamo alla Scuola d’Arte ( cui è stato dato ultimamente il colpo di grazia facendone un Liceo, e, a questo proposito sarebbe interessante che qualche insegnante – se d’accordo con questo assunto- spiegasse con cognizione di causa la situazione attuale), ricordando le originarie motivazioni della sua nascita – Scuola d’arte applicata all’industria – e avendo in mente i tempi attuali, sembra ovvio che abbia mancato quello che credo fosse un suo scopo, quello cioè – restando nell’argomento di questo scritto- di formare persone in grado di soppiantare e far scomparire l’attuale paccottiglia in vendita, con la creazione di oggetti di un’ artigianato di qualità e non del già citato genere retorico, pessimo, insulso e dannoso. A fronte di questo disfacimento ci sono, come già detto, alcune persone ( per passatempo, per necessità, per esigenze più complesse e personali ) dalle cui mani e teste vengono creati oggetti di disparato genere, che niente hanno a che vedere con il suddetto ciarpame.
Tutto questo preambolo mi era necessario per capire perché, dapprima istintivamente, mi sono interessato al lavoro di una persona che non ho personalmente conosciuto ma di cui posso ancora, non essendo più tra noi, grazie alla gentilezza anzitutto della famiglia ma anche di tanti altri, assaporare le opere, messe insieme pezzo per pezzo dalle sua mani; costruiva lui , e parlo di Giuseppe Catanese, modelli di barche, delle “nostre” o forse delle “sue” barche.
E in giorni come questi, in cui sulle spiagge di Cefalù non ci sono barche né reti ( né pescatori) ma solo ombrelloni, sdraio e tavolini, queste sue barche, così fedeli agli originali, assumono valori che, credo, vanno ben oltre anche delle sue stesse intenzioni. E di Giuseppe Catanese io posso dire poco, ma se altri, che qui leggono, volessero completare il mio poco con quel che sanno di lui come pescatore, come artigiano, come uomo, mi riterrei più soddisfatto. So che nasce a Cefalù il 01-04-1934 da padre pescatore e mamma casalinga. Ultimo di sette fratelli porta sin da piccolo il mare nel cuore e nel 1955, imbarcato sul Duca degli Abbruzzi, veste i panni di Nocchiere di bordo per ventisei mesi. Alla fine del servizio militare – dal 1956 – inizia a fare il pescatore, mestiere del padre, facendolo con passione e competenza. Da sempre proprietario di barca, nasce nel 1978 il “Settebello”, peschereccio di grossa stazza che esercita la pesca a strascico e di cui è capitano.
Venduto il Settebello, nel 1988 intraprende la realizzazione di modellini fino al 2010. I modelli sono realizzati con diversi tipi di legno, cipresso, baja, noce e altri che trovava nelle botteghe dei falegnami,; colla, smalto e ottone, oltre ai suoi particolari attrezzi, completano il quadro di tutto ciò che gli era necessario. Viene intervistato più volte per il programma “Linea blu” della RAI , partecipa a molte mostre a Cefalù, avendone riconoscimenti e targhe.
Muore a 78 anni, il 13 dicembre 2012, giorno di S. Lucia, lasciando certamente un vuoto in quanto uomo ma soprattutto padre con un grande cuore sincero e pieno d’amore.
Brevemente alcuni cenni sulle caratteristiche non dei modelli di Giuseppe Catanese, ma delle barche di Cefalù di cui i modelli sono fedeli riproduzioni: le barche possono considerarsi generalmente di tre tipi: Barche, propriamente dette, Gozzi e Lance, ognuna con diverse varianti. Le imbarcazioni si distinguono, fondamentalmente, per le dimensioni dello scafo e la forma del dritto di prua e di quello di poppa. Relativamente alle dimensioni, la Barca, per essere tale, deve essere lunga almeno 7-8 metri Il Gozzo, Uzzu, è un battello più piccolo; la sua lunghezza media è di 6 mt., se è più piccolo si chiama Gozzetto, uzzarièddu e, munito di lampara è utilizzato nella pesca del cianciolo assieme ad altri 5 ed alla “Barca madre”, di dimensioni maggiori. La Lancia è una imbarcazione più sottile, affusolata, e coi fianchi alti. Può essere più o meno lunga nelle sue varianti lancitièdda, la più piccola, e lanciùni, la sua versione più estesa. Ed ancora relativamente alla forma del dritto di poppa e di prua, cioè di quell’elemento costruttivo della barca quasi perpendicolare all’estremità posteriore e anteriore della chiglia, si praticava un ulteriore sostanziale distinzione.
Le Barche hanno i dritti a forma di scimitarra, così furono definiti da Giuseppe Catanese in un’intervista fattagli diversi anni fa. I Gozzi presentano i dritti arrotondati, campiuni a prua e campiuni a poppa, che terminano nella parte superiore con una punta, per ciascuna estremità, ed a ciò devono il nome di Uzzu Puntutu, letteralmente Gozzo Appuntito, pirchì avi ru punti. La Lancia ha il dritto di poppa perfettamente perpendicolare all’estremità posteriore della chiglia della barca. Tale parte è piatta per essere più resistente in acqua, ed è usata per la pesca locale.
Dal 1948 cominciarono a diffondersi i motopescherecci, inizialmente sul modello dei precedenti gozzi, poi, con un design via via sempre più diverso e completo. Uno dei più bei pescherecci, per ammissione degli stessi pescatori cefaludesi, era il “Settebello”, fatto costruire dalla famiglia Catanese , a Porticello, nel 1957, e rivenduta a Licata qualche decennio più tardi.
Un’ultima nota è necessaria per esprimere ancora il mio ringraziamento alla sua famiglia, che ho conosciuto grazie alla disponibilità di Italo Piazza, al ristorante “ La Vecchia marina” di v. V. Emanuele, di cui non conosco la cucina ma ne apprezzo la disponibilità e la gentilezza, sia dei proprietari che del personale, e che ha la grande (per me) benemerenza di avere raccolto in gran numero i modelli costruiti da Catanese che, a quanto mi raccontano, una volta l’anno ed attrezzato di tutto il necessario andava al ristorante per una manutenzione e pulitura delle barche esposte. Infine, ma non ultimo per importanza, ho sfruttato la cortesia di Giuseppe Forte che si è accontentato di vedere alcune sue opere usate come semplice sfondo di alcune foto ( e chissà se questo accostamento è riuscito).
E, per chiudere, alcuni versi forse dell’unica poesia dedicata da Carmine Papa ai pescatori
“Piscaturedda, scusari m’aviti,
A chi vi giuva lu jri a travagghiari?
Cu timpurala a mari vi nni jiti,
E robba e vita cci jti arrisicari.
Juncennu all’acqua, calati li riti,
E li feri vi vennu assassinari
Puru cca ‘nterra bistini tiniti,
Vi afferranu ogni tantu li dinari! “
- Accedi o registrati per inserire commenti.
- letto 7678 volte
Commenti
Angelo Sciortino -
Condivido le tue osservazioni
Condivido le tue osservazioni a proposito della Scuola d'arte trasormata in Liceo, ma soprattutto ti sono grato per le belle parole, che hai dedicato a Giuseppe Catanese e a una impareggiabile pagina della storia di Cefalù. Di quella storia che noi abbiamo conosciuto e che tu, con impegno meritevole, tenti di ricordare in mezzo alle sagre delle salsicce e alle effimere iniziative di presunti eventi. Di eventi che ci farebbero dimenticare quelli veri, che non devono essere dimenticati, anche quando sono apparentemente modesti, ma concreti esempi di grandezza morale e artistica.