19 Ottobre 2013, 18:59 - Rosalba Gallà [suoi interventi e commenti] |
Incontro con i Maestri della scultura: Italo Lanfredini e Paolo Schiavocampo
di Rosalba Gallà
Anche quest’anno, le due sedi associate dell’I.I.S.S. “Jacopo Del Duca/Diego Bianca Amato” di Cefalù, guidate dal Dirigente scolastico, prof.ssa Giuseppina Battaglia, hanno aderito al Progetto che la “Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte” propone alle scuole del territorio sul tema della Bellezza e dell’Offerta della parola, accogliendo l’idea di lavorare con gli alunni su “La bellezza della Costituzione”. Il progetto proporrà “ la conoscenza della Costituzione non come un codice asettico e articolato, ma come valore di bellezza, legalità e democrazia. Ancora una volta la Fondazione Fiumara d’Arte sceglie le scuole come luoghi etici e di formazione nelle quali poter sviluppare temi importanti e delicati”.
Nell’ambito delle attività del progetto, sono stati organizzati, a cura dello Storico dell’arte Stefania Randazzo, due incontri specifici per gli studenti del Liceo Artistico con due maestri di fama internazionale, Italo Lanfredini e Paolo Schiavocampo, i quali si trovano in Sicilia per il progetto di conservazione delle sculture della Fiumara d’Arte che avrà inizio il prossimo anno, con la possibilità anche di trasformare le opere degli scultori viventi (opere che in questo modo si evolvono nel tempo, acquistando nuova vita) e di riqualificare e valorizzare il territorio circostante. Non è esclusa la possibilità di un coinvolgimento degli studenti dei Licei artistici nel programma di restauro e conservazione.
Gli incontri sono stati densi di cultura artistica ed emozione e hanno visto gli studenti non semplici fruitori di conferenze, ma parte attiva degli eventi, in un affascinante viaggio attraverso l’arte e la bellezza.
Italo Lanfredini ha realizzato nel parco “Fiumara d’Arte”, su un’altura naturale nel territorio di Castel di Lucio, “Il labirinto di Arianna” (1989): nel corso dell’incontro si è soffermato sulla necessità di considerare, prima di qualsiasi operazione artistica, i colori, i suoni, gli odori, insomma l’Aura di un luogo, il quale ha impiegato migliaia di anni per formarsi con le sue caratteristiche specifiche e qualsiasi intervento non deve modificarlo nella sua essenza profonda, ma deve integrarsi con esso, deve essere in simbiosi con le sue energie e sembrare trovarsi lì da sempre. È evidente l’importanza di quest’affermazione e la lezione che ne deriva: il rispetto dei valori costituzionali della tutela del patrimonio ambientale e artistico.
Paolo Schiavocampo è l’autore dell’opera “Una curva gettata ogni giorno alle spalle del tempo” (1988), che si trova nel territorio tra Castel di Lucio e Pettineo, in un punto in cui la strada nuova incrocia una ‘trazzera’, creando uno slargo in cui vecchio e nuovo si incontrano e rappresentano, probabilmente, il passato e il presente.
Paolo Schiavocampo, Una curva gettata ogni giorno alle spalle del tempo, 1987-1988, tra Castel di Lucio e Pettineo (Messina)
Anche lui, parlando della genesi della sua opera, ha sottolineato l’importanza della conoscenza e del rispetto del luogo in cui l’opera deve essere collocata: l’analisi orografica vede i Monti Nebrodi paralleli al mare, mentre la vallata scende perpendicolare creando lo spazio per una doppia circolazione del vento, dalla montagna al mare e dal mare alla montagna. Ecco l’idea dell’opera: un monumento maestoso (alto quattro metri), realizzato in cemento e ferro, che rappresenta la curva della strada, una curva che fa cambiare la prospettiva da cui si guarda la realtà perché, percorrendola, cambia la direzione dello sguardo. La superficie della scultura, con il suo andamento ondulatorio, dà l’idea di una vela mossa dal vento, espressione di una leggerezza che desta meraviglia in quanto conseguita con materiali molto pesanti, il cemento e il ferro appunto; ricorda, inoltre, il movimento del mare, la cui superficie cambia continuamente, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso. Ma Schiavocampo insiste non solo sulle masse scultoree, ma soprattutto sui vuoti, perché di ogni luogo bisogna cogliere gli aspetti del ‘pieno’, ma anche del ‘vuoto’, dell’assenza, che dà la possibilità dell’attraversamento dello spazio e dell’opera.
Interessantissime le riflessioni di Paolo Schiavocampo sull’uso dei linguaggi artistici, da quello poetico a quello legato alla materia, ai colori, alle forme, alle masse, perché in ciascuno di noi c’è un poeta o un artista che deve trovare il linguaggio adatto per esprimere il suo pensiero, il suo concetto, il concepimento della mente. E ciò che risulta più importante è il viaggio che ciascuno deve fare dentro se stesso per ritrovarsi o, forse, per scoprirsi, e comunque per conoscersi e trovare il proprio modo di relazionarsi con il mondo, il proprio linguaggio per esprimere la propria visione della realtà.
Il tema del viaggio è dominante ne “Il labirinto di Arianna” di Lanfredini: prima di parlare del labirinto, però, come ha detto lo stesso autore, è opportuno soffermarsi sul tema della ‘soglia’ a cui si riferiscono molte sue opere.
Italo Lanfredini, Il labirinto di Arianna (particolare), 1988-89, calcestruzzo patinato, Castel di Lucio (Messina)
Sulla soglia i Romani collocavano il Giano bifronte, il dio protettore degli inizi, dei passaggi, colui che presiedeva l’entrata e l’uscita, il limite tra l’interno e l’esterno. Ma le soglie non sono solo materiali, ci sono anche quelle immateriali, come il confine tra il passato e il presente. In genere, Giano presenta un volto giovane e uno senile: il volto vecchio è rivolto verso l’interno perché è vecchio colui che rinuncia ad intraprendere il viaggio, colui che non varca la soglia, che guarda, in sostanza, solo verso il passato; è giovane colui che intraprende il viaggio, colui che non teme di inoltrarsi nel labirinto.
Per la realizzazione della sua opera, Italo Lanfredini si è ispirato al labirinto minoico, spiraliforme e monocursale, in cui il percorso è unico, senza possibilità di deviazioni, e conduce obbligatoriamente al centro e dal centro nuovamente all’esterno. Così, nel labirinto minoico non ci si può smarrire e il cammino si rivela un percorso di conoscenza che è destinato, comunque, a riportare all’esterno: il viaggio è verso il centro della terra, alla sorgente di vita, con la consapevolezza che nulla è lineare e semplice, ma con la certezza che il filo rosso di Arianna, simbolo di un metodo da seguire (dal greco, meta - hodós, strada con cui raggiungere un fine), di una linea di condotta che dà speranza e libertà e che riporterà all’esterno. Il viaggio nel labirinto è il viaggio che ciascuno di noi deve compiere dentro di sé, è il viaggio più difficile, il più oscuro, spesso il più doloroso, ma è l’unico che può salvarci.
Italo Lanfredini, Il labirinto di Arianna, 1988-89, calcestruzzo patinato, Castel di Lucio (Messina)
In particolare “Il labirinto di Arianna” della Fiumara d’Arte ha un raggio di circa 500 metri e il percorso verso l’interno dura una ventina di minuti: sono minuti importanti in cui l’unico riferimento è il cielo poiché i muri, alti circa due metri, impediscono la vista di qualsiasi altro elemento. Pertanto, il percorso tende, metaforicamente, al centro della terra (le scale rappresentano proprio la discesa), alla madre primigenia, alla sorgente di vita, avendo come unico riferimento il cielo.
Italo Lanfredini, Il labirinto di Arianna (particolari), 1988-89, calcestruzzo patinato, Castel di Lucio (Messina)
Gli interventi degli alunni hanno poi condotto Italo Lanfredini a parlare di altre sue opere.
Italo Lanfredini, Nidi, 1993-94, legno varie essenze e semirefrattarie bianche, cm 465x189x180 (installazione n. 12 pezzi)
“I nidi” costituiscono un’installazione mobile di dodici pezzi di oltre quattro metri di altezza, disposti in cerchio, contenenti in cima un nido, che rappresentano, ciascuno, un mese dell’anno e raggruppati per tre a simboleggiare le quattro stagioni, rese anche attraverso le diverse essenze lignee utilizzate e attraverso la disposizione nello spazio.
Italo Lanfredini, Barca delle essenze pregiate: versi da versare, fischietti per sognare, 2002-04, legno di pioppo, terrecotte semirefrattarie e corda, cm 90x610x65
La barca delle essenze pregiate. Versi da versare, fischietti per sognare” è ricavata dal tronco di un pioppo secolare da cui è stata asportata tanta materia da farne la base su cui la barca può appoggiarsi e il suono dei trucioli calpestati ricorda quello del mare. La barca trasporta, impigliate in una rete da pesca, anfore zoomorfe e antropomorfe che, a loro volta, contengono le essenze pregiate da versare: in questo caso le essenze non sono oli o profumi, ma qualcosa di più pregiato: sono versi poetici, versi da versare, mentre i fischietti e la loro musica invitano al sogno. Le poesie presenti nelle anfore sono state scritte dai più importanti poeti contemporanei.
Italo Lanfredini, La scernita, 1992-93, terrecotte, dimensioni variabili (pezzi n. 2500)
“La scernita” è un’opera costituita da un grande setaccio circondato da circa 2500 piccole terrecotte in cui ritorna il momento ludico dello scambio tra scultura e poesia; in questo caso i cocci contengono pensieri di bambini e liriche di grandi poeti.
Infine la casa–studio di Italo Lanfredini, “La silenziosa”, circondata da un muro che in realtà è una raccolta di poesie, come a dire che il muro non separa, ma apre lo spazio privato e crea una relazione profonda tra interno ed esterno.
Questa apertura al mondo è testimoniata anche da Paolo Schiavocampo, dalla forte personalità artistica che, nello stesso tempo, è aperta agli altri, agli incontri, numerosi nella sua lunga esistenza in cui, come ogni vero maestro, rimanendo fedele a se stesso, ha saputo cogliere gli aspetti più importanti di altre esperienze e, partendo dalla Sicilia, si è formato a Roma e a Milano e poi, negli anni ’60, negli Stati Uniti. Come ha detto Stefania Randazzo nell’incontro di presentazione “l’artista è come una corda che accoglie ogni vibrazione, pur rimanendo sempre se stessa”.
Così, anche Schiavocampo, indotto dalle domande degli alunni, ha parlato di altre sue opere, relative sia alla pittura, attraverso il periodo figurativo, l’informale e l’americano, sia alla scultura e alle grandi opere.
Paolo Schiavocampo, Una piazza per Gibellina, 1979, pietra, Gibellina (Trapani)
Particolare interesse ha suscitato la “Piazza di Gibellina”, scultura realizzata nel 1979, formata da dodici elementi poggiati sul pavimento della piazza: l’opera, nel progetto iniziale, prevedeva una disposizione spaziale tale da poter essere attraversata da un raggio di sole, in maniera che “il sole potesse compiere quello che l’artista non ha realizzato”.
Purtroppo nella sistemazione definitiva, la collocazione è stata modificata e l’effetto desiderato dallo scultore è andato perduto.
Così, ancora una volta, l’artista ha sottolineato l’importanza dell’interazione tra opera d’arte e ambiente: l’artista deve sapere ‘ascoltare’ il luogo e da esso trarre ispirazione, in maniera che l’opera risulti perfettamente coerente con l’atmosfera e gli elementi del luogo. Per fare ciò occorre tempo e bisogna lasciare maturare l’idea dentro di sé, fino a quando, attraverso un lento processo, si giunge alla visione finale.
In questo momento, Italo Lanfredini e Paolo Shiavocampo espongono alcune opere alla Biennale internazionale di scultura di Racconigi “Pensare lo spazio. Dialoghi tra natura e immaginazione”, insieme ad altri maestri dell’arte italiana e internazionale.
Un grazie agli artisti per la generosità con cui ‘si sono donati’ agli alunni, a Stefania Randazzo per la cura e l’attenzione che dedica alle scuole e ad Antonio Presti, per il cuore che mette nel realizzare i suoi sogni.
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