23 Giugno 2012, 09:32 - Saro Di Paola [suoi interventi e commenti] |
Là, dove il viandante lasciava alle spalle la rocca,
il segno di una architettura.
Le edicole a Maria, la Madre.
Il segno per un segno di croce.
Là, davanti alle edicole, il cefalutano di terra,
che dalla rocca muoveva per la campagna,
a piedi, a dorso d’asino, di mulo o sul carretto,
ringraziava la Madre per l’alba del nuovo giorno.
Là, davanti alle edicole, il cefalutano di terra,
che dalla campagna tornava alla rocca
a piedi, a dorso d’asino, di mulo o sul carretto,
ringraziava la Madre per il tramonto di un altro giorno.
Edicole che il cefalutano eresse spontanee.
Edicole di pietre.
Arrangiate con calce da pietra.
Architettura elementare, architettura povera.
Architettura ricca.
Di significati interiori, di significati profondi.
Espressione di una devozione popolare, oramai,trapassata.
Memoria di una fede antica.
Edicole ancora là, dove il cefalutano le alzò.
In buono stato,curate.
Generazioni di cefalutani le hanno adottate.
La cura ce ne ha lasciato memoria.
Quella “ra Matri ru Lumi”, là dietro la rocca, all’uscita di oriente.
Quelle “ra Matri ri Gibulimanna”.
Una là, “ o’ Spiziu”, all’uscita di occidente.
L’altra, al bivio per “Gibulimanna”, all’uscita di mezzogiorno.
Là, davanti alle edicole, a piedi o sull’auto, rivivo sensazioni.
Le sensazioni della memoria.
Quelle che, da bambino, passando,
mi hanno fatto vivere i miei nonni, mio padre.
Poi l’ultima, quella“ra Matri Addulurata”.
L’edicola dei cefalutani di mare.
Là, al molo, all’uscita di settentrione.
L’uscita per il mare.
Là, davanti a quella edicola,il cefalutano di mare,
dalla sua barca, si affidava alla Madre.
Tutte le volte che lasciava la rocca.
Prima di prendere il mare.
Là, davanti a quella edicola, il cefalutano di mare,
dalla sua barca, ringraziava la Madre.
Tutte le volte che, dal mare, tornava alla rocca.
Per riprendere terra.
È l’edicola più lontana dal mio passato.
Eppure, la più vicina nel mio presente.
Davanti a quell’edicola,torno indietro nel tempo.
Mi tuffo in memorie che non sono mie.
Là davanti a quella edicola, immagino.
Vedo scene che non ho visto.
Vivo le attese,le angosce, il dolore.
Sento il lamento.
Delle madri, delle mogli, dei figli, dei fratelli
del cefalutano di mare colto, da improvvisa tempesta,
Di maestrale, di tramontana, di scirocco, di grecale.
‘Ntò mari ranni.
Là, davanti a quella edicola, sento.
La gioia del ritorno, la festa del “porto salvo”.
Sensazioni che non ho vissuto,
sensazioni che altri hanno vissuto.
Là, davanti a quella edicola,un tuffo al cuore.
Vedo Francesco e Luigi... giocano.
Il mare non li ha, ancora, rapiti.
Per librarli, angeli, in cielo.
Invece,là a Santa Lucia,
al tornante dell’ultimo brano di reggia trazzera,
ad assalirmi è la tristezza.
La tristezza per il crollo che incombe.
Sulle vestigia dell’edicola alla Santa degli occhi.
Le pietre della volta travolgeranno le pietre dell’altare.
Le rovine saranno velo alle umane indecenze.
Quelle di quanti, per l’ incuria, l’edicola hanno scambiato per cesso.
Di Cefalù, si perderà un segno.
Il segno per un segno di croce.
Di Cefalù, si perderà una memoria.
La memoria di un tempo che fu.
Le rovine di pietra saranno memoria.
Di umana indecenza.
La indecenza della incuria.
Quella di quanti, di una memoria, non lasceremo memoria.
Saro Di Paola, giugno 2012
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