25 Settembre 2013, 07:55 - Rosalba Gallà [suoi interventi e commenti] |
“CEFALÙ C’ERA UNA VOLTA” PER SEMPRE
di Rosalba Gallà
Fotografie di Salvatore Culotta
In occasione dei cinquant’anni della sua carriera artistica (al 1963 risale, infatti, la sua prima mostra), Giuseppe Forte ci ha regalato una significativa antologia della sua ricca e articolata produzione pittorica presso la Galleria del Caffè Letterario di Cefalù. Un’antologia, appunto, e quindi un piccolo assaggio delle sue diverse esperienze artistiche, ma non di tutte. Chi conosce Forte sa che c’è molto altro.
“Cefalù c’era una volta” è il titolo di questa ‘personale’, titolo che, riprendendo l’incipit delle fiabe, vuole probabilmente trasportarci in un mondo lontano nello spazio e nel tempo. Nelle fiabe, però, lo spazio e il tempo sono sempre indeterminati, mentre in questo caso la componente spaziale è definita, è Cefalù; ma il tempo? C’era una volta… quando? Gli scorci della città, i suoi vicoli, le case, i monumenti, le ampie vedute, il mare e il cielo diventano luoghi dello spirito fuori dal tempo e collocati in una dimensione mitica, attimi fissati per sempre nella memoria, frammenti spaziali e, insieme, esistenziali, piccole perle temporali che diventano eterne. Giuseppe Forte esprime un legame indissolubile con la sua città, osservata in questi cinquant’anni con l’occhio esperto dell’artista che forse, oggi, avverte un sofferto sentimento di estraneità nei confronti di un presente che nella frenesia del quotidiano perde di vista la bellezza che ci circonda e che chiede con insistenza la nostra cura.
“Cefalù c’era una volta”: in una tela due bambini sfogliano un libro con lo stesso titolo. Dipinto importante, perché i bambini rappresentano il futuro e il nostro artista, con la sua sensibilità, ci suggerisce così che se Cefalù c’era una volta, Cefalù ci sarà ancora: visione malinconica e nostalgica, dunque, dove però il ‘desiderio del ritorno’ non conduce alla rinuncia di un pensiero positivo nella vasta gamma delle esperienze umane.
La città è rappresentata nei suoi angoli più belli, nei suoi vicoli più intriganti, nelle vedute più affascinanti: quante volte tornando a Cefalù, la si guarda con gli occhi di chi è stato distante o, sforzandosi un po’, con lo sguardo di chi la vede per la prima volta e, allora, davvero manca il fiato. E Forte ce la mostra così, come vista per la prima volta, con la sapienza delle sue pennellate, con la freschezza del colore, con la luce del suo mare e del suo cielo.
Il cielo, soprattutto: quello delle tele di Forte attrae e cattura per i giochi di blu e per quelli, straordinari, delle nuvole. Già, le nuvole: fenomeno accattivante che incanta gli sguardi dei bambini e degli adulti che non dimenticano di essere stati bambini. Come si fa a non osservare le nuvole e a non scoprirvi le forme nascoste? Forte ha osservato lungamente le nuvole nel cielo su Cefalù ed è come se avesse giocato con loro, plasmandole e scolpendole sulla tela. E così le nuvole assumono mille forme e mille colori, fino a diventare un gabbiano e poi ancora, nell’ultima produzione, geometrie celesti ed eterei intrecci. Vengono in mente alcuni versi di una poesia di Antonino Cicero, dal titolo “Nuvole”: “Non c’è nuvola che possa correre / senza uno sguardo ad aiutarla da quaggiù. / Uno sguardo improvviso, appresso al volo di qualche aereo. / Ho provato a pensarle capaci di farcela da sole / ma è difficile. Se le vedi ne approfittano, spugnose / e avide. A volte le conto, altre è il gioco delle forme” (A. Cicero, La forma perfetta, Edizioni Arianna).
E la nuvola-gabbiano vola su una pagina del “Corriere delle Madonie” che riporta il pensiero di Alfredo Mario La Grua: “Città senza giornale, città muta”. Nuvola e gabbiano: simbolo di libertà.
Poi, ecco Cefalù nelle tele dedicate ai grandi pittori, secondo un percorso avviato negli ultimi anni, tra i quali De Chirico e Magritte.
In particolare, Giuseppe Forte riprende la pittura metafisica delle “Piazze d’Italia” di De Chirico, piazze prive di vita in opposizione alla visione tradizionale che vuole questo spazio come centro dell’attività vitale di una città. Ecco una torre della nostra cattedrale vista dall’angolo di via XXV Novembre, in un contesto privo di contatti con la realtà e dal forte valore simbolico e, appunto, metafisico.
E poi il quadro nel quadro, tributo a Magritte e al surrealismo, in cui viene meno il confine tra illusione e realtà e la rappresentazione naturalistica della realtà finisce con il coincidere con la realtà stessa, in questo caso, in un gioco di sovrapposizione e completamento che ‘ricompone’ Cefalù.
E così, ancora una volta, bisogna sottolineare che si può partire da “Cefalù c’era una volta” per realizzare reti e intrecci che solo l’arte sa creare, e lo spazio e il tempo non esistono più: la nostra cattedrale può trovarsi in una piazza metafisica e Cefalù, in maniera surreale, può essere dipinta in un quadro nel quadro e il “c’era una volta” può diventare il “sempre” della dimensione artistica, perché la poesia, anche quella fatta di colori e forme, “vince di mille secoli il silenzio”.
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