18 Settembre 2013, 19:11 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Scoprirsi figli di una società, che è stata il seme delle diverse civiltà del Pianeta, non può che renderci orgogliosi della nostra ascendenza. Se talvolta ce ne dimentichiamo, è sufficiente un semplice richiamo, per ricordarcene o per spingerci a una ricerca storica, che ce ne dia conferma.
Questo è accaduto recentemente, quando Cefalù ha avuto l'altissimo onore di ricevere il console russo e il presidente di un'associazione, sempre russa, che vuole riunire tutte le città bizantine, dalle quali la Russia di oggi ha derivato la sua religione e la sua civiltà. Ha fatto bene il Sindaco, nel suo discorso di saluto, a ricordare il debito che Santa Madre Russia ha nei confronti di Cefalù, che sarà stata greca e latina, ma che fu ed è soprattutto bizantina, come dimostrano le mura ciclopiche sulla sua Rocca e il tipo di argomentazioni, che vi si usano.
Questo aspetto della storia di Cefalù; questo suo essere il lievito della civiltà russo-bizantina, io non lo conoscevo. In questi giorni ho fatto non poche ricerche e ho riletto gli scrittori russi dell'Ottocento e del primo Novecento, nella speranza di ritrovarvi conferme.
Qualche spiraglio me lo offrirono Tolstoj e Gogol, ma chi mi diede una conferma incontrovertibile fu Ivan Turgenev con il suo Padri e figli, il romanzo in cui dà un resoconto del nichilismo russo del secolo XIX.
Quando immaginò il suo personaggio Bazarov, che non credeva neppure al progresso scientifico, fece le necessarie ricerche nella storia russa e, andando a ritroso in questa ricerca, si ritrovò in questa Cefalù. Bazarov discendeva direttamente da un'antica famiglia di Cefalù, il cui capostipite era stato un fenicio, che si era sposato con una greca. Da questa unione era nato un maschio, che aveva sposato a sua volta una donna latina, generando un altro maschio, che si era trasferito a Bisanzio, dove si era unito a una donna del luogo. Da questa unione nacquero tredici figli, il più giovane dei quali si era trasferito in Russia, dove aveva dato inizio alla discendenza della famiglia di Bazarov.
Al povero Turgenev mancavano conferme sul carattere nichilista del suo Bazarov e per questa ragione scrisse al barone Mandralisca, che prontamente gli rispose, dicendogli che quel carattere nichilista investiva non pochi suoi concittadini, che non avevano fede in nulla. Non credevano alla scienza e trovavano una perdita di tempo lo studio della natura, quando era più semplice e meno faticoso pensare che forze occulte governavano tutto e che a essi non restava che ingraziarsele, per non essere maltrattati. Questo stesso rapporto lo avevano con la religione: non si poteva credere che essi avessero fede in un Dio, perché l'avevano soltanto in ciò che era occulto e da questo stesso occulto aspettavano sempre un miracolo. Anche la politica, concludeva il Mandralisca, teneva conto di questo carattere e in epoca di democrazia nascondeva la sua attività e mostrava, invece, quel che le serviva per acquistare autorità.
A Turgenev non servivano altre conferme e, riviste alcune pagine del suo romanzo, lo pubblicò.
Oggi esso ci è utile, perché ci conferma la correttezza della lettura storica del nostro Sindaco, al quale non possiamo che rivolgere un plauso per la sua conoscenza storica e un ringraziamento per aver ricordato il ruolo decisivo di Cefalù nella crescita della civiltà bizantina e russa. Non dimenticando che il nichilismo russo fu seguito da una rivoluzione e da settant'anni di schiavitù e che la stessa sorte potrebbe attendere Cefalù.
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