3 Settembre 2013, 03:15 - Pino Lo Presti [suoi interventi e commenti] |
Totò Marsiglia è figlioccio di mio padre, M° Vastianu, presso la cui casa e bottega è cresciuto da ragazzino imparando il mestiere di maniscalco e “furgiaru”, finchè, diventato uomo, si è sposato.
Mi ha fatto da baby-sitter, quand’ero ancora in culla, e da “prima finestra sulla fantasia”, nella prima adolescenza, quando seduti accanto a tavola con tutta la famiglia mi raccontava “i cinema” che aveva visto da “Cippicu” o da “Ri Francisca”.
Una figura, per me, cara!
Mi era rimasto il rammarico di non aver neanche un filmato o una foto di mio padre alla forgia, fra il fuoco e l’incudine.
Avevo chiesto perciò, a Totò, di farmi sapere dell’ultima volta che avesse “acceso la forgia”.
Queste foto, del 23 agosto 2013, in ogni caso e in qualche modo, rappresentano più di un documento personale, affettivo, io credo; e perciò ve le propongo.
Potrebbe essere un documento della fine di un’epoca, nel nostro territorio, in cui non solo la cultura della lavorazione del ferro, ma anche quella della pietra, della stessa terra e dei suoi frutti, tra cui il legno, sono ormai in via di dissolvimento.
Potrebbe essere il segno, o forse solo un simbolo, della rottura di un rapporto diretto, esperienziale, con la stessa “materia-prima” (“Verità”) della realtà; l’inizio di un viaggio (forse epocale, nella nostra Cultura cefaludese) verso il “mare aperto” di verità-materiali-esperienze-culture sempre più mediate e sempre meno “naturali”!
Nel “temprare” il ferro (“acciaiarlo”), cioè farlo indurire una volta lavorato, il corno di bue aveva un ruolo informativo fondamentale.
La parte di ferro finita di lavorare, ancora rovente, veniva immersa, brevemente e non interamente, nell’acqua a raffreddare.
Ben presto il calore che era stato conservato nel ferro reagiva espandendosi nella zona da poco raffreddata.
Il segno che “il calore” fosse tornato a riconquistare-unificare “il regno”, in maniera stabile dunque alla giusta temperatura, stava nel fumo prodotto dallo sciogliersi dell’osso di corno.
Altri segni sulla giusta e unitaria consistenza-cottura (tempra) potevano essere ricavati dal colore bluastro assunto dal ferro col grasso del corno, a sua volta, appena raffreddato.
con fratello Vincenzo, detto "'nzino"
La "forgia" più vicina pare sia a Castelbuono.
Mentre per scalpelli, subbie e mazzole ricomprarli nuovi è impresa possibile per i lavoratori della edilizia, più gravoso è il problema per chi usa zappe e picconi.
Lo stesso sig. Vincenzo Matassa - noto Ferramenta (cha ha voluto essere presente a questo piccolo-grande evento) - con ammirazione riconosce che però un ferro battuto è "un'altra cosa" rispetto ad un ferro fuso in una forma.
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