15 Agosto 2013, 18:32 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Per presentare degnamente i meriti del professore Amedeo Tullio al momento della sua premiazione da parte dell'associazione culturale “Cefalù Città di Ruggiero”, l'architetto Salvatore Curcio ha in modo pregevole descritto l'architettura del Duomo di Cefalù, sottolineando qual è la sua caratteristica, che ne fa un monumento impareggiabile e forse immeritato per questa piccola cittadina. Dal suo intervento ho tratto alcune ispirazioni e riflessioni, che mi hanno convinto come nulla, né un'opera artistica né una città, possa prescindere dall'unione elementare-complesso. Prima di dare corpo alle mie riflessioni, mi sia concesso di consigliare la lettura dell'intervento di Salvatore Curcio su queste stesse pagine: https://www.qualecefalu.it/node/2937
Quel che segue non è né un discorso breve né facile. Lo scrivo quasi come un mio testamento, nella speranza che, in questo particolare momento della storia di Cefalù, ci sia qualcuno che voglia raccoglierne le idee, appena abbozzate, per completarle e migliorarle, in modo da far sì che ci sia ancora qualche speranza per il futuro di Cefalù.
Inutile che io sottolinei che le idee raccolte giustificano il mio atteggiamento critico nei confronti dell'attuale Amministrazione, che pecca troppo per superficialità, pressappochismo, per disordine e per assenza di strategia.
Prima che il comune divenisse quel ch'è diventato, il grande Tocqueville ci ha detto: ““è nel comune che risiede la forza dei popoli liberi. Le istituzioni comunali sono per la libertà quello che le scuole primarie sono per la scienza; esse la mettono a portata del popolo, gliene fanno gustare l’uso pacifico, e l’abituano a servirsene. Senza istituzioni comunali, una nazione può darsi un governo libero, ma non possiede lo spirito della libertà.”
Se si considera che il comune obbliga i cittadini a decidere liberamente su cose direttamente note, come la necessità di una nuova strada o di una nuova scuola, si comprende subito la sua importanza per l'educazione all'esercizio della libertà. Un'educazione che con il tempo consentirà di scegliere i propri rappresentanti nazionali con consapevolezza, perché hanno acquisito l'esperienza di scegliere non avventatamente, ma giudicando sui fatti. Lo stesso clientelismo, questa infestante della democrazia, con il tempo finirebbe ai minimi termini. E non soltanto perché ci si è abituati a distinguere il demagogo dal politico serio, il fattibile dal sogno ideologico, ma anche perché l'esperienza comunale ci avrà fatto apprezzare e pretendere il rispetto per la nostra libertà, che altro non è, se non l'unità di misura della nostra dignità.
In Italia, purtroppo, non è così. In Italia esistono i cosiddetti trasferimenti finanziari, che sono la negazione di ogni autonomia comunale. Se il sindaco è di colore diverso da quello del Governo, sia centrale e sia regionale, allora le sue speranze di ricevere finanziamenti sono quasi nulle. Lo stesso accade, se il sindaco è un indipendente. I cittadini lo sanno e tendono a votare per quello che ha maggiori aderenze, prescindendo spesso dai suoi meriti e dalle sue capacità.
In questo modo viene meno la principale ragion d'essere del comune in quanto istituzione democratica ed esso si riduce a un ridicolo condominio, in cui si susseguono interminabili discussioni sul niente, che, comunque si risolvano, lasciano tutti scontenti. Persino il sindaco, ridotto al ruolo di amministratore di condominio o di portiere, è spinto a ingannare i suoi cittadini.
Se si vuole porre fine a questo andazzo, sono indispensabili alcune iniziative, che non prevedono costi, ma la cosciente partecipazione dei cittadini. Eccone elencate alcune, così riportate in un convegno di "Società Libera":
1. L’uomo deve essere il fine delle politiche urbane, mentre la città deve costituirne il mezzo attraverso cui sostenere le persone nella loro vita, offrendo loro la possibilità di raggiungere autonomamente i propri scopi come meglio credono e fornendo loro supporto, quando necessario. La città deve essere pensata per l’uomo e non viceversa. L’uomo, la sua libertà e creatività sono l’unica vera risorsa.
2. La città da sempre incarna il concetto di complessità e di ricchezza culturale. Oggi, però, l’emblema è il disordine, generato dalla incapacità a gestire la complessità. Occorre mettere in circolo i saperi per adeguare la città in crisi al mutamento della società contemporanea.
3. L’intervento sulle città non può essere soggetto ad alcuna politica o approccio disciplinare, che, “imponendo limitazioni e restrizioni che si estendono ad ogni sorta di possibilità (comprese quelle intellettuali) e agli stessi rapporti interpersonali”, commettano l’errore di voler sostituire un’idea, del tutto soggettiva e parziale, di ordine urbano alla complessità e vitalità d’uso che danno alle parti di una città struttura e forma appropriate.
4. Nella costruzione della città liberale, l’interesse pubblico che deve essere più protetto è la garanzia delle libertà individuali.
5. Nel corso dell’Ottocento il diritto di costruire su un terreno di proprietà venne progressivamente limitato con una serie di motivazioni: non soltanto quelle dirette a regolamentare la produzione delle case in quanto bene di mercato o destinate a rendere le costruzioni compatibili tra loro, ma anche quelle dettate dal programma di migliorare le condizioni di vita secondo i criteri dei pianificatori. Queste ultime norme vanno abolite, se ingiustificate (con buona pace dei responsabili degli uffici urbanistici).
6. Le regole dovrebbero essere prevalentemente di tipo negativo, ossia volte esclusivamente ad escludere i danni (diretti e tangibili) che l’uso di un suolo potrebbe provocare ad altri. La libertà di costruire deve venire di nuovo assicurata a tutti – perché in Europa il possesso della casa è condizione di cittadinanza e libertà del cittadino – e ciò deve avvenire con strumenti più simili a regolamenti edilizi che a piani regolatori, in grado di recuperare la plurisecolare conoscenza che si era depositata in essi. Tutti abbiamo infatti sperimentato come le regole dei pianificatori moderni, che quel tipo di strumenti hanno sempre criticato, abbiano invece prodotto periferie anonime e invivibili, impedendo il libero esercizio del diritto di costruire e trasferendolo progressivamente dall’iniziativa dei singoli a quella di pochi imprenditori edilizi, che oggi monopolizzano il mercato.
7. È necessario superare la pianificazione urbanistica basata sullo “zoning”, non soltanto per il perseguimento di un equilibrato mix funzionale nelle diverse parti della città, con l’assicurazione, insieme alla sostenibilità sociale e ambientale, anche di rilevanti effetti positivi sul sistema della mobilità, ma soprattutto per la più ampia tutela degli interessi diffusi e il conseguente superamento del nefasto intreccio politica/affari.
8. Il tessuto urbano, in grado di rispondere al mutamento sociale, deve poter poggiare su una serie di funzioni nuove, che favoriscano il dialogo, la crescita comune, la comunicazione e la coesistenza nel rispetto delle diversità. “L’architettura del dialogo deve essere la ricapitalizzazione delle diversità, soprattutto di quelle che rappresentano valori positivi”.
9. La nano scienza e le tecnologie relative devono costituire il recupero dell’occasione precedentemente mancata di contribuire alla realizzazione di un sistema integrato di servizi innovativi. Le nanotecnologie sono la chiave per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse naturali, per la drastica riduzione della produzione di inquinanti, per la tutela del diritto alla salute, per favorire l’accesso a beni e servizi.
10. Avvicinare la produzione e la fruizione dei beni, servizi, relazioni, informazioni, mediante l’organizzazione reticolare dell’architettura del dialogo e usufruendo delle potenzialità delle tecnologie più avanzate, significa abbattere il vincolo delle prossimità spaziali e produrre un circuito virtuoso che riconnette i vari livelli di intervento in un unico disegno: significa affrontare la crisi urbana attraverso la trasformazione genetica e culturale della società.
11. Il sistema della mobilità deve consentire la più ampia libertà di scambio d’idee, di servizi, di capacità, di personale e di merci. Affinché ciò avvenga è necessario affrontare e risolvere le criticità mediante interventi di razionalizzazione e potenziamento, privilegiando la sperimentazione di nuovi e alternativi modelli organizzativi, quale lo Shared Space che, per effetto dell’assenza di segnaletica, esalta la responsabilità individuale degli utilizzatori (automobilisti, ciclisti e pedoni) in quanto costretti ad una continua negoziazione tra loro dei propri movimenti.
12. La mobilità non deve generare costi illegittimi per terzi, né ambientali né economici. Nessun sussidio né vincolo di sorta deve riguardare la fornitura di servizi di trasporto collettivi. La fornitura di infrastrutture di trasporto, stradali o ferroviarie, dovrà essere affidata, per quanto possibile, a meccanismi “di club”, in cui gli utenti potenziali decidano di sobbarcarsene i costi e di godere dei benefici (tasse di scopo negoziate localmente). Va favorito il più ampio spazio per l’innovazione tecnologica nel perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile, con particolare riferimento all’impatto dei servizi digitali sulla mobilità e, conseguentemente, sull’inquinamento e sui consumi energetici.
13. Il soggetto pubblico e il soggetto privato non dovrebbero negoziare o contrattare alcunché in relazione allo sviluppo urbano, né agire congiuntamente tramite forme compartecipate. Ognuno dovrebbe svolgere autonomamente il ruolo che gli è proprio. (Spero che ne tenga conto l'ingegnere Trombino, che ha recentemente ricevuto l'incarico dall'Amministrazione di preparare un piano urbanistico per il Lungomare)
14. L’ideale della sussidiarietà implica che debbano farsi carico delle esigenze degli individui, partendo dal basso, le realtà sociali o istituzionali più adatte per il compito in questione, e che si possa distinguere tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale; è soprattutto quest’ultima che va incentivata.
15. L’impiego del “diritto privato” va incentivato, sia ampliandone lo spazio d’azione, sia introducendo nuovi istituti giuridici. Affinché ciò sia possibile è necessario lasciare il massimo spazio a forme private di regolazione degli usi dello spazio e di fornitura di servizi comuni (comunità contrattuali private), costituite da gruppi di individui che si aggregano volontariamente e in grado di autogestirsi.
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