7 Agosto 2013, 08:21 - Saro Di Paola [suoi interventi e commenti] |
Nel 1984, dopo che vennero aggiudicati gli appalti per la realizzazione del tronco autostradale Cefalù-Castelbuono, per Cefalù fu emergenza.
Era, infatti, di un milione di metri cubi circa il volume dei materiali, che smarinati per lo scavo delle gallerie in territorio di Cefalù dovevano essere conferiti a discarica.
Le imprese aggiudicatarie chiesero al Comune di Cefalù di localizzare le discariche all’interno del suo territorio.
La questione venne ampiamente dibattuta dal Consiglio comunale, che nella seduta del 19 aprile del 1985, a maggioranza, adottò la delibera n° 105 con la quale indicò nell’area alla foce del torrente Carbone un luogo nel quale si sarebbe potuta conferire una parte, seppure minima, del materiale di risulta.
Come, liberamente e ben oltre la linea naturale della battigia, nel ventennio precedente, in quell'area erano state riversate le terre di risulta degli scavi per l’imposta delle fondazioni e dei piani interrati degli edifici della prima espansione edilizia di Cefalù.
Terre che, da quel luogo, le mareggiate inghiottivano.
Sistematicamente.
Man mano che, in quel luogo, venivano riversate.
Per disperderne i residui solidi sulla costa cefaludese di levante.
A ripascimento delle spiaggie e dei fondali.
L’Assessorato Regionale al Territorio ed all’Ambiente non condivise l’indicazione del Consiglio comunale.
Sua sponte e di concerto con il Genio Civile Opere Marittime, elaborò e finanziò un progetto dell'importo di 7 miliardi e 300 milioni di vecchie lire finalizzandolo alla difesa ed al ripascimento della fascia litoranea ad occidente della Foce del torrente Carbone.
Fascia che aveva mantenuto la fisicità che Madre Natura le aveva dato e che, nei secoli, era rimasta pressochè intonsa.
Fatta eccezione per la sede stradale della settentrionale sicula, che l'Uomo le aveva sovrapposto e per le opere, sporadiche e puntuali, con le quali l'Uomo, nei decenni precedenti, l'aveva presidiata dalle mareggiate.
Il progetto altro non era se non una diga a forma di trapezio con il perimetro a mare della lunghezza complessiva di 900 metri circa.
La diga prevista in grossi massi di pietra calcarea avrebbe avuto la funzione di mantellata di chiusura e di protezione di uno specchio acqueo di 50.000 mq circa nel quale sarebbero stati riversati 600 mila metri cubi circa dei materiali provenienti dallo scavo delle gallerie.
Tratta da: Il Corriere delle Madonie – Anno XXIV – N. 4.5 – Aprile-Maggio 1987
Fu l’inizio dello scempio di “Fiume Carbone”.
L’Assessorato, di fatto, con proprio decreto tramutò l’emergenza discarica in affare “ripascimento”.
Affare per l’impresa che, poi, si aggiudicò l’appalto dell’opera idraulico-marittima.
Affare per le imprese che si erano aggiudicato l’appalto dei lavori autostradali.
Piuttosto che pagare per conferire il materiale nelle discariche, vennero pagate.
Profumatamente.
Viva l’Italia!
“Il CORRIERE DELLE MADONIE”, nel numero di aprile-maggio del 1987, cominciò ad occuparsi della vicenda.
Il Corriere delle Madonie – Anno XXIV – N. 4.5 – Aprile-Maggio 1987 – Pag. 1 e 2
(cliccare sulle pagine del giornale per ingrandirle)
Stava montando la protesta degli ambientalisti e della politica cittadina (ahimè io c’ero).
Però, come vedremo, era già troppo tardi!
(seguirà: Fiume Carbone (atto secondo): quando il progetto di “Quadrato Verde” servì a gettare fumo negli occhi)
Saro Di Paola, 7 agosto 2013
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