Disegno di legge Zan, apriamo gli occhi

Ritratto di Angelo Sciortino

24 Giugno 2021, 21:28 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quando fu approvato alla Camera il Ddl di Alessandro Zan, deputato del PD e attivista LGBT (acronimo di Lesbica, Gay, Bisessuale e Trangender), decisi di non parlarne, tanto il problema mi appariva non degno di commenti. Continuai a tacere anche dopo l'intervento del Vaticano, che chiedeva di rivedere la legge in alcune sue parti contrarie agli accordi del I e del II Concordato. Continuerei a non parlarne, se non avessi letto il Disegno di legge approvato dalla Camera. Il problema è, infatti, che il vero obbiettivo del Ddl Zan non è quello di difendere le persone omosessuali e transessuali dalla violenza o dalla discriminazione. La legge in questione non ha nulla a che vedere con queste due tematiche: il suo vero scopo è il potere. Nello specifico, il potere sostanzialmente arbitrario e inquisitorio (nel vero senso del termine) che essa conferirebbe a quella parte radicale, militante, politicizzata e ideologicamente strutturata del mondo gay e trans.

Proviamo a riflettere insieme.

Di una legge simile non c’è bisogno: la Costituzione infatti già vieta che “il sesso possa costituire una motivazione di diseguaglianza e di diminuzione della pari dignità sociale”. Ma non solo: il Ddl Zan contiene anche “un errore tecnico grave”, in quanto rende più perseguibili alcuni tipi di discriminazioni rispetto ad altre.

Il Ddl in questione è addirittura contrario alla Costituzione, perché, riservando all’omosessuale o al transessuale maggiori tutele rispetto ad altre categorie di persone, viola l’articolo 3, che stabilisce: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

Secondo quanto ha dichiarato Alessandro Zan “il sale della legge è questo: in futuro nessuno potrà dire che i gay devono essere bruciati nei forni.” E perché, caro Zan, adesso si può dire? L’istigazione a delinquere è già reato, punito dall’articolo 14 del Codice penale con la reclusione sino a cinque anni, e infatti il consigliere regionale della Lega che ha pronunciato quella frase è stato denunciato. Non solo, nel nostro ordinamento è già prevista l’aggravante, e si chiama si chiama circostanza aggravante per motivi abietti o futili, e a norma dell’articolo 61 del Codice penale comporta l’aumento fino a un terzo della pena.

Destano in particolare qualche preoccupazione gli articoli 4 e 7 che dovrebbero fornire delle garanzie per la libertà di pensiero e religiosa. Si tratta, invece, di articoli che lasciano un margine interpretativo “troppo ampio”, dato che il rapporto anche temporale e di contesto tra una posizione culturale e religiosa espressa e l’eventuale successivo atto violento o discriminatorio è assolutamente vago. Addirittura, le associazioni cattoliche potrebbero essere perseguite per i ruoli differenti al loro interno tra uomini e donne. O perché le donne sono escluse dal sacerdozio, mentre un’Università cattolica potrebbe essere denunciata penalmente per il tipo di testi di bioetica adottati.

Alla luce di questo florilegio di riserve viene quindi da chiedersi come si possa essere arrivati al muro contro muro intorno a questo Disegno di legge. Il sospetto è che esso contenga un vizio di fondo sottile e subdolo, in grado di rivelare la vera posta in gioco, che è quella di stabilire per legge alcuni parametri etici, culturali e politici, escludendone altri come illegittimi.

Con il Disegno di legge Zan accade infatti qualcosa di molto simile, perché fin dalla enunciazione della legge si sostiene che certe posizioni (omofobe, transfobiche) siano implicitamente collegate a qualche tipo di “fobia”. Ora, le “fobie” sono disturbi psichici che in taluni casi possono rivelarsi gravidi di conseguenze dolorose e pericolose. Si pensi per esempio alle forme di fobia più famose, come l’agarofobia o la claustrofobia, che denotano comunque una reazione eccessiva e sostanzialmente irrazionale di fronte ad alcuni fenomeni o circostanze. In teoria, dunque, chiunque non sia allineato con il gergo politicamente corretto può essere ritenuto portatore di tesi irrazionali, e di conseguenza persona inaffidabile e persino in grado adottare comportamenti violenti o d’innescarli in altri fobici.

Una volta ricondotte a qualche tipo di fobia, le tesi non allineate con il “politicamente corretto” perdono ogni legittimità e possono essere di fatto equiparate a teorie che sono il sintomo di qualche disposizione patologica. Così liquidate il gioco è fatto, e si può instaurare nei loro confronti una procedura discriminatoria e punitiva già sperimentata con successo in Unione Sovietica, quando coloro che venivano spediti nei Gulag in molti casi non erano semplicemente accusati di sostenere teorie politicamente eretiche (questa motivazione avrebbe corso il rischio di risultare discutibile), ma di essere affetti da qualche disturbo mentale, così da rendere necessarie terapie e reclusioni rieducative.

L’approvazione del testo ora è ferma in Commissione Giustizia al Senato, viene di nuovo sollecitata da parte del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle, nonché dell’estrema sinistra, che ritengono si tratti di un provvedimento di civiltà. Dal canto loro, Forza Italia e la Lega si dicono disponibili al dialogo ma chiedono di introdurre modifiche alla legge, in maniera tale da punire chi commette violenza o discrimina, facendo salva la libertà d’espressione e stralciando la parte sull’educazione gender nelle scuole. Soltanto Fratelli d’Italia, per bocca della leader Giorgia Meloni, ribadisce la sua contrarietà a ogni ipotesi in questo senso, sostenendo che la Costituzione già protegge dalle discriminazioni e che le leggi penali attualmente vigenti già puniscono la violenza contro chiunque venga commessa.

Concludo. In nome dell’uguaglianza, questa legge finirà per creare disuguaglianza tra categorie protette e sostanzialmente intoccabili e categorie che non godranno delle stesse tutele. Finirà per creare una sorta di “nuova aristocrazia”, il che fa a pugni coi più basilari principi della democrazia liberale. Se tutti siamo uguali di fronte alla legge non si capisce perché alcuni dovrebbero ricevere un trattamento preferenziale rispetto ad altri.