10 Giugno 2013, 12:55 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Nell'anno 2200 un gruppo di stranieri, dopo aver letto della Rocca di Cefalù, ritenuta la testa di Dafni, morto disperato e cieco, vollero visitarla, alla ricerca di ricordi di questo e di altri miti.
Quando vi giunsero, trovarono tante lapidi sparse nel terreno. Alcuni testi li colpirono e li ricopiarono sui loro quadernetti.
Uno di questi diceva: “Qui giace quella che fu Cefalù, fondata dai Fenici e poi prescelta da Greci, Normanni, Svevi e persino Spagnoli. Sono morta quasi 200 anni fa e fui subito ricoperta dai rifiuti, il cui olezzo finì con il coprire l'odore del mio cadavere in putrefazione. Coloro che mi hanno riservato questo triste destino, mentre lo preparavano, quasi mi urlavano all'orecchio che volevano salvarmi. Non so se avessero veramente questa intenzione; so soltanto che io, ritenuta immortale, mi ritrovo qui morta e non ricoperta da terra, ma ancora da rifiuti. Per questo, compassionevole passante, spero che preghi perché venga finalmente un uragano a ripulire le mie spoglie.”
Un altro recitava: “Pietoso passante, se vuoi conoscere il nostro passato, sappi che noi fummo fra le scogliere e le spiagge più belle del Mondo. Oggi giacciamo qui, senza vita, perché chi doveva e poteva difenderci, non si è fornito dell'unica arma che poteva concederglielo: un Piano di Utilizzo del Demanio Marittimo. Il burocrate, che avrebbe dovuto prepararlo e il politico che avrebbe dovuto sollecitarlo, sono stati distratti da altre incombenze. E per ingannarci meglio, mentre morivamo ci hanno allietate con una regata velica. Prega per noi e perdonaci se non siamo più in grado di renderti piacevole il tuo dimorare su questa terra.”
Il testo di questo colpì l'immaginazione degli stranieri e li commosse: “Noi fummo, in vita, le terre più amene che poeta potesse immaginare. Per secoli allietammo gli uomini e rendemmo i loro passi sui nostri sentieri piacevoli per la vista sempre diversa, che offrivamo delle spiagge e delle scogliere, che giacciono accanto a noi. Poi venne il tempo delle localizzazioni non conformi ma compatibili e siamo state sepolte sotto colate di freddo cemento, che ci ha uccise. Oggi ne siamo ancora ricoperte e preghiamo che un terremoto ce ne liberi, concedendo alle piante e ai fiori di allietare gli uomini. Prega anche tu, compassionevole passante, perché ciò avvenga presto.”
Una lapide era più grande, anche se recava un epitaffio più breve: “Mi cantò Servio e le onde che piangevano ai miei piedi le cantò Virgilio. Oggi non sono più e tutti parlano di me, come se fossi una sorta di maledizione per queste terre. Mi lasciano ricoperta di sterpaglie e litigano non su come amarmi, ma su come sfruttarmi, simili a lenoni.”
L'ultimo epitaffio: “Mi volle Ruggero d'Altavilla. In tanti si vantarono sempre di me, finché un burocrate non decise che, essendo stata costruita senza autorizzazione, dovevo essere abbattuta. Oggi sono soltanto un rudere e le mie pietre vengono usate per reggere graticole per l'arrosto. Ti confesso, passante, che non soffro, consapevole come sono che non mi meritavano. Non piangere per il mio destino, ma per quello degli uomini rimasti privi della mia maestà.”
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