Il paterno ma vibrante Monito del dott. Rosario Ilardo

Ritratto di Pino Lo Presti

10 Giugno 2013, 09:19 - Pino Lo Presti   [suoi interventi e commenti]

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La serata (8 giugno 2013), che ha visto una grande partecipazione di pubblico, si è svolta sotto i migliori auspici, non solo per l’ottimo spettacolo musicale e canoro offerto dal gruppo de “I Vanni 36”, sull’onda della Bossanova, ma anche per alcuni momenti di riflessione.

Momenti di riflessione inaugurati da Padre Aurelio Biundo Parroco di S. Francesco, il quale ha sorpreso tutti per l’ottima e toccante recitazione del “Cantico delle Creature” di S. Francesco.
Una Lode scelta non a caso ovviamente ma a sottolineare il sentimento di rispetto per la natura e le sue creature (quindi anche la Storia) che può sorgere soltanto da quello dell’alito divino nel Creato, sentimento che si auspica sia sempre presente in tutti coloro che, a vario titolo, metteranno piedi, occhi e mano in questi luoghi.

Offerti poi dal Sindaco con un discorso che si può leggere in: (https://www.qualecefalu.it/node/2411)

La Conduttrice, d.ssa Antonella La Barbera 

il M° Roberto Giacchino fa omaggio di una sua pietra lavorata al Sindaco di Cefalù e, attraverso lui, alla Città.

Infine, dal dott. Rosario Ilardo:

"Debbo anzitutto congratularmi con la civica Amministrazione, e, in particolare con il Consigliere comunale, dott. Terrasi, per questa idea volta a restituire alla città di Cefalù un luogo pubblico per spettacoli e manifestazioni all’aperto. Prima ancora però di entrare nel merito dell’argomento che mi è stato affidato di trattare, vorrei sottoporre sommessamente - direi quasi “in punta di piedi” -, all’Amministrazione comunale, alle pubbliche istituzioni, ai cittadini stessi, il mio pensiero in ordine agli interventi sulla Rocca di Cefalù.

Nel 1965 nella Sala delle Capriate di Cefalù (alcuni dei presenti certamente lo ricorderanno), è stato tenuto un Convegno sulla Rocca, ed è stato invitato, per l’occasione, il prof. Porcinai: uno fra i più noti - se non il più noto - architetto paesaggista d’Italia del ‘900. In quell’occasione, il prof. Porcinai, parlando delle piantumazioni esistenti sulla Rocca, ebbe ad esprimersi in questi termini: “Anche un solo albero piantato in un posto sbagliato potrebbe alterare e rompere l’armonioso equilibrio della Rocca di Cefalù”. È chiaro che questo discorso non vale soltanto per gli alberi, ma vale - secondo me - per qualsiasi altro tipo di intervento, da una pavimentazione alla costruzione di un muro o  alla messa in dimora di un semplice palo della luce; vale per qualsiasi intervento sulla Rocca di Cefalù, per le sue inevitabili refluenze di ordine archeologico, naturalistico, paesaggistico, storico, eccetera.

Questa sera, quell’ “ammonimento” - potremmo chiamarlo così - dell’architetto Porcinai, mi sembra che dovrebbe essere preso in seria considerazione da tutti noi - oggi più di ieri - per evitare che sulla Rocca si possono creare occasioni che ne rompano l’armonioso equilibrio instauratosi nei secoli.
A mio avviso, ogni intervento che la coinvolga dovrebbe essere preliminarmente incluso in un Programma, in una Pianificazione generale, in un Progetto interdisciplinare. Niente al di fuori, e al di sopra, di un Programma generale, secondo me, vi dovrà mai essere realizzato da parte di nessuno. E, io, questa sera, venendo qui, pensavo, supponevo che anche  questa idea fosse stata inclusa in un contesto generale che abbracciasse almeno questa area attorno a noi. Perché questa è un’area importante, signori cefaludesi ed autorità presenti, perché qui attorno a noi ci stanno delle emergenze eccezionali che debbono essere salvate, valorizzate per essere correttamente fatte fruire al pubblico.

La prima a cui mi riferisco è costituita dalle “Cave di San Calogero”.
Queste cave, che voi vedete qui attorno a noi, dietro di noi, sono state in attività da tempo immemorabile. Soltanto nel 1904 è stata fatta la prima regolamentazione per la estrazione di pietra da queste cave. Le pietra veniva autorizzata o per costruzioni, o per le fornaci di calce. Nel 1911, è stato emanato un secondo Regolamento per la disciplina della estrazione delle pietre della Rocca di Cefalù e dalle zone limitrofe circostanti. Nel 1950, questo Regolamento venne sottoposto di nuovo, in modo più attento e completo, all’attenzione del Consiglio comunale. Nel momento in cui se ne chiese l’approvazione, tre illustri nostri concittadini, Consiglieri: Miceli, Agnello,..., presentarono un Emendamento con il quale si chiedeva che si ponesse fine all’estrazione della pietra anche dalla Rocca di Cefalù. L’Emendamento fu stato approvato all’unanimità dal Consiglio e, credetemi, quel momento è stato un momento importantissimo per Cefalù perché ha segnato, per la prima volta, un passaggio fondamentale nella coscienza dei cefaludesi, riguardo la Rocca: è cioè che essa non fosse più una cava ma un Monumento, qualcosa di importante sul piano naturalistico, storico e paesaggistico eccetera.

A quell'azione così importante seguì, a breve termine, l’abolizione dai regolamenti ottocenteschi anche della possibilità di dare in concessione le due grotte sulla rada di Presidiana (la Grotta delle Giumente e la Grotta dei Colombi) per la custodia degli animali. Lì, al loro interno, infatti si trovavono reperti che risalivano al Paleolitico superiore (circa 10.000 anni fa). Questi reperti - che ho potuto visionare - giacciono purtroppo nei sotterranei del museo archeologico Salinas di Palermo, in contenitori che non sono stati mai aperti da nessuno. C’è di tutto, reperti importantissimi che possono essere utili nella ricostruzione del passato della nostra città.

Lo sfruttatamento delle Cave ha riguardato prima essenzialmente la parete sud-ovest. Successivamente, quando la parete da obliqua divenne perpendicolare, e quando pertanto i lavoratori non poterono più operarvi in sicurezza, allora quel fronte venne abbandonato e, all’inizio del 1900, venne aperto quest’altro fronte, ad est dalla chiesa di San Calogero.
Ricordo, da ragazzo, gli operai che, appesi alle corde, lavoravano su queste pareti, e il loro volto quando - più in là negli anni - li incontravo lungo il Corso, segnato dalle intemperie; il caldo dell’estate e il freddo dell’inverno avevano steso sul loro volto una patina scura simile a quella dei bronze di Riace.
Era quella una attività molto importante per Cefalù, come quella - ad essa legata - delle fornaci.

L’altra emergenza forte attorno a questa cavea  è infatti costituita dalle Fornaci.
Dietro lo stabilimento Alta, esistevano una ventina di piccole fornaci che producevano da 30 a 50 t. di calce per volta. Agli inizi del 1900, vennero costruite altre cinque fornaci, diverse rispetto a quelle precedenti perchè più ampie e con connotazioni architettoniche di rilievo; erano grosse fornaci che potevano produrre da 100 a 130 t. di calce per volta. Queste fornaci sono importanti,  oltre che per la storia del lavoro dei nostri padri, anche per il loro valore architettonico. La loro forma esterna, la bocche erano molto particolari: ad ogiva, quasi una finestra di una cattedrale gotica. Bellissime queste fornaci!
L’interno era molto ben costruito e le pietre (pietre dure per resistere al calore) erano sistemate con un andamento poligonale, quasi come le mura di Micene o di Tirinto.

Salviamo assolutamente queste fornaci, perché già alcune di queste sono cadute e altre stanno per crollare; e, non possiamo permetterci che questi resti del nostro passato scompaiono così!

Altra emergenza di rilievo, altro punto forte di questa zona - fortissimo direi -,  si trova pochi metri al di sotto di quel filare di fichi d’India che c’è in fondo.
Si tratta del cosiddetto “Mulino ad acqua, eredi di Paola”.
Io questo luogo l’ho visitato dall’alto in basso, decine di volte e ho fatto delle scoperte sensazionali che questa sera voglio rappresentarvi.
Il paramento, che sembra dare unicità a questa costruzione, non è un unico paramento ma sono, in realtà, due, molto importanti. Quello al di sotto - il paramento arcuato - è un paramento su cui poggiava un canale di scorrimento delle acque. Un vero e proprio acquedotto che trasportava l’acqua dal torrente Sant’Oliva sino alla parte alta della città - zona Francavilla - via Costa. Ritengo potesse anche alimentare le terme che - secondo me - esistevano nella zona di via Costa all’altezza dell’Oratorio di San Domenico (una cosa ancora da accertare).

Ad un certo momento, su questo acquedotto (che, secondo me, risale al periodo romano, IV°-V° sec. d.c.), così importante, e così suggestivo a guardarsi per la sua maestosità, fu innalzato un muro e, al di sopra di questo, furono collocati gli impianti per la distribuzione dell’acqua che alimentava il mulino ad acqua. C’è una ingegneria particolare- per la raccolta e la distribuzione - che è ancora in piedi, ed è una opera straordinaria, da vedersi. Quel che è grave però sono le condizioni del canale  principale per la crescita delle piante nella parte che lo separa dalla parete della, che ne stanno per far rotolare a valle la costruzione muraria.
È questo un intervento che richiede la massima urgenza!

L’ultimo “punto forte” di questa zona è la chiesa di San Calogero.   
Come vedete sorge su un’appendice del lato ovest dalla Rocca. Per chi guarda da sotto, è posta di fronte al  bivio della strada provinciale per Gibilmanna.
Prima che questo luogo venisse trasformato in Cava, la chiesa di San Calogero si incastonava felicemente in una cornice naturalistica splendente; affacciata sul golfo di Termine Imerese, un golfo bellissimo e luminoso, dunque in un ambito paesaggistico eccezionale.
Perché, ad un certo momento, questa chiesa venne costruita proprio in questo posto?
A mio avviso, l’architetto - o il maestro d’arte - che la costruì si è ispirato a diversi criteri. Innanzitutto alla solitudine del luogo, alla sua tranquillità, al silenzio che si sposava benissimo con lo spirito  monastico, ascetico di San Calogero. Un secondo fattore lo potremmo riscontrare nella sua natura rupestre; e noi sappiamo che c’era allora il culto per le pietre, e le rupi, molto caro a San Calogero. Il terzo elemento, magari di natura simbolica, si può ravvisare nel fatto che questa Chiesa, come la stessa Rocca, è in correlazione con il Monte Eurako,  cioè il Monte San Calogero di Termini Imerese, dove si pensa che il Santo abbia dimorato per circa due anni.
Sulla data di fondazione della chiesa non ci sono documenti certi ma due ipotesi; secondo la prima sarebbe stata costruita attorno al V° sec. d.c.
Questa tesi è supportata, a mio avviso, da alcuni elementi architettonici della Chiesa. Esiste infatti un arco trionfale a tutto sesto che separa  l’Aula dal Presbiterio, poggiante su due piedritti. A copertura del Presbiterio inoltre c’è una volta a botte, e, sul fondo della parete orientale - dove c’era l’altare -, una nicchia, con sopra un quarto di sfera, che doveva accogliere sicuramente la statua di San Calogero.

Altri invece pensano che la chiesa sia stata costruita dopo la cacciata dei musulmani da Cefalù, cioè dopo Ruggero, o Federico. Una cosa soltanto è certa, che  in un “legato” del 1595, di un cefaludese, certo Leonardo Marguglio - trovato recentemente - a favore della chiesa di San Calogero.
La chiesa occupa una superficie di circa 150 mq. Sotto la sagrestia è stata trovata una cisterna di circa 7 m³. Prospicente ad essa c’è un ampio spazio di circa 400 mq. circondato da un muro sormontato da  lastre di pietra.  Qui si tratta soltanto quindi di ripulire il tutto.
Verso il 1930, la chiesa pare che sia stata chiusa al culto. Nel 1940 era ancora in piedi, mancava soltanto delle imposte e dell’arredo. Nel 1950, dopo la apertura della cava, le mine hanno gravemente compromesso la stabilità dei muri perimetrali  dell’Aula  della chiesa.  Nel 1990, persino tre scalini  di lumachella levigata  sono stati asportati. Stessa sorte anche per alcune lastre della balaustra.
Non si conosce l’origine esatta di questo Santo venuto dall’oriente ma certamente sbarcò in Sicilia nel 440 d.C. circa. Predicò in tutta la Sicilia occidentale e si dedicò alla cura di tanti ammalati con “i fumi” nelle grotte del Monte  Kronio.

A questo punto, facciamo appello alle autorità - che qui sono rappresentate del Sindaco -, a tutte le istituzioni e ai cittadini di Cefalù perché queste vestigia secolari della nostra cultura non vengano perdute.
Una cultura senza radici non esiste, come un albero con una buona chioma non può sopravvivere senza radici.
Muoviamoci, facciamo ciascuna nostra parte per salvare queste opere importanti del nostro passato
"!

I Vanni 36

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Lorena bellina (Flauto), Rosario Guzzetta( Sax e Clarinetto), Leandro Parlavecchio ( Contrabasso), Franco Restivo (Chitarra), Dario Sorrentino (Batteria), Enzo Terrasi (Piano e Fisarmonica), Francesca Scardina (Voce), Simona Brocato (Voce), Mary Catalano (Voce), Vittoria D’Angelo (Voce), Vincenzo Vazzana(Voce), Toto Re (Voce), Gigi Nobile (Percussioni), Ivo Brucato (Percussioni), Sergio Bianca (Percussioni)

Hanno collaborato:
Sponsor: Amadori Group; Le associazioni: ProLoco, Kefa Nuoto, Cai, Volontari Forestale; Le ditte:,Cammarata, AllService, Edima, Spinosa Giovanni, Messina autotrasporti, Sabeco, Zito Vincenzo, Matassa ferramenta e colori, AbsentioTerrasi Grafica, Sala Verde, D.G.M., A.L.T.A., Bollicine; e personale Comunale del Servizio elettrico, Turismo e Gab Sindaco.