Vecchi e nuovi DPCM, quale differenza?

Ritratto di Angelo Sciortino

26 Febbraio 2021, 12:25 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Tento di rispondere ai tanti vedovi e vedove dell'ex Presidente del Consiglio, che gongolano perché anche Draghi da domani avrà ha sulla coscienza il prossimo DPCM. Proviamo a vedere che cosa sono i DPCM.

I Decreti del Presidente del consiglio, al pari dei Decreti ministeriali, sono atti amministrativi, e, in quanto tali, possono derivare da norme di legge, ma non possono autonomamente promuoverle.

Quindi, disposizioni che limitano, quand'anche per motivazioni giuste, alcune libertà espressamente garantite dalla Costituzione, tra tutte la libertà di circolazione (art. 16), ma anche la libertà di riunione (art.17), la libertà religiosa (art.19), il diritto/dovere all’istruzione (art.34) la libertà di iniziativa economica (art.41), sino a limitazioni addirittura alla libertà personale di movimento (art.13), dovrebbero avere necessariamente carattere di legge o di atto avente forza di legge.

Il DPCM è un atto che non viene sottoposto ad alcun intervento di verifica, come invece previsto dal principio dell’equilibrio dei poteri, come ad esempio avviene per il decreto legge che, necessitando della firma del Capo dello Stato, avrebbe almeno un minimo controllo preventivo e, soprattutto, entro 60 giorni, dovendo essere convertito dalle Camere, pena la sua inefficacia, verrebbe sottoposto al giudizio dell’organo legislativo.

L’art. 3 del DL n.6/20, atto avente valore di legge, dal quale i DPCM traggono legittimazione, non può delegare all’autorità amministrativa (e non legislativa) l’adozione di misure che intacchino libertà fondamentali, sussistendo una chiara riserva di legge, con la conseguenza che risulterebbe anticostituzionale l’intero impianto del DPCM.

La nostra Costituzione prevede solo in caso di Guerra, previa deliberazione delle Camere, la possibilità di conferire poteri straordinari al governo, e comunque sempre e soltanto su delega del parlamento, mentre l’unica possibilità di limitare alcuni diritti costituzionali per ragioni di sanità o di incolumità pubblica non può che avvenire per legge (c.d. riserva di legge).

In ragione del particolare valore attribuito al diritto alla salute, inteso non solo come diritto individuale, ma anche come interesse delle collettività, lo stesso rappresenta l’unico diritto che la Costituzione definisce espressamente fondamentale (art.32 Cost.), poiché strettamente connesso al diritto alla vita.

Ed infatti, mentre tutti gli altri diritti costituzionali si bilanciano reciprocamente, il diritto alla vita è l’unico diritto qualificato come assoluto, dunque destinato a prevalere sempre sugli altri, poiché precondizione per il godimento di tutti i diritti.

In tale contesto di deroghe si collocano leggi previste per le situazioni di emergenza, approvate ben prima dell’epidemia di Coronavirus, come il decreto legislativo n. 1/2018 (Codice della protezione civile), in base al quale (artt. 24 e 25), al verificarsi di un’emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa delle Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s’intende derogare e siano rispettati i principi generali dell’ordinamento e il diritto europeo; la legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, in base alla quale (art. 32) il Ministro della Sanità ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica.

Tuttavia possiamo ipotizzare una linea di demarcazione piuttosto netta tra i DPCM emanati sulla base del decreto legge n. 6/2020 e quelli emanati successivamente al decreto legge n. 19/2020.

Infatti, alcuni degli elementi di criticità vengono in parte corretti dal Decreto legge n.19/2020, prevedendo che, su proposta del Ministro della Salute (o dei Presidenti delle Regioni interessate o, se lo sono tutte, del Presidente della Conferenza delle Regioni), il Presidente del Consiglio dei ministri possa adottare tramite proprio decreto una o più tra le misure restrittive.

In casi di estrema necessità e urgenza, nelle more dell’approvazione del DPCM, le misure elencate nell’art. 1 del decreto-legge n. 19/2020 possono essere adottate dal Ministro della Salute con ordinanza emanata ai sensi dell’art. 32 della legge n. 833/1978.

Il nuovo decreto-legge definisce in generale le misure limitative della libertà che possono, poi, essere disposte nei casi specifici tramite DPCM e ordinanze.

In tal modo, la riserva di legge stabilita dalla Costituzione pare rispettata, diversamente da quanto avveniva con il decreto-legge n. 6/2020, che attribuiva ai DPCM il compito di dettare tutte le misure necessarie, senza precisare previamente quali misure potessero essere prese.

Ulteriore elemento di maggiore garanzia appare la trasformazione delle sanzioni per il mancato rispetto delle limitazioni da misure penali a misure amministrative e che ciò valga retroattivamente anche per le sanzioni già comminate come misure penali.

Quindi, dall’emanazione del secondo decreto non pare che il Governo compia una formale violazione della Costituzione, in quanto preventivamente autorizzato dal Parlamento alla decretazione d'urgenza, anche se rimane impregiudicata una discussione di merito più che di forma. 

In sintesi, le misure attuative (DPCM) sono state autorizzate dalla legge in funzione dell’evoluzione dell’epidemia. Le restrizioni delle libertà e diritti costituzionali, in situazione di emergenza sanitaria e nei limiti che essa richiede sono avvenuti in base alla legge in casi precisi per motivi sanitari, di sicurezza e di ordine pubblico, con le limitazioni previste.

Chiarito quindi il fondamento del decreto legge per adottare il DPCM, continuano a sussistere alcune criticità di fondo riscontrabili nell’assenza di termini finali differenziati nelle singole misure di sospensione dei diritti delle libertà costituzionali, come invece avviene per tutte le ordinanze urgenti ed in considerazione del rischio e della grave limitazione di libertà, con un conseguente vulnus, sia esso vizio o comunque di irregolarità di contenuto.

Sarebbe stato preferibile ipotizzare che le misure restrittive venissero adottate non con DPCM, ma con decreto del Presidente della Repubblica (DPR), infatti, anche se il contenuto dell’atto avrebbe continuato a essere frutto di decisione governativa, sarebbe quantomeno stata necessaria la collaborazione del Capo dello Stato, al quale sarebbe spettato il potere di emanazione e quindi di controllo costituzionale.

Ormai, però, siamo sommersi da una sorta di tirannia e sarà difficile tornare al rispetto delle libertà dei cittadini, persino degli studenti. E io non gongolo, anche se sono vedovo della libertà.