20 Giugno 2020, 14:32 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
La Chiesa cattolica italiana gode di finanziamenti pubblici e - insieme agli altri soggetti che operano nel sociale - di agevolazioni fiscali che, sebbene siano previsti da leggi dello Stato, da taluni sono però considerati illegittimi alla luce del divieto di aiuti di Stato.
Fin dalla sua costituzione lo Stato italiano ha contribuito al sostentamento del clero cattolico “in cura d’anime” con un finanziamento pubblico, che si configurava come risarcimento per la perdita dei molti beni ecclesiastici da esso confiscati con le leggi cosiddette eversive. Lo Stato si faceva carico, in pratica, della volontà dei «fedeli», che con i loro lasciti avevano costituito il patrimonio delle chiese, sostituendo le rendite, che ne sarebbero derivate, con il suo contributo diretto al mantenimento dei parroci. Chiamato congrua perché integrava le offerte dei fedeli per renderle adeguate alle necessità delle parrocchie, tale contributo era progressivamente rivalutato senza più un rapporto reale con le rendite perdute.
La situazione non cambiò molto con i Patti Lateranensi del 1929 che, mentre con la Convenzione finanziaria risolsero definitivamente il contenzioso economico tra l’Italia e la Santa Sede, con il Concordato mantenevano il pagamento della congrua ai parroci in cura d’anime, non quindi a tutti sacerdoti. Convenzionalmente considerata ancora come restituzione dei beni ecclesiastici continuò ad essere rivalutata negli anni.
Il sistema è, invece, radicalmente mutato con l’Accordo del 1984 di revisione del Concordato, voluto da Bettino Craxi, e con la legge 222/85 di applicazione dell’intesa finanziaria in esso contenuta che configura un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione della Conferenza episcopale italiana, Cei.
Non si tratta, infatti, di autofinanziamento, come si tentò di far credere in un primo momento, ma di autentico finanziamento diretto da parte dello Stato che copre non solo le spese del sostentamento dei parroci, come ai tempi della congrua, ma l’intera attività della Chiesa cattolica.
In conformità a questa normativa ogni anno una percentuale pari all’otto per mille del gettito complessivo dell’Irpef (non delle imposte di ciascuno), va alla Chiesa cattolica sulla base delle scelte dei contribuenti. Tale percentuale, in costante aumento per la diminuzione dell’evasione e per l’aumento dell’inflazione, è accresciuta dalla successiva ripartizione dell’ammontare annuo dell’otto per mille su cui non si sono esercitate scelte e che è ridistribuito, in base a quella percentuale, tra gli enti (Chiesa cattolica, Governo, e altre confessioni) che la legge prevede come destinatari dell’otto per mille. Nel corso degli ultimi anni solo il 45% degli aventi diritto hanno in media effettuato la scelta. Di questi circa il 75% ha destinato l’otto per mille alla Chiesa cattolica, a cui viene attribuito, grazie alla norma suddetta, la stessa percentuale della quota di quanti non hanno scelto.
Dal 1989 sono stati erogati in tutto 9.408 miliardi, invece dei 4.060 se fosse restato in vigore il vecchio sistema, nel 2000 saranno10.958 con la media annua di 1.000 miliardi.
Al finanziamento diretto alla Cei, si aggiungono altre forme di finanziamento che, seppure indirette, costituiscono pur sempre un onere per le pubbliche finanze in primo luogo gli stipendi dei ministri di culto (insegnanti di religione cattolica nelle scuole e cappellani nelle caserme, nelle carceri e negli ospedali) impegnati per motivi pastorali in strutture pubbliche.
Gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche costano circa mille miliardi l’anno. Nell’anno in corso sono a carico del bilancio della Pubblica Istruzione precisamente 976 miliardi per circa 20.000 insegnanti: 1415 nelle materne, a coprire 33.969 ore, 7.996 nelle elementari, a coprire 175.912 ore, e 10.486 insegnanti nelle medie inferiori e superiori.
Essi, oltre a rappresentare un’ingombrante presenza confessionale nella scuola pubblica, costituiscono anche una riserva di operatori pastorali a disposizione delle diocesi. La pressoché piena discrezionalità delle curie diocesane nelle nomine e nelle conferme in servizio, mentre offre facili occasioni di favoritismi e di clientelismo, costituisce un forte strumento di pressione.
È anche difficile, se non impossibile, valutare le somme che lo Stato non incassa per gli usi illegittimi delle forme di esenzione fiscale garantite alle attività e alle strutture destinate al culto. Queste, equiparate con la legge 121/85 alle attività culturali e assistenziali, godono di un particolare regime fiscale, esenzione dall’IVA e dall’imposta sui terreni. Va aggiunto il regime speciale di esenzione dall’Invim degli atti di compra-vendita di immobili di proprietà ecclesiastica. È innegabile che in questo regime sono facili le occasioni, che diventano tentazioni, di usare le finalità di culto come copertura di attività lucrative, pur se a maggior gloria di Dio.
Alla luce di queste premesse, non mi meraviglia quello che in questi ultimi mesi accade a Cefalù. A parte la richiesta di un copyright su riprese all'interno e all'esterno della Cattedrale, la Chiesa cefalutana posa il suo sguardo su beni che non le appartengono. Ai primi di marzo ha ottenuto la gestione dell'Osterio Magno con la giustificazione che esso farà parte del cosiddetto “Itinerario della Bellezza” insieme alla Cattedrale e le sue Torri. È strano che in nome dello sfruttamento finanziario di ciò che è suo e di ciò che non lo è, anche se comunque tutti i beni artistici appartengono all'umanità, la Chiesa di Cefalù non si preoccupi piuttosto di un “Itinerario dello Spirito”, come Gesù indicò ai suoi Apostoli.
Spero che le Autorità politiche regionali, che hanno disposto tale affidamento, assicurando tra l'altro un congruo finanziamento per i lavori di restauro, tornino sui loro passi; spero pure che la cooperativa giovanile “Il Segno” rifletta sull'opportunità che a essa sia affidata la gestione del bene.
Quando bambino mi fu imposto di seguire le lezioni di catechismo, impartitemi dall'abate Cosimo Cicero, imparai che Dio e suo Figlio Gesù non amano le ricchezze, ma queste sono figlie di Satana. Tutto ciò, con le letture dei Testi Sacri, mi fu confermato ulteriormente.
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