Il sagrato della Cattedrale di Cefalù, silenziosa presenza urbana

Ritratto di Salvatore Varzi

25 Aprile 2020, 13:14 - Salvatore Varzi   [suoi interventi e commenti]

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Tra i tanti elementi che rendono unica la Cattedrale di Cefalù, senza ombra di dubbio, il sagrato della Basilica riveste un ruolo di primario livello, anche se poco valorizzato e studiato. Negli anni molti sono i nomi attribuitigli, da coemeterium a sacrarium, turniale, sagrato. Oggi si presenta con la sua estensione quadrangolare di circa 32x32 metri, alta circa 4,50, tale da superare la differenza di quota tra la piazza e la Basilica Cattedrale, dando al monumento ruggeriano quasi l’aspetto di una sfinge con le zampe protese verso la città.

Ma la sua forma è sempre stata questa? È realmente esistita la scalinata di accesso a tre rampe, come sostenuto da monsignor Valenziano[1] e rappresentata nei disegni di Bartolomeo Martino?

Le prime notizie si hanno grazie agli scavi archeologici eseguiti nel 1980 da Amedeo Tullio.

I sondaggi eseguiti presso la torre sud, e successivamente, specularmente, presso la torre nord, hanno portato alla luce due strutture murarie, di buona fattura, ascrivibili a un periodo compreso tra la seconda metà del secolo XIII e la prima metà del XVI, dando la certezza che il sagrato era di dimensioni ridotte rispetto a quelle odierne e precisamente di circa 23x23 metri[2]. Non solo: oltre ai muri sono venute alla luce numerose sepolture, databili tra la fondazione della Basilica, con l’uso del sagrato a sepolcreto, e il secolo XIX.

È da escludersi, quindi, in mancanza di altre evidenze archeologiche, l’idea di una gradinata a tre lente riprese dalla piazza fino alla Basilica. È assai più probabile che in un primo periodo, compreso tra la fondazione e il secolo XIII, fosse stato lasciato un declivio naturale che collegava la Basilica alla piazza, antico planum matrici ecclesiae. In epoca successiva fu realizzato un cimitero che funzionò ininterrottamente dal XIII secolo fino all’applicazione dell’editto napoleonico di Saint-Cloud (1831), che vietò i seppellimenti nelle aree urbane.

Ma chi veniva sepolto in questo coemeterium?

Da tradizione orale e dai Libri Defunctorum della Basilica Cattedrale apprendiamo che il seppellimento nel sagrato era destinato a chi pagava per ottenerlo e il più delle volte, alla povera gente, che non poteva permettersi né una funzione religiosa né una sepoltura. Il tutto, solitamente, a titolo gratuito.

Una curiosità: dal più antico dei Libri Defunctorum conservati in Cattedrale, del 1580, scopriamo che la prima sepoltura documentata, dopo l’attuazione delle direttive del Concilio di Trento, è di tale Luca de Almao che si sepellio allo cimmiterio dela magior ecclesia ali 2 di 7mbro, IX Ind., 1580[3].

Ma tornando alle evoluzioni di questo recinto, ampliato e modificato nei secoli, le prime notizie storiche risalgono al 1585, anno in cui il vescovo Ottaviano Preconio (1578 - 1587) promosse la riconfigurazione dell’originario coemeterium medievale, prospiciente la Basilica Cattedrale, trasformandolo in vestibulum quadrato con scale di accesso su tre lati, fiancheggiate da pilastri e muri contigui.

È in questo periodo che prende corpo la tradizione orale secondo cui la terra utilizzata per il riempimento del sagrato fosse stata portata a Cefalù da Gerusalemme per disposizione di re Ruggero, in quanto, oltre a trattarsi di terra santa, aveva la straordinaria capacità di scarnificare in soli tre giorni i cadaveri che in essa venivano sepolti.

La fonte più prossima ai lavori di sistemazione disposti dal vescovo Preconio è la Descriptio totius Ecclesiae Cephaleditanae di Bartolomeo Carandino, edito a Mantova nel 1592. Durante la sua permanenza a Cefalù, infatti, il sagrato era stato ampliato da poco più di 7 anni. Carandino lo descrive abbastanza fedelmente: sul lato settentrionale presenta dodici gradini, su quello occidentale dodici gradini più tre d’accesso al cimitero e sul lato sud tre gradini con cancellata per evitare alle bestie di penetrare nell’area sacra. Sarebbe stato inutile, infatti, realizzare una cancellata di protezione sui lati settentrionale e occidentale, vista la gran quantità di gradini di accesso. Tutti i pilastri terminavano con una piramide sovrastata da una sfera.

Carandino inoltre descrive che sul pilastro di sinistra, prospiciente il palazzo vescovile, vi era lo stemma del Preconio[4], seguito da questa iscrizione:

SI  MODO  VESTIBVLVM  VIDEOR  FORMOSIVS  OLIM
ANTISTES  FORMAM  SIC  MIHI  PRÆCO  DEDIT
1585

Se ora sembro un vestibolo più bello
fu l’allora Vescovo Preconio a darmi questa forma

1585

Veduta di Cefalù, 1645 (da B. PASSAFIUME, De origine Ecclesiae Cephaleditanae eiusque urbis, Venezia 1645).

La prima rappresentazione grafica del monumento l’abbiamo nella veduta prospettica pubblicata da Benedetto Passafiume nel suo “De originae Ecclesiae Cephaleditanae eiusque urbis” del 1645.

L’autore ci offre, oltre alla bella incisione della città, anche una curiosità: dall’altare maggiore della Basilica fino al piano della piazza i gradini erano 33 come gli anni di Cristo.

Durante l’episcopato di monsignor Francesco Gisulfo e Osorio (1650 - 1658) venne costruita una fontana collocata al centro del sagrato antistante l’ingresso del duomo e per tale opera venne portata l’acqua da fuori città grazie a un acquedotto, interamente finanziato dal vescovo, per la pubblica utilità e per l’alimentazione della fontana.

Con monsignor Giovanni Roano e Corrionero (1660 - 1673) la fontana realizzata da Gisulfo e Osorio venne rimossa e sostituita da una più grande, posta sempre al centro del recinto, all’incrocio delle vie di ingresso tra scalinate e Cattedrale. L’opera, di pietra lumachella locale, aveva una base di 0,65x0,65 metri, era alta 1,85 circa ed era dotata di una vasca di circa 1,65 metri di diametro. In origine era rialzata su tre gradini, come si nota nei disegni di Anton Hallmann[5] del 1835 e di George Moore del 1836[6].   

A. Hallmann, Cefalù, 19 giugno 1835.    

G. Moore, Cefalù, La Cattedrale (1836).

Sul bordo della vasca vi era l’iscrizione:

ILLVSTRISSIMO DOMINO DON IOANNE ROANO CORRIONERO EPISCOPO CŒPHALVDENSI ANNO MDCLXVIII

(Essendo) vescovo di Cefalù l’illustrissimo signore don Giovanni Roano Corrionero Anno 1668

Sempre sotto lo stesso episcopato furono realizzate da mastro Michele Speziali canne 133 di scaloni per la chiesa Cattedrale di Cefalù[7] da identificarsi con le prime sei file di gradini che oggi compongono la scalinata principale di ingresso al sagrato. Con molta probabilità, sempre al medesimo episcopato risalivano anche le fontanelle ubicate sul fronte occidentale, prospiciente Piazza Duomo, che compaiono in un disegno del giugno 1836 eseguito da Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814 - 1879)[8], un giovane francese poco più che ventenne, in una tappa del suo Grand Tour.  Il paramento murario esterno fu rivestito di un intonaco a calce con lesene che scandivano il susseguirsi di pilastrini.

E. Viollet-le-Duc, Cefalù, 23 giugno 1836.J. J. Clerget, Cefalù, facciata della Cattedrale 1837-39[9].

Nel 1726, durante il periodo di vacanza della sede, retta dal Vicario Generale don Giuseppe Pirajno (1683-1760), furono rimosse le piramidi dei pilastri del prospetto sulla piazza e realizzati i “pisantuna” ovvero le quattro statue che come numi tutelari proteggono il sagrato ed ammoniscono chi vi si immette. Esse rappresentano i quattro Dottori della Chiesa latina: San Girolamo, San Gregorio, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino.

Al 1793 risalgono le prime demolizioni dovute alla costruzione del braccio meridionale del Palazzo Vescovile, che collega l’Episcopio al Seminario. L’abbassamento di quota di circa 2,5 metri portò alla demolizione della scala settentrionale e all’eliminazione del relativo accesso.

Tra il 1848 ed il 1850, sotto l’episcopato di Monsignor Giovanni Visconte Maria Proto (1844 - 1854), furono demoliti i muretti perimetrali realizzati dal Preconio nel 1585 e sostituiti dall’artistica cancellata e dai cancelli in ferro battuto. Il cancello centrale prospiciente la piazza reca sulla sommità lo stemma vescovile, sul muro nord del sagrato, dirimpetto l’ingresso del Palazzo Episcopale, si legge ancora questa iscrizione dedicatoria:

D . O . M
IN  PRÆCLARI  CEPHALVDENSIS  TEMPLI  CVLTVM  SEDVLO  INCVMBENS
VISCONTIVS  MARIA  PROTO
EX  CASSINENSIVM  CONGREGATIONE  CEPH.  EPISCOPVS
ANTERIVS  ILLVD  FERREIS  CLATHRIS  SEPSIT
AC  PERMVLTIS  QVIBVS  CAREBAT  ORNATIBVS  MVNIFICE  ADAVCTIS
ELEGANTIVS  ÆRE  SVO  REDDIDIT
DISCIPLINÆ  CLERICALIS  STVDIOSISSIMVS
QVO  LITTERIS  COMMODIVS  VACARENT  BONISQVE  MORIBVS  IMBVERENTVR  ALVMNI
EPISCOPALE  SEMINARIVM  REDITIBVS  AVXIT  EXORNAVIT
MELIOREMQVE  IN  FORMAM  REDEGIT  AN.  MDCCCLI

 

Deo Optimo Maximo - A Dio Ottimo Massimo
occupandosi alacremente del culto dello splendido tempio cefaludense
Visconte Maria Proto
vescovo di Cefalù della congregazione cassinese
ne chiuse quello spazio antistante con cancellate di ferro
e aggiunti generosamente moltissimi ornamenti di cui era privo
a sue spese lo rese più elegante
attentissimo agli studi clericali
affinché gli alunni fossero formati adeguatamente nelle materie letterarie e nei buoni costumi
accrebbe beni e risorse del Seminario Vescovile
e ne migliorò l’aspetto nell’anno 1851[10]

Vengono inoltre rimosse le piramidi che sovrastavano i rimanenti pilastri, sostituite da grandi urne di tufo. Le fontanelle sul fronte occidentale furono sostituite da due stemmi marmorei, quello di sinistra con le armi di Casa Borbone, quello di destra con le armi del Vescovo Proto. Venne risistemata la pavimentazione del sagrato e spostata la fontana di monsignor Roano e Corrionero, che trovò definitiva collocazione al centro dell’atrio del Palazzo Vescovile, dove si trova ancora oggi. Furono inoltre realizzati sei sedili in materiali poveri (marmo e mattoni) per permettere ai fedeli di poter sostare all’interno del recinto prima o dopo la funzione religiosa. Fu in questo periodo che il sagrato cambiò nome: da coemeterium a “turniali”, termine, quest’ultimo, che fino a quel momento aveva designato il chiostro dei canonici.

Dal 1851 e fino al primo conflitto mondiale si usò addobbare il sagrato per le festività del SS. Salvatore, antico patrono della città. La cancellata perimetrale si prestò all’innesto di lanterne ad olio a distanza cadenzata di una lanterna ogni otto picche. Quest’uso non si limitava al sagrato, ma veniva usato, in forma diversa, per tutto il prospetto della Cattedrale. Unica testimonianza di questa bella tradizione è un’albumina del fotografo palermitano Giuseppe Incorpora dell’agosto 1880.

G. Incorpora, La Cattedrale di Cefalù, dettaglio, agosto 1880. (Fototeca Varzi)

Verso la fine del 1800 e gli inizi del 1900 l’intonaco dei prospetti cambiò, la decorazione a lesene venne demolita e sostituita da un intonaco a calce liscio con due fascioni, uno al basamento ed uno alla cornice d’attico, di colore bordeaux. I grandi vasi che decoravano la sommità dei pilasti dei cancelli laterali vennero rimossi e mai più ricollocati.

Altra curiosità: da una fotografia della fototeca Varzi è stato possibile accertare che il 23 marzo 1910, la statua a destra del cancello principale risultava acefala. La testa ricomparve perfettamente restaurata qualche mese dopo. È probabile che in quell’anno, allo scopo di ancorare la testa al corpo della statua, fu inserita una radice di ferro. Col passare degli anni la radice si è ossidata, tanto da fessurare in due parti il volto del santo, come si nota ancora oggi.

Nell’arco del secolo XX furono eseguiti solo due interventi: nel 1976, il restauro delle statue settecentesche; negli anni 2000, il consolidamento strutturale del pilastro angolare su via Passafiume, che minacciava di crollare. L’intervento, a carattere provvisorio, utilizzò laterizi rossi e cemento, sotto la supervisione dell’allora parroco don Salvatore Mormino. Negli anni cinquanta furono avanzate proposte irricevibili; come la demolizione del sagrato per la realizzazione di un’ampia scalinata a tre terrazzi, fortunatamente mai realizzata e la risistemazione della Piazza Duomo con la demolizione dei prospetti dei palazzi storici per allinearli alla Cattedrale e darle un respiro più ampio. Ancora oggi, a distanza di quasi settant’anni, c’è ancora chi appoggia e difende questo progetto e vorrebbe fare tabula rasa della storia locale.

Sul finire degli anni sessanta il sagrato ospitò più di un concerto. Negli anni “70, durante i lavori di demolizione degli stucchi e delle cappelle barocche all’interno della Basilica, i marmi smontati furono depositati all’interno del recinto per circa 40 anni e abbandonati alle intemperie, per essere rimossi solo nel 2010 sotto l’episcopato di monsignor Vincenzo Manzella.

Dell’aprile 2019 è l’annuncio da parte della Regione Siciliana dello stanziamento di un finanziamento di € 600.000,00 per il restauro e la messa in sicurezza del sagrato, auspicato dall’attuale vescovo monsignor Giuseppe Marciante fin dai primi giorni del suo ministero episcopale[11].

L’ultima parola sul reale aspetto della Basilica tra i secoli XII e XVI spetterà allo scavo archeologico, unico mezzo che potrà sondare le fasi evolutive del collegamento tra la città e la Chiesa ruggeriana.

Ma il sagrato non è solo storia sui libri, è anche storia di vita vissuta segnata sulla pietra delle sue basole. Tra i gradini della scalinata un occhio attento può individuare antichi graffiti fatti dai visitatori e anche giochi popolari. Ne è un esempio la triplice cinta, un gioco antichissimo introdotto in Italia nei secoli XII-XIII, chiamato anche “filetto” o “marredda” e dell’alquerque de doce (quadrato di dodici), detto così dal numero di pedine usate e dalla regola adottata[12]. Il filetto, forse espressione più antica del gioco, lo ritroviamo sia su un blocco trapezoidale, probabilmente “chiave” di un arco non più in uso e quindi di spoglio, rinvenuto durante gli scavi archeologici del sagrato condotti nel 1980 da Amedeo Tullio, sia su un altro blocco posto all’interno del chiostro. le incisioni con l’alquerque de doce li ritroviamo invece principalmente sulla scalinata di accesso al sagrato, dunque risalirebbero ai secoli XVI-XVIII. Un’imprevedibile testimonianza dell’impiego del tempo libero, ma anche di certe abitudini sociali, non dissimili da quelle odierne[13].

Il concio ritrovato dal Prof. Tullio e schema di gioco del filetto

Alquerque de doce inciso sulla scalinata e suo schema

Concludo questa breve cronistoria con la speranza che il prossimo, necessario restauro possa dare il giusto decoro e rilievo a questo monumento, che per circa 435 anni è stato testimone silente dell’evoluzione storica, religiosa e stilistica della vita cefaludese.  È evidente l'importanza di questo luogo, che favorisce la preparazione personale e spirituale per l'ingresso alla Basilica. Quanti cefaludesi hanno percorso questi metri nel corso dei secoli? Quali e quanti i loro stati d'animo? Gioie, dolori, momenti mondani, gridi di monelli intenti a giocare coi “pirè” tra le basole della scalinata, uomini che suonando la campanella sotto la torre nord chiedevano il viatico per un caro che stava per lasciare questo mondo, le lunghe processioni, i pellegrinaggi… Come dev'essere stato suggestivo, per i protagonisti dei primi Grand Tour, l’avanzare spontaneo e solenne dalla città alla Basilica. È impossibile non accorgersi che questo meraviglioso stupore accompagna ancora oggi i tanti turisti che si accingono a “passare” attraverso la storia. Perché il sagrato è il preambolo della magnificenza della Cattedrale.

                                                                                                               Salvatore Varzi


[1] C. Valenziano, Introduzione alla Basilica Cattedrale di Cefalù, Palermo 1981, pag. 8. 

[2] A. Tullio, I saggi di scavo, in La Basilica Cattedrale di Cefalù. 3: La ricerca archeologica. Preesistenze e materiali reimpiegati, Palermo 1985; pag.75.

[3] Fondo Archivio Parrocchia Cattedrale Cefalù, Liber Defunctorum 1580-1686.

[4] G. Misuraca, Cefalù nella storia, Lorenzo Misuraca Editore, Cefalù, pag.128.

[5] A. Hallmann, Studien der Reise durch Süditalien und Sizilien - BSB Ana 355.A.II.d.17, München: Bayerische Staatsbibliothek.

[6] H. Gally Knight, The Normans in Sicily, being a sequel to An Architectural tour in Normandy, Londra 1838, Cambridge: Massachusetts Institute of Technology.

[7] N. Marino, Artisti e Maestranze nella Cattedrale di Cefalù, in Paleokastro - Rivista trimestrale di studi sul territorio del Valdemone, I, 3, dicembre 2000, pag.9.

[8] E. Viollet-le-Duc, Cefalù Façade de la Cathedrale, Parigi: C.R.M.H. inv. n. 65.

[9] G. Antista, Disegni di architetture normanne dei pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma, in, Conoscere il territorio: Arte e Storia delle Madonie - Studi in memoria di Nico Marino Vol. I, Cefalù 2013.

[10] Si ringraziano per le traduzioni e la revisione don Pietro Piraino e Alessandro Dell’Aira.

[11] Notizia annunciata sulla pagina ufficiale della Diocesi di Cefalù in data 9 aprile 2019.

[12] M. Uberti, Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta, 2012.

[13] A. Tullio, Il “Filetto”, un gioco di moda nel XIV secolo, in VESPRINO - magazine del Lions Club Palermo dei Vespri Lions Club Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona III; Num. 90, ottobre 2017, pagg. 10-11.