Noi e la Rocca

Ritratto di Salvatore Culotta

3 Giugno 2013, 18:44 - Salvatore Culotta   [suoi interventi e commenti]

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Trovo fortemente esemplari queste pagine tratte dal recente libro di Rosario Ilardo “L’eccelsa rupe”, perché a mio modo di vedere condensano, con parole misurate, passato, presente e futuro non della Rocca, non di Cefalù ma di noi che abitiamo questo luogo; do per scontato ( ma non universalmente accettato) che qualsiasi scelta si debba compiere, qualsiasi iniziativa si debba valutare, siano esse grandi o piccole cose, andrebbe sempre fatta inquadrandola in un progetto generale.

“Rupe e città : un rapporto di unificante integrazione”

“La rocca è stata creata per essere guardata, ma anche per guardare la Città di cui è parte integrante, direi privilegiata, anzi esprime e manifesta le sue più remote origini, giustificando la sua stessa esisten­za: senza la rocca non sarebbe mai nata Cefalù, senza questo "bastione naturale", che sembra stringere in un rassicurante abbraccio materno la Città, Ruggero II non avrebbe mai eretto la basilica-cattedrale, «senza il ritmo del mare sulla riva e contro le rocce, il ritmo della nostra rocca contro il vento e il cielo, Cefalù non esiste. Bisogna rendersi conto di quanto mai la natura, per sé, sia il nocciolo permanente di questo luogo». Un legame intimo ed antico, dunque, che nessuno, mai, dovrà tradire!

Eppure, con più insistenza di ieri, viene ciclicamente rispolverata l'idea di realizzare un ascensore per risalire meccanicamente il pendio della rocca. Oggi, essendo l'integrità dell'ambiente un "valo­re" che le coscienze più sensibili e le pubbliche istituzioni sembrano aver recepito con più forza che nel passato, ho maturato la convinzione, a distanza di tempo, che qualsiasi tipo di «collegamento verticale» al monte sia decisamente da rigettare: ascensore esterno o interno alla montagna, funivia, scale mobili e quant'altro ancora. Il lungo processo di educazione delle coscienze al rispetto, alla conservazione e alla cu­stodia dell'ambiente, è conquista solo recente: 40-50 anni fa era argomento ancora residuale. Proprio oggi che, nei riguardi del Creato, viviamo pensieri e sentimenti diversi che nel passato, proprio oggi che singoli cittadini, famiglie, associazioni, movimenti, comunità, istituzioni, sembrano aver intrapreso un comune e consapevole cammino di "conversione ecologica", spendere energie e risorse per realizzare un ascensore per la rocca, invece di orientare verso modelli e stili di vita più essenziali, sobri e rispettosi dell'ambiente, è scelta diseducativa, oltre che insano errore: sarebbe l'ultimo esiziale colpo all'ultimo lembo di terra scam­pato alla morsa delle illusorie conquiste della così detta "civiltà del progresso".

Il progetto di un ascensore per la rocca posso accettarlo solo come un esercizio di scuola, e lo dico non per paura del nuovo e della sua «tensione trasformatrice», per bucolico sentimentalismo o per dema-gogico ambientalismo. A parte l'annosa questione di valutare la compatibilità e l'integrazione delle nuo­ve tecnologie e dei materiali adoperati con la natura dei luoghi; di considerare il reale bisogno dell'opera a fronte del breve, ancorché impegnativo dislivello da superare (ca. 270 m s.l.m.); di verificare la eco­nomicità di gestione dell'impianto, ecc., il problema è un altro. O, meglio, non è solo una questione tecnica. È anche, e prima di tutto, una questione valoriale. Attivare un ascensore per la rocca, svincolato, fra l'altro, da una pianificazione organica degli interventi, sarebbe come spegnere l'eco della sua storia più antica, della sua natura primigenia, della sua dimensione spirituale, del suo afflato poetico. La rocca suppone la fatica, che è storia, fede, poesia. Fatica che è metafora del cammino dello spirito sulla strada della vita, fatica che ci appaga, che ci redime, che diventa amicizia, fratellanza, condivisione, fatica che si tramuta in salutare rimedio alle ansie, alle nevrosi e alle frenesie metropolitane, che sviluppa capacità di adattamento alle avversità, che allerta i sensi, che risveglia i sentimenti, fatica che ci scuote da quello stato di torpore fisico e mentale che noi Siciliani ci siamo cuciti addosso.

Da vecchio, ho avuto modo di arrampicarmi sulla rocca come non mi era mai capitato di fare da giovane. Avventurarsi a passo d'uomo, alla maniera degli antichi pellegrini, lungo i fianchi arditi della rocca, è uno degli esercizi fisici e spirituali più gratificanti che si possa sperimentare. Serve a dare ritmo al respiro dell'anima, a rinvigorire una spiritualità assopita, a ri-vedere il proprio vissuto, a ri-trovare Dio. È una dimensione dello spirito nella quale possono ritrovarsi tutti, credenti e non.

Lasciamo, allora, che questo gigante di pietra, così a ridosso del "progresso", resti integro, solita­rio, remoto, selvaggio, anziché piegarlo al comodo nostro. Lasciamo che sia la sana e nordica abitudine al camminare a redimerci dal peso della nostra isolana pigrizia, che, per dirla con Tornasi di Lampedusa ne Il Gattopardo, è «desiderio di immobilità voluttosa». Lasciamo che la rocca ci stanchi con le sue asperità, riservandoci la gioia di scoprire, passo dopo passo, terra e cieli nuovi. Lasciamo che sia il rit­mo lento dei nostri passi ad accompagnarci lassù, alla scoperta di orizzonti lontani. Lasciamo che sia il battito accelerato dei nostri cuori a parlare con chi ci sta accanto. Lasciamo che sia il fragore del silenzio a coprire l'insolenza dei rumori che fermentano dal basso, aprendoci alla contemplazione dell'Eterno. Lasciamo che la rocca continui ad «irradiare una sorta di benefico antidoto alla demenziale foga edifica­toria dei Siciliani». Lasciamo che la rocca si divincoli dalla stretta ossessiva del mercato, dalla corsa al facile profitto, dal business della travolgente industria del turismo di massa, che sotto gli auspici della onnipresente "macchina del progresso" e della sua "idea di sviluppo", si impadronisce di luoghi e di spazi, appiattendo la specificità dei siti e le nostre stesse coscienze. Lasciamo che al Monte, così come agli altri luoghi forti della Città, si avvicinino solo coloro che siano profondamente ispirati, «non attratti dallo zufolo consumistico di masse ma sospinti individualmente da curiosità interiore».

Le conseguenze dell'«onda schiumosa del turismo di massa», che spesso si infrange, senza regole e senza freni, sui nostri siti storico-archeologici, possono giungere a dissacrare anche un «luogo-forte» qual è la rocca di Cefalù, rappresentando una minaccia costante per il costruito antico e per il con­testo naturalistico che l'avvolge. Questo patrimonio potrebbe diventare vittima del suo stesso "successo di massa", della pressione antropica cui verrebbe fuggevolmente assoggettato. Sotto questo profilo, un ascensore per la rocca non è un'esigenza, né una ragione: rappresenterebbe solo un elemento perturba­tore del secolare sodalizio tra Natura e Storia, una suggestione artificiosa cui sarebbe difficile, per molti, poter e saper resistere.

Per evitare, allora, che la rocca corra il rischio di trasformarsi in un non-luogo, al pari, oggi, della città bassa, della «parte nuova, realizzata nell'ultimo ventennio, tanto diversa dall'antica, emblema­tica della moderna cultura [...], meno "umana" [...], non per niente è la Città dei "condomini", degli "ascensori", dei "supermarket"», urge avviare una politica di recupero, restauro e costante monito­raggio del sito, per scongiurare le ricadute pericolose dell'impatto del turismo di massa sulle emergenze archeologiche e architettoniche, oltre che sulla conservazione delle biodiversità, realizzando modelli di sviluppo che siano realmente compatibili, che sappiano coniugare il rispetto dell'ambiente, della storia, della tradizione, della memoria, dell'identità, dell'integrità, dell'unicità del luogo, con la crescita socio-economica della comunità. In definitiva, il vero investimento per il futuro della rocca è quello di recuperare, preservare e riqualificare l'esistente, esplicitando tutte quelle potenzialità che sono rimaste inespresse o ancora nascoste, e che potranno tradursi in "ricchezza materiale" solo se sapremo tutelarle nella loro interezza. Occorre, quindi, procedere con la massima cautela, ma anche con buon senso, evi­tando di arroccarsi su posizioni estreme, che finirebbero con l'imprigionare la rocca sotto una teca di vetro, generando una sorta di "eco-museo" permanente senza alcuna prospettiva di sviluppo.

Per la verità, la rocca di Cefalù ha conosciuto, sia sul piano della elaborazione, della pianificazio­ne e della programmazione, che su quello degli interventi relativi al recupero e al restauro dei suoi beni architettonici e monumentali, una "stagione d'oro" a partire dagli anni '70, con la preliminare indizione del Bando nazionale di concorso per la redazione del Piano paesistico particolareggiato della rocca, pubblicato, previa approvazione, il 13 ottobre 1972. La Commissione giudicatrice, i cui lavori termi­narono il 25 febbraio 1978, ammonì che la fruizione della rocca dovesse restare subordinata: al «re­stauro di tutti i manufatti esistenti sulla rocca»; alla sistemazione «delle vie di accesso esclusivamente [la sottolineatura è nel verbale, con il chiaro intento di rafforzarne l'intensità espressiva] pedonali, che tengano conto dell'andamento del terreno, che non abbiano dislivelli tali da impedire l'uso a persone anziane, che siano ogni tanto dotati di confortevoli luoghi di sosta»; …”

Spero che si faccia tesoro, e non solo a parole, dello studio, da cui mi sono permesso di trarre le precedenti pagine, del Dott. R. Ilardo, cui dovrebbe andare  il ringraziamento di tutti i cefaludesi, il mio senz’altro. Oltre alle poche parole che ho speso, il mio commento è affidato alle immagini che accompagnano il testo.

Rosario Ilardo – L’eccelsa rupe – Ed. Officina Studi Medievali – Marzo 2013