Malinconicamente i ricordi vengono sempre più spesso ogni notte

Ritratto di Angelo Sciortino

13 Gennaio 2020, 13:31 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Prima di continuare la mia narrazione dei momenti della Cefalù felice, quella Cefalù che aveva dinanzi a sé la speranza di un grande futuro, è giusto che io risponda a chi mi ha rimproverato di riservare la mia attenzione al passato, dimenticando di criticare questo presente, che invece avrebbe più bisogno di critiche e di consigli. Ne convengo, merito il rimprovero, perché ormai da tempo per accettare Cefalù devo illudermi che essa sia ancora quella che le mie narrazioni mi illudono di considerare ancora viva. Non è così, purtroppo, perché, per quanto mi sforzi, essa non riesce a rinascere, se non nei miei ricordi. Ricordi nei quali sono assenti le bandiere bruciate; le bellezze paesaggistiche distrutte dalla speculazione; i simboli del suo passato, come qualche chiesa, svenduti o affidati a fantomatiche associazioni per farne locali da ritrovo. Di fronte a questa situazione sarebbe una vera e propria follia illudersi di essere utile a costruire qualcosa, a meno di un miracolo che illumini gli uomini dell'Amministrazione e la maggioranza dei cittadini. Gli uni e gli altri, però, sembrano essere distratti da più bassi interessi e pensano più alle tradizioni invece che alla propria storia.

Ed ecco a riprova alcuni ricordi, che non potranno tornare a rivivere, se non nella memoria di chi, come me, ha avuto la fortuna di viverli.

Una volta la scuola organizzò una passeggiata scolastica, che si ripetette ancora negli anni seguenti. Si andò in via Pietragrossa, dove allora non c'erano gli attuali palazzi, ma pini e altri alberi, che rendevano l'aria salubre e il luogo incantevole. Dopo la prima passeggiata non aspettai un'altra passeggiata scolastica, ma autonomamente la ripetei da solo o con qualche mio amico. Mi piacevano quei luoghi, anche perché potevo andare a far visita a un mio compagno, che abitava nella casa Rotelli, o alla signora Tofano, una cartomante, che mi offriva sempre i biscotti. Era una signora toscana e io rimanevo affascinato dal suo linguaggio. Mi raccontava di essersi trasferita a Cefalù, per allontanarsi dalla Toscana, per tenervi lontano il figlio, che durante la Resistenza aveva avuto problemi proprio con gli uomini della Resistenza. Di più non ho mai saputo. Il figlio aprì un negozio di frutta in corso Ruggero, dove ora si trova un negozio di anticaglie prima della seconda tabaccheria e di fronte a quella che fu la cartolibreria Muffoletto.

A questo proposito c'è da dire che in quegli anni esistevano a Cefalù soltanto due edicole, questa di Muffoletto, padre dell'avvocato Giuseppe, e quella di Liberto, sita allora dove oggi c'è un'agenzia immobiliare e un distributore automatico di caffè e bibite. Qui comprai il mio sussidiario della terza elementare, mentre i quaderni continuai a comprarli da Fiasconaro.

Esisteva allora l'edicola-bar della stazione di Cesare. Qui compravo le mie riviste, Storia Illustrata e Historia. Le compravo alla stazione, perché allora la resa delle riviste e dei giornali prevedeva soltanto quella della copertina, mentre la rivista veniva venduta a un prezzo irrisorio: 30 lire contro le 150 lire del prezzo intero. Questo enorme risparmio mi permetteva di comprarle senza alcuna preoccupazione e soltanto con i miei risparmi. A dieci anni cominciai a leggere Epoca e il Tempo. Era il '56 e in Ungheria era scoppiata la prima rivolta contro i Russi e queste due riviste pubblicavano, oltre agli articoli degli inviati, anche fotografie degli scontri, che mi piacevano tanto. Insomma, erano sicuramente anni difficili, ma anche noi bambini avevamo la possibilità di tenerci informati. Oggi non è più così. Esistono soltanto le tentazioni al vizio, quello del gioco o del calcio. In pochi si tengono informati e questa loro saccente ignoranza la si trova con facilità sui social e nei bar.

Un altro ricordo per me indelebile sono le capre, sì le capre, che pascolavano sulla Rocca, dove mi recavo spesso, da solo o con amici. Erano le capre di Francesco Di Bella, u zu Ciccu. L'ovile era a quel tempo lungo la strada pedemontana, dove oggi vi è una casa, che credo sia gestita in affitto da residenti o da turisti. Le capre non ci sono più e non c'è più u zu Ciccu, morto quasi centenario alcuni anni fa. Ma non c'è più quel mondo e la malinconia di esso è la sola cosa che mi fa compagnia.