4 Gennaio 2020, 18:13 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Diceva Platone: “Il prezzo pagato dalla brava gente che non si interessa di politica è di essere governata da persone peggiori di loro.” Vi confesso che questa frase di uno dei più grandi filosofi mi è venuta in mente nel momento in cui ho vissuto l'esperienza di avere avuto cancellato il seguente post inserito in un gruppo, dal quale sono uscito, prendendo atto che il farne parte mi avrebbe reso complice di chi permette che si distrugga ogni giorno il luogo che essi dicono d'amare: https://www.qualecefalu.it/node/23589 .
Se avrete la bontà di leggere o di rileggere, vi renderete conto personalmente quanto le cose dette avevano soltanto lo scopo di sollecitare ognuno a interrogare la propria coscienza, per accertare se non si è personalmente colpevoli di aver favorito la decadenza italiana, economica e ancor più culturale, evitando di cercare capri espiatori pur di auto assolverci. Qualcuno, però, ha definito le cose che avevo scritto pure e semplici “castronerie politiche”, che in quel gruppo non avrebbero dovuto trovare ospitalità. Perché? Per dimostrare la validità del pensiero di Platone?
Non mi spetta, comunque, l'alloro di essere stato il primo a rimanere inascoltato. Questo primato spetta a Giuseppe Antonio Borgese, un madonita eccelso, che nel suo “Una Sicilia senza aranci” scriveva nel 1905:
“Come ancor oggi Palermo è per i viaggiatori italiani città più lontana di Parigi e Londra, così la sua vita di un secolo fa è meno simpatica al nostro spirito – dico simpatica nel senso profondo della parola – di quella che oggi si vive in America o in Giappone. E forse c'è più affinità fra noi e i siciliani dell'epoca sveva, anziché fra gli italiani d'oggi e i palermitani del regno di Ferdinando I. […] Eppure, sullo scorcio del secolo XVIII, la Sicilia era più remota da ogni sentimento d'italianità che non fosse, starei per dire, ai tempi di Federico II. Patria, razza, mondo era l'isola delle tre punte, l'isola che fu creata dalla testa di Giove, mentre l'Italia non era che una gamba della divinità secondo l'apologo del Meli. Matrigna chiama il Meli la lingua italiana, in antitesi alla siciliana madre. […] Certo in altre province d'Italia non si dormiva così grosso; e la prova ne è che la Rivoluzione le toccò tutte, fuorché la Sicilia, e che la Sicilia rimase fino a Waterloo l'unico sicuro asilo dell'ancien régime in Italia.”
Come si vede, se oltre un secolo fa fosse stato ascoltato Borgese, oggi la Sicilia sarebbe un po' migliore e i suoi figli migliori non sarebbero costretti a cercare lavoro e riconoscimenti per la loro preparazione culturale lontano dalla terra, che diede loro i natali. Borgese, però, rimase inascoltato, per cui non rimane nulla, per esempio nelle Madonie, che l'adorazione del cadavere di un passato, che fu grandioso nel campo dell'arte, oppure di fotografare, oltre a questi resti del passato, l'immenso dono di paesaggi ineguagliabili. Oggi, per di più, la stessa ONU con la sua scelta di definire beni dell'umanità i cadaveri dai quali non sappiamo trarre un invito all'azione, per ripeterli a nostra volta, è complice della nostra inedia.
E quale azione può essere idonea, se non quella politica? La politica vera e non quella clientelare o quella che accontenta la nostra soddisfazione di nutrirci della carne di cadaveri, grazie a un malinteso turismo.
Mi spiace, ma appartengo a quel piccolo gruppo di uomini, che, inorgogliti del loro passato, ritengono un loro dovere lottare, affinché il passato non sia soltanto un cadavere, ma lo stimolo a tendere sempre più in alto. Vale l'aforisma un albero più affonda le sue radici, più in alto potrà salire verso il cielo. Ecco, è proprio questo che dobbiamo chiedere alla politica, ma se ce ne discostiamo, essa finirà sempre di più nelle mani di uomini senza consapevolezza del loro passato, che mai potranno assicurare un futuro a chicchessia.
E concludo, sempre con Borgese: “Meno che nazione, la Sicilia è più che regione; non un frammento d'Italia, ma una sua integrazione e un aumento.” Prendiamone atto e siamone degni, ad accontentarsi dei cadaveri ci pensino gli altri.
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Commenti
Mauro Gagliano -
quale futuro?