Il tarlo

Ritratto di Giuseppe Maggiore

15 Dicembre 2019, 08:58 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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IL  TARLO
(La notte della colpa)

 

Qui si indaga sui tarli.

C’è il tarlo della gelosìa, c’è il tarlo dell’invidia, c’è il tarlo dell’emulazione e quell’altro che ci spinge a prender piede, ad avanzarlo verso qualsiasi cometa sociale che faccia dar presagio di prestigiosi incrementi, c’è il tarlo che ci sollecita a mostrarci, a voler apparire a tutti i costi, ad essere sempre su una ribalta sotto le luci dei riflettori; e, di converso, c’è anche il tarlo del dispiacere rimuginato per aver agito qualche volta male, quello dei comportamenti sbagliati, delle errate decisioni prese, degli indirizzi perseguiti non adeguatamente ponderati, del senso di colpa; e di quant’altro.

La vita è un coacervo impreciso di tarli.

Il tarlo è qualcosa che rode dentro e che brutta la qualità della vita. Può portare a decisioni estreme, letali, contro la morale, contro il buon vivere ed i suoi corollari, sino alle estreme conseguenze..

A volerci pensar bene: chi è esente dal tarlo? Nessuno! Siamo tutti, più o meno, tarlati.

Vi sono, comunque, dei tarli più o meno insistenti, più o meno assillanti, più o meno gravosi; questo si, ma il tarlo al quale io accenno è sempre quello che vessa una sensibilità affliggendola ed inducendola, spesso, verso una strada senza sbocco.

Tutto ciò che ci assilla e contro cui combattiamo, più o meno tenacemente è, dunque, un tarlo.

C’è da chiedersi:

può un senso di colpa intenso, fomentato dal sentimento di responsabilità che ne consegue, diventare un onnivoro della coscienza talmente pervicace da indurre l’individuo ad atti sconsiderati tendenti addirittura all’annientamento proprio ed altrui?

È quello che emerge dal libro “La notte della colpa”, triller, noir, romanzo giallo od altro prodotto del genere, ultima fatica dello scrittore Vito Catalano; quarta sua prova letteraria a seguito delle precedenti “L’orma del lupo”, “La sciabola spezzata” ed “Il pugnale di Toledo”.

Il romanzo, del filone Black List, licenziato alle stampe in seconda edizione nello scorso Ottobre per i tipi della “Liscianilibri” con illustrazioni di Cristiano Catalini, si legge d’un fiato. Infatti, l’ho letto senza staccare fra le 4 di stanotte e le 7 di stamattina. E’ un testo che dice la sua, insomma.

Consta di tre vicende, completamente estranee l’una all’altra ma legate dal filo sottilissimo dell’oscuro, dell’imponderabile, dell’incerto, dell’immanente; nelle quali, tuttavia, a lenire la tensione creata dal racconto, emerge il paesaggio della Sicilia con i suoi profumi, le sue realtà, le sue tradizioni, contrapposto ai tratti ambientali e climatici della Polonia, di Varsavia, di Liw, al clima freddo paragonato a quello solare della Trinacria e nelle quali descrizioni trovano preponderante spazio l’amore, l’erotismo, il sesso.

Due mondi a confronto: Sicilia e Polonia.

La tecnica narrativa del lasciare nei primi due racconti in sospeso la soluzione del caso è di grande efficace impatto sul lettore.

Infatti l’assunto si discosta nella sostanza dal normale cliché dei comuni “libri gialli”, dove conseguentemente al delitto si materializza l’immancabile ricerca del colpevole da parte degli Organismi ad hoc preposti, con la definitiva individuazione e condanna dello stesso; e che nella conclusione evidenzia un’assunzione di responsabilità postuma, specificatamente da parte di uno dei personaggi che si trovavano presenti al momento dell’avvenuto.

Qui si deve dare atto allo scrittore della originalità dell’impalcatura nella quale il soggetto è stato allocato.

Ciò che mi lascia perplesso, disorientato ed incerto è la conclusione ritmica, il finale, la spiegazione del plot, quando tutti i tasselli del mosaico vanno a posto e con chiarezza rendono l’immagine del “caso”.

In breve e considerando la synopsis ridotta all’osso, c’è da chiedersi: si può, per un involontario incidente stradale dove ci scappa il morto (un ragazzo di 14 anni che transita sulla strada), incidente che rappresenta l’antefatto, il prodromo, la base da cui si diramano le tre vicende contenute nel libro, la piattaforma veridica da cui si diparte tutto il costrutto, impatto causato da un vettura dove viaggiano di sera quattro giovani amici (Vincenzo, Marcello, Daniele e Sergio) forse un po’ alticci per qualche lattina di birra bevuta in più, si può, dicevo, ipotizzare che uno dei trasportati, Sergio nel caso in esame, roso dal tarlo del senso di colpa che lo ha martoriato da 16 anni dopo l’accaduto possa ideare di punire il conduttore, Vincenzo, e gli altri suoi compagni uccidendoli, e poi, uccidendo anche se stesso, per sedare l’inquietudine estrema che ancora  lo tartassa, cercando di affrancarsene col compiere dei delitti premeditati?

Chiodo schiaccia chiodo, insomma; ma, in questo caso, esclusivamente in negativo.

E mi ripeto (l’analessi è sempre da aborrire, se non quando si rende utile a rafforzare un concetto di basilare importanza), cioé: per sedare la coscienza di un delitto si può ipotizzare di commetterne altri?

Certamente  solo il pensiero di un folle, nel nostro caso di Sergio, può concepire un simile progetto.

Non sarebbe bastato, per sedare il senso di colpa alitante nella coscienza, che il Sergio, o chi per lui, avesse raccontato alla Polizia la verità dei fatti (comportamento che si sarebbe dovuto perfezionare prima, subito, all’atto della disgrazia, ma, comunque, meglio tardi che mai) anziché sostituirsi alla giustizia ed effettuare gravi reati?

È questa soluzione adottata dall’autore che mi rende perplesso.

A ciò va aggiunta una scrittura semplice, molto semplice ed a tratti quasi casereccia, che forse mal si accorda con la severa dinamica del narrato.

Dal che mi sorge il dubbio, e non vorrei che così fosse né essere considerato malizioso, che la lungimirante considerazione elargita al romanzo ed all’autore possa in buona parte trarre origine dal fatto che quest’ultimo sia il nipote dell’illustre compianto scomparso scrittore Leonardo Sciascia.

L’eredità culturale di un grande uomo, letterato, sociologo, criminologo, artista, che di sé ha improntato una generazione e la sua epoca non disertando l’avvenire ma in esso proiettandosi atteso il valore delle sue opere, per un familiare che ricalchi le stesse orme dell’avo può spesso dimostrarsi gravosa.

Catalano, motu proprio e per inclinazione naturale, ha seguito le orme di  Sciascia: ma i confronti fra i due scrittori sono, ahimé, ineludibili, per quanto l’autore, intervistato dal Saja in proposito, abbia espresso di non sentirsi schiacciato dalla personalità del nonno, di non sentirne  l’enorme peso culturale che potrebbe inficiare la sua prosa, ma di valutarne la poderosa consistenza considerandone la valenza come quella di un compagno di viaggio in letteratura, seppure su altra pista.

Mi pare che l’asserzione possa ritenersi accettabile e che nel complesso il romanzo conquisti una sua dimensione con i dovuti distinguo; se così non fosse dovrei dedurre di non averci capito granché.

Sotto l’egida del Comune di Cefalù Assessorato alle politiche culturali e della Biblioteca Comunale “Dalle parole ai libri” il testo “La notte della colpa” dello scrittore Vito Catalano è stato presentato nella Sala delle Capriate del palazzo di città in data 6 Novembre alle ore 18 dal Prof. Vincenzo Garbo, Assessore alle dette politiche culturali del Comune di Cefalù, dal Prof. Daniele Tumminello, Vice Presidente del Consiglio dello stesso Ente locale e dal Prof. Giuseppe Saja, Presidente della già citata Biblioteca Comunale; il quale ultimo ha condotto la serata forbitamente disquisendo, poi, con l’Autore.

Sono intervenuti nell’insorto dialogo finale il Prof. Gianni Cristina, la Prof.ssa Santa Franco e la D.ssa Laura Mòdaro.

Presenti in sala, fra lo scelto contenuto pubblico, alcuni familiari dell’illustre scrittore Leonardo Sciascia sopra ricordato, alla cui figlia, Anna Maria, dall’Amministrazione Comunale è stato omaggiato un mazzo di fiori.

 

Cefalù, 15 Dicembre 2019

                                                                 Giuseppe Maggiore