28 Novembre 2019, 08:29 - Giovanni La Barbera [suoi interventi e commenti] |
Se si accetta di considerare che la città non nasce dal “focolare”, ma dal “grido” che segnala il dolore esistenziale, allora non capisco perché, in questa realtà, proprio gli spazi pubblici delle relazioni, siano ridotti, nella nostra cultura, a pensiero residuale.
Il mondo privatizzato, con i suoi spazi, più o meno confinati, che rispondono certamente a esigenze individuali, quanto reali, non si dimostra sufficiente a realizzare certezza e sicurezza, senza che si considerino, altrettanto fondativi del senso di certezza e sicurezza, i luoghi pubblici.
La società, nella quale viviamo, ha affidato il compito della programmazione, della realizzazione e della manutenzione dei luoghi pubblici alla istituzione comunale.
Questa istituzione che ovviamente è rappresentativa, in quanto costituita mediante libere elezioni, della cultura locale, non si preoccupa nella giusta misura, secondo il mio modo di vedere e di pensare, di questo aspetto centrale della sua attività di pubblica amministrazione.
Il limite non è costituito dalla scarsità delle risorse economiche, esibito spesso come impedimento, ma piuttosto alla marginalità della posizione culturale in cui vengono relegate le pubbliche infrastrutture.
Costituisce una delle dimostrazioni il fatto che i processi di costruzione della città, secondo le diverse modalità insediative, avvengono senza una guida, la quale avrebbe il compito programmare ed anticipare la realizzazione delle infrastrutture, sia primarie che secondarie, secondo la distinzione che ne fanno le leggi urbanistiche.
Questo fenomeno esprime la contraddizione in cui si trovano le Comunità, che, in quanto tali, si sono costituite proprio per ricercare, in questa forma di convivenza, la solidarietà, come scopo o finalità.
In breve, non come unica causa, la difficoltà a ritrovare nella città stessa, cosi come si è venuta storicamente ad affermare, a partire dalla società industriale, i luoghi della socializzazione.
Rimane, sempre a mio modo di vedere, incomprensibile come questi luoghi della socializzazione, possano essere sostituiti da quelli sviluppatesi, in modo alienante nei cosiddetti “social”, che mi appaiono come luoghi che esaltano l'individuo missionario di una funzione ingovernabile, di consumatore/produttore, senza il coinvolgimento della dimensione spaziale, seppure ne constato l'utilità.
La città ha ancora, quindi, nella forma a noi conosciuta, la necessità di organizzarsi mediante sistemi infrastrutturali ineludibili, siano essi reti tecnologiche o siano essi spazi integrati.
Tra i diversi concetti tecnici che suggeriscono il miglioramento dell'organizzazione dei flussi vitali all'interno della città, nella prassi pianificatoria, è empiricamente considerato quello per “fuochi e fasce”.
Si tratta di riconoscere, sia nel tessuto storico e sia nelle successive espansioni, una struttura fisica e le funzioni, esistenti o da potenziare, tali da generare dinamiche ordinate, a esempio degli addensamenti commerciali, caratterizzati da esercizi chiamati unità di vicinato, specializzati o no.
L'individuazione di questa struttura determina le fasce che rispondono alle necessità del consumo e all'offerta di alcuni servizi a domanda individuale. Tra le fasce vi si riconoscono i “fuochi”, costituiti da luoghi dove le funzioni principali non sono più dominate dal consumo, ma dalle relazioni.
Gli spazzi rispondono cosi alle esigenze d'incontro o rappresentano i luoghi simbolici dove si celebrano e si rappresentano predeterminati rituali.
Il fuoco urbano per antonomasia è la piazza. Simbolo storico conosciuto in tutte le civiltà e non ancora soppiantata dalle diverse Piattaforme dei social.
Con riferimento a quanto in generale e lapidariamente si è affermato in queste poche righe, credo si debbano considerare le esigenze di riordino di Cefalù.
Purtroppo anche Cefalù non appare sfuggire culturalmente alla considerazione della marginalità in cui sono collocati gli spazi di pubblica utilità, nel generale sistema siciliano.
L'assenza di una guida che indirizzi i processi di trasformazione della città, all'interno di un dibattito, in cui i temi del nuovo Piano Regolatore siano portati nella pubblica opinione, rischia di compromettere ogni obiettivo di riordino.
Ed in particolare, mi preme evidenziare che i luoghi centrali a cui assegnare, pur nel rispetto della proprietà, le funzioni, appunto, di riordino, se non sono guidati da una visione consapevole, finiranno ancora una volta nella logica dell'appropriazione individualistica che genera la città egoistica, in chiara antitesi con lo spirito del “grido fondativo” della Polis.
Ora una possibile proposta....
La sia pur breve premessa, che non esaurisce di certo la descrizione di molti degli argomenti, in quanto validi e fondati, che potrebbero aprire a riflessioni, non rinviabili, coinvolgenti le responsabilità istituzionali del decisore pubblico, ma più in generale alle responsabilità di ogni cittadino, compreso il mondo dei promotori e degli imprenditori, porta a delineare, qui, una idea aperta, che ha come obiettivo l'uso dell'insieme delle aree che risultano intorno ad un asse ideale tracciabile tra la via Roma, passante dal campo dell'ex Istituto Artigianelli sino al Lungomare Giardina.
L'idea è orientata dalla convinzione che nella città i valori immobiliari dipendono dalla esistenza delle infrastrutture pubbliche e che gli investimenti pubblici siano destinati e caratterizzati dalla finalità di incrementare il patrimonio collettivo, anche a vantaggio del profitto e della rendita privata che opera sinergicamente con essi per il raggiungimento di scopi sociali.
Su questa base e in tal senso il decisore pubblico, dovrebbe procedere manifestando apertamente il proprio indirizzo al decisore privato.
Tra i possibili indirizzi nell'utilizzo, delle aree individuabili intorno all'asse delineato si ipotizza la elaborazione di un progetto integrato, cioè di un progetto che connette strutture ed infrastrutture, tale da rispondere alle esigenze di riequilibrio dell'organismo urbano, che la città nella sua crescita ha portato con se.
Tralasciando, per brevità, quello che si può ipotizzare negli spazzi ipogei funzionalmente ricavabili e tecnicamente possibili, penso possa essere un obiettivo concreto quello della previsione di un viale alberato sull'asse degli Artigianelli, individuando due fasce, una attrezzata a campetti per lo sport e l'altra attrezzata a giardini pubblici. Tale viale, attraversando via Belvedere dovrebbe aprirsi su una nuova Piazza, collegando cosi via Roma con il Lungomare.
Appare evidente che in tale contesto il “fuoco urbano” costituito da una nuova Piazza integra non solo il Lungomare, ma l'intero contesto urbano, offrendosi a una permeabilità di percorsi, che innervando meglio quelli attuali contribuirebbero a ridistribuire funzioni e fruizioni meno caotiche.
Il tema della Piazza, per una città come Cefalù certamente è un tema delicato e progettualmente molto impegnativo, ma sappiamo che: “per aspera ad astra”.
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