25 Aprile 2019, 09:14 - Rosalba Gallà [suoi interventi e commenti] |
UNA DEDICA A CECILIA GENISIO, PARTIGIANA
di Rosalba Gallà
Vorrei dedicare il 25 aprile di quest’anno ad una donna, Cecilia Genisio, conosciuta indirettamente, ma non per questo in maniera superficiale, attraverso i racconti della figlia, Mariachiara Bernard, che per diversi anni ha insegnato presso il Liceo Artistico di Cefalù, allontanandosi dal “suo” Piemonte per venire in una terra per lei tanto diversa e affascinante. Con la Sicilia, e con Cefalù in particolare, ha poi stabilito un rapporto intenso e profondo, che ha portato con sé al rientro nei luoghi di origine, dove viveva quella mamma di cui lei era ed è teneramente orgogliosa, mamma che si è spenta il 9 marzo scorso, all’età di 97 anni.
Ho avuto anche l’opportunità di leggere la storia di Cecilia Genisio, che è inserita in un interessante libro di Paola Capra, Donne e Resistenza in Canavese, in cui il racconto di Cecilia (e della sorella Margherita) è supportato da un’importante documentazione posta a margine delle varie pagine, libro che la stessa Cecilia Genisio ha voluto donare alla biblioteca del Liceo Artistico di Cefalù, perché i ragazzi potessero fare tesoro delle storie di resistenza al femminile in esso narrate.
E ho avuto modo, inoltre, di ascoltare, seppure a distanza, l’intervento di un’altra figlia, Giovanna Bernard, in occasione della mostra Dalla Resistenza alla Costituzione e del ricordo delle lotte partigiane, presso il Comune di Rivarolo Canavese, a cura dell’A.N.P.I. : “Mia mamma con noi figli non parlava mai di queste cose, anzi noi proprio non sapevamo neppure che avesse fatto delle cose importanti all’epoca: solo quando sono arrivate negli anni Settanta delle benemerenze nei suoi confronti da parte dello Stato ci siamo interrogati, stupiti, su che cosa avesse fatto di così importante per ricevere quei riconoscimenti e allora, pian piano, sono venuti fuori i racconti. Ormai eravamo dei ragazzi (mia madre aveva avuto cinque figli) e ha cominciato a raccontare le storie del suo passato. Forse era una generazione che non amava tanto ricordare un passato così doloroso, dove c’erano state tante perdite (tanti amici e compagni erano morti nelle vicende della guerra). E qui vorrei ricordare ancora la sua attività come insegnante: dopo gli eventi della guerra, lei condusse la sua vita di moglie, di madre, di insegnante, ma quando andò in pensione tornò a dedicarsi ad un insegnamento un po’ speciale, cioè andare nella varie scuole di ogni ordine e grado per parlare della sua attività di partigiana”. In questa attività, Cecilia portava con sé vari documenti, tra cui il certificato che attestava la sua appartenenza alla pura razza ariana che le consentiva di insegnare in età fascista. Questo provocava lo stupore degli alunni…
Ma cosa ha fatto di importante la partigiana Cecilia Genisio?
Nata il 9 febbraio del 1922, anno che dal 28 ottobre diventerà il I dell’era fascista, ricevette a scuola l’educazione tipica di quei tempi, volta all’esaltazione del duce e all’inquadramento nelle organizzazioni fasciste. Conseguì giovanissima la laurea e iniziò ad insegnare. Apparteneva ad una famiglia proprietaria di un’officina metallurgica a Cuorgnè che, pur non condividendo la politica di Mussolini, dovette fare la tessera del fascio per continuare a lavorare. L’attività antifascista della famiglia non venne però meno, coinvolgendo sia la casa di abitazione che la stessa fabbrica.
“La nostra casa era sempre visitata da soldati fascisti o tedeschi e da partigiani. Vicino a noi, proprio nella curva, c’era il posto di blocco con a guardia i militari. A quell’epoca non avevamo la casa recintata, allora ogni tanto tedeschi e fascisti arrivavano: una volta per farsi aggiustare il fucile – avevamo l’officina vicinissima alla casa – un’altra volta per avere un po’ d’acqua da bere […] Dato che la nostra casa è un po’ fuori da Cuorgnè, però dalla collina dietro scendevano anche i partigiani. Magari avevano fame e quel poco che avevamo, c’era veramente poco, lo dividevamo con loro. Fatto sta che c’era sempre qualcuno che arrivava, sia da una parte che dall’altra, e dovevamo fare molta attenzione che non si incontrassero […] Per cui eravamo sempre molto molto in ansia e molto attenti” (Cecilia Genisio, in Donne e Resistenza in Canavese). Spesso, in quella casa, i partigiani nascondevano le loro armi, o vi si recavano feriti e bisognosi di cure.
Il padre di Cecilia, titolare della fabbrica di famiglia, preparava i lasciapassare, in italiano e tedesco, per i suoi operai, perché avessero la possibilità di muoversi liberamente per andare al lavoro, ma talvolta il documento veniva rilasciato anche ai partigiani della montagna in maniera tale da poter abbandonare i nascondigli ed entrare in paese. Uno di questi fu scoperto, arrestato e torturato, ma riuscì a scappare. Ben presto, però, fu arrestata tutta la famiglia Genisio. Cecilia rimase in carcere per un mese, ma dopo scelse di rimanere come volontaria per aiutare le altre donne prigioniere (partigiane o madri e sorelle di partigiani) che avevano bisogno di aiuto ed assistenza e, soprattutto, cominciò a mettere in contatto quelle donne con l’esterno, portando bigliettini alle famiglie e alle formazioni partigiane, continuando così la sua attività di staffetta iniziata già nel giugno del 1944. Ben presto, però, sarà bruscamente invitata dal tenente comandante di piazza a cessare l’attività di aiuto e sostegno alle donne in carcere: “Signorina, lei è rimasta qua per quasi un mese e ci ha fatto un grosso piacere, però adesso se non viene più di piaceri ce ne fa due” (Cecilia Genisio, ibidem).
Cecilia ha svolto l’attività di staffetta nella VI divisione GL, con il prof. Gino Viano (Bellandy) e Domenico Carrera (Walter): “Il giorno di Natale del ’44, su consiglio della mamma, abbiamo raccolto tutte le matite che avevamo per casa e preparato tanti foglietti e li abbiamo portati ai partigiani che erano prigionieri nella caserma Pinelli, perché potessero scrivere a casa. Poi in bicicletta io sono andata a recapitare quei foglietti ai familiari di quei partigiani su per le valli Orco e Soana coperte dalla neve” (Cecilia Genisio, ibidem).
Sicuramente l’incarico più importante che Cecilia ricoprì e che portò a termine positivamente le fu attribuito dal comando partigiano della GL che la inviò presso il comando tedesco e fascista degli alpini della Monterosa (stabilitisi nella Caserma Pinelli) per chiedere la resa, azione decisamente molto delicata e pericolosa. “Siamo ormai alla fine della guerra e Bellandy pensò di convincere i soldati della caserma ad arrendersi in modo che non ci fosse spargimento di sangue e pensò di mandare mia madre a parlare con l’ufficiale degli Alpini della Monterosa per trattare la resa e ancora adesso a volte ci chiediamo come fosse possibile che avesse pensato di mandare una ragazza così giovane a compiere una trattativa così importante. Penso che la risposta sia nel fatto che forse, se avesse mandato un partigiano, un uomo, l’avrebbero arrestato. Invece ascoltarono miracolosamente questa ragazza e successivamente la trattativa fu portata avanti, grazie all’intermediazione del parroco, don Domenico Cibrario, sempre con Bellandy, ed effettivamente il 24 aprile i soldati della Monterosa si arresero e uscirono dalla caserma. I partigiani scesero dalla montagna, finsero un attacco alla caserma, ma in realtà i soldati si erano ormai uniti alle fila dei partigiani. Era rimasto un piccolo gruppo che si arrese subito. Così avvenne questo momento importante della storia, senza spargimento di sangue” (Giovanna Bernard). Cecilia Genisio, nel libro citato, racconta che proprio nella sua casa c’era stato un altro importante incontro tra partigiani e militari della Monterosa, per definire le modalità della resa e, con riferimento alla conclusione della vicenda, afferma: “Sono stati i primi in Piemonte ad arrendersi senza sparare, senza ferire, senza ammazzarsi. Li hanno poi portati alle casermette di Cuorgné, vicino al ponte vecchio e infine liberati dopo un breve periodo di prigionia. E così noi cuorgnatesi, nella notte tra il 24 e il 25 aprile del ’45, eravamo liberi, senza sapere che quella sarebbe stata anche la data della fine della guerra”.
Certo, è una piccola storia quella di Cecilia Genisio, inserita nella microstoria di un limitato territorio; ma le piccole storie, intrecciandosi e completandosi, costituiscono le tessere di un grande mosaico, che solo nella sua completezza ci restituisce la visione della Grande Storia.
Cecilia Genisio con i figli, nel giorno del suo ultimo compleanno (9 febbraio 2019)
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