Gaetano Messina: la casa dell’ulivo blu e della seta

Ritratto di Rosalba Gallà

13 Novembre 2018, 20:32 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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GAETANO MESSINA: LA CASA DELL’ULIVO BLU E DELLA SETA

di Rosalba Gallà

 

Sono andata nella Casa dell’ulivo blu, a Campofelice di Roccella, accompagnata dall’amico pittore Giuseppe Forte, in una bella serata di ottobre, di quelle che ricordi soprattutto per i tramonti, tramonti rosso-arancio, tramonti puri in un’aria tersa e tiepida, in cui il profilo della terra sul mare si disegna nero nel cielo in fiamme, dove il sole non lo vedi più, ma lo senti e lo percepisci per i toni con cui dipinge il cielo. Un tramonto così ha accompagnato i saluti finali con l’artista Gaetano Messina, che nella Casa dell’Ulivo blu vive, casa da lui voluta in quella contrada un po’ appartata, circondata da ulivi e piante di vario genere e che con il suo nome suggestivo allude all’ambientazione esterna naturale e già spinge verso suggestioni d’arte, perché il colore, parafrasando Shakespeare, è la sostanza di cui sono fatti i sogni e le visioni del nostro artista. Credo che non sia casuale la scelta del blu, colore dell’armonia e dell’equilibrio, della contemplazione, della tranquillità e della pace con se stessi e con gli altri, colore dell’acqua fecondatrice della Madre Terra, fonte di vita, di nascita, di rinascita e di purificazione per le varie culture del mondo. E in tutto ciò credo che si possa riassumere la personalità di Gaetano Messina, sicuramente figura estrosa ed eccentrica, con un percorso di vita costellato di iniziative, di manifestazioni, di eventi a volte trasgressivi e non sempre compresi nello spirito profondo che li animava e valutati solo per gli aspetti più superficiali. In realtà, la ricerca dell’armonia è forse la cifra con cui interpretare la vita e l’opera di Gaetano Messina, un’armonia interiore ricercata attraverso la contemplazione e la meditazione, tipiche della cultura orientale e, in particolare, indiana, frequentata dall’artista e, certamente, conosciuta in maniera diretta. Armonia con la natura, vissuta come madre, e come madre rispettata e amata, con una volontà di protezione gridata a tutta l’umanità. Armonia con gli altri, anche quando gli altri ti feriscono e ti fanno male.

Ho iniziato dalla fine, dai saluti di commiato, perché avvenuti nell’ora più suggestiva della giornata, in cui anche l’ambiente della casa dell’ulivo blu assume atmosfere speciali. Ritornando all’inizio della visita, non appena si entra in quella casa, si percepisce l’esistenza di un mondo in cui palpita la passione per l’arte e per le arti, in una fusione in cui tutto converge a significare il senso di un’esistenza, quella, appunto, di Gaetano Messina, e della moglie Rosa, compagna e complice di una scelta di vita. E se pensando all’esterno risulta naturale associare quella casa all’ulivo blu, pensando all’interno essa è la “casa della seta”, un microcosmo in cui ogni cosa si trova al suo posto, non perché dietro c’è un disegno, un progetto definito, ma in base ad una pulsione emotiva  per cui deve stare lì e dare il suo messaggio lì. Ogni oggetto trabocca di storia, come ogni opera pittorica di Messina e ogni seta da lui dipinta. E nell’insieme tutto esprime quella serendipità (titolo di un suo libro) che indica “quel modo di viaggiare a caso, senza meta, dei principi di Serendip – l’antico nome dell’isola di Ceylon – che li portava sempre a scoprire qualcosa di bello e di straordinario” (Bernardino del Boca, in Serendipità, Dervish-ki, 1989). La visita di quella casa è un viaggio, un’avventura alla scoperta casuale di mondi, incontro con la sua arte sintesi di forme e colori, movimento e danza, musica e poesia. Ciò che si può osservare è solo la punta dell’iceberg, ciò che è rimasto e ciò che è venuto dopo rispetto a vicende della vita che lo hanno costretto a lasciare gran parte della sua produzione in vari paesi del mondo e, soprattutto, in Australia, dove la sua eclettica tendenza a sperimentare lo ha condotto ad utilizzare anche le terre colorate degli aborigeni per realizzare le sue sete.

La scoperta più grande, quella che desta meraviglia, è però costituita dalle scatole che conservano, ben ripiegate, le sue sete dipinte, le quali, man mano che vengono tirate fuori e dispiegate, diventano un trionfo di colore e di luce, colore e luce raccolti nelle diverse parti del mondo in cui Gaetano Messina, artista migrante, ha vissuto, ma che trovano sintesi nella solarità siciliana, nell’energia della terra d’origine, che si esprime in una vasta gamma cromatica relativa ora agli aspetti più potenti, ora  a quelli più delicati, ora al rosso accecante del sole e della lava vulcanica, ora agli azzurri o verdi rassicuranti e dolci, ora a tutte le sfumature del giallo-ocra, ora a quello dell’ametista, pietra e colore associati all’età dell’acquario che, secondo la visione teosofico-esoterica, è uno dei dodici lunghi periodi (2160 anni circa) in cui si divide la storia dell'umanità, in cui saremmo già entrati, e in cui dovrebbe avvenire il passaggio dall’era della  conoscenza a quella della consapevolezza e della saggezza, da un mondo caratterizzato  dall’esclusione ad uno rinnovato volto alla solidarietà, alla fratellanza, all’apertura verso l’altro, al rispetto dell’ambiente, alla meditazione, alla ricerca di sé e del nuovo. E allora l’arte di Gaetano Messina diventa arte allegra, leggera, allegria e leggerezza che nascono dal vento della serendipità che gli fanno scoprire “l’esagerato uso del subdolo segreto, la fango-menzogna, e il più vile del crimine della separazione, che annebbiano la conoscenza e la bellezza nella via della pace e dell’unità dei popoli” (Serendipità, Dervish-ki, 1989).

   

Le sete dipinte, con la leggerezza che le caratterizza, con la ricchezza cromatica che offrono all’osservatore, meglio di qualsiasi altra espressione artistica, rispecchiano la profonda esigenza di Gaetano Messina di un nuovo o rinnovato “porsi dell’uomo come coscienza operante per una dimensione più umana che coinvolge l’attuale problematica della civiltà per un recupero della sua naturalità e della gioia di vivere che industria, cultura e potere hanno strumentalizzato per fini antiumani a  mezzo di quella sottile dittatura che usa della parola libertà per soffocare ogni anelito di autenticità” (Piero Longo, ibidem).

E quando le sete vengono liberate dal necessario ordine delle pieghe per la conservazione, sembrano muoversi al vento, anche se si è in casa e il vento non c’è, esse si muovono, si intrecciano, fondono i loro colori e, insieme, diventano nuovi dipinti, quadri leggeri e dinamici, fusione di emozioni diverse e sempre nuove, scoperte di natura, di acqua, aria, terra e fuoco, con stupore di tutti, e soprattutto il più bello e per certi versi commovente, quello della moglie che, pur conoscendo e avendo visto tante volte le sete, le scopre diverse, nuove, come solo può fare “lo scherzo del vento nell’arte allegra”, che esplica ed amplifica le energie della natura e dell’animo umano.

    

Arcobaleno di pace, di libertà, di fratellanza, di unione, che può diventare un “ponte di seta sullo Stretto”, più importante di quello progettato in cemento e ferro, perché simbolicamente unisce la Sicilia all’Europa, a tutti i suoi popoli e a quelli del mondo intero. 

Spesso considerato folle, il nostro artista può essere visto come un’avanguardia, un uomo dotato di una sensibilità per certi versi visionaria e di una spontanea forza comunicativa, consapevole delle tendenze più innovative dell’arte contemporanea, volta a superare i rigidi limiti tra i diversi linguaggi dell’arte: così i colori si mescolano alle parole, la poesia alla pittura, la musica al disegno, l’elemento figurativo ai simboli, come la spirale, figura che si avvolge su se stessa e prolunga all’infinito il movimento circolare che esce dal punto di origine, segno di morte, rinascita e sviluppo, o i cerchi concentrici, espressione dell’energia che si espande dal centro, come l’utero materno che si allarga facendo spazio alla vita. Spirali e cerchi concentrici, simboli insieme del grande ciclo della vita all’interno della grande Madre Terra.