23 Ottobre 2018, 14:25 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Da alcuni giorni in tanti hanno commentato – i più positivamente – un post di Giuseppe Farinella, che auspica una Cefalù città della cultura. Effettivamente, se la confrontiamo con l'attuale città della cultura (Matera), il titolo le spetterebbe di diritto, visto che le due città sono accomunate per l'acqua non potabile, distribuita ai cittadini. Ma anche in questo confronto Cefalù è risultata perdente, perché il Sindaco di Matera, a differenza di quello di Cefalù, non si è rivolto alle Autorità Giudiziarie, ma ha agito, prendendo quelle decisioni, magari non gradite, che era suo dovere prendere nella sua qualità di Ufficiale del Governo garante della salute pubblica.
Sconfitti su questo fronte, abbiamo la possibilità di vantare altri diritti al titolo di città della cultura? Oltre al Museo, alla Cattedrale arabo-normanna e ad altri lasciti del passato, abbiamo esempi contemporanei non soltanto della nostra capacità di ripetere simili iniziative, ma persino di rispettare lo spirito, che li spinse ad attuarle? O non siamo piuttosto come gli eredi, che vantano i propri nonni, mentre distruggono con impegno degno di miglior causa l'eredità ricevuta?
Quando esprimo questi dubbi, non lo faccio perché giudico l'assenza di una classe culturale degna di questo nome, ma perché ho l'impressione che a Cefalù sia ormai assente anche il buon senso, che ha ceduto il posto al senso comune delle pance. Alludo alle maestranze artigianali, che forse non avevano la cultura nel senso stretto di cultura scolastica – non erano laureati né diplomati – ma con l'esperienza e con l'esempio dei loro padri erano diventati saggi. Io stesso ne ricordo alcuni con affetto e con gratitudine per quello che ho appreso da loro.
Colpa soltanto della città di Cefalù o non piuttosto colpa dell'eccessiva burocratizzazione di uno Stato, che vorrebbe sostituire con questa sua burocrazia la saggezza degli anziani nonni? A mio parere questa colpa c'è e si ripete anche con il cosiddetto governo del cambiamento, ma siccome il discorso sarebbe troppo lungo, lo rimando ad altra occasione. Adesso voglio restringermi a Cefalù.
Tra le tante sue manchevolezze, questa Amministrazione ne ha una che le sovrasta tutte: l'aver goduto della perdita della propria autonomia comunale, perché grazie a essa si è deresponsabilizzata e scaricato sulla Regione e sullo Stato la sua incapacità di darsi una strategia per il suo sviluppo e più degna della sua cultura. E questa manchevolezza è più grave e sovrasta le altre, perché non fa perdere denaro, ma futuro. Essa un giorno sarà ricordata come uno dei periodi più bui della storia cefalutana, anche se oggi sono in pochi ad averne contezza. E questo sebbene le iniziative degli ultimi anni ne abbiano dato abbondantemente prova.
È questa la ragione per cui sono grato a Giuseppe Farinella di aver sollevato il problema della cultura a Cefalù. Lo ha fatto da imprenditore del turismo e certamente riflettendo sui tanti contatti nazionali ed esteri con gli operatori del turismo. Una cosa, però, voglio dirgliela: stante ai tanti anni di assenza culturale, forse la pianta è morta. Bisogna ripiantarla, magari facendo abbondanti flebo di cultura a un popolo, che non ha più dimestichezza con essa; con la sua ombra rigeneratrice.
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