Machiavelli "tradotto" da Melograni

Ritratto di Angelo Sciortino

2 Ottobre 2018, 12:44 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Nel capitolo XV del “Principe” il nostro Machiavelli pronuncia la celeberrima sentenza che ritengo basilare per la politica e la scienza sociale: “Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di essa.” Nella sua famosa ‘versione italiana’ del capolavoro, Piero Melograni la traduce così: “Ma essendo il mio scopo quello di scrivere qualcosa di utile per chi vuol capire, mi è parso più conveniente inseguire la verità concreta, piuttosto che le fantasie.” Senza sminuire in nulla la lodevole fatica di Melograni, azzardo a dire che qui la potenza di scrittura di Machiavelli viene alquanto snervata dalla traduzione, altrimenti spesso indispensabile. Certo, la ‘verità effettuale’ è ‘concreta’, tuttavia anche più che concreta, cioè ‘necessaria’, ‘costante’, ‘ineluttabile’. Certo, ‘l’immaginazione di essa’ sono ‘fantasie’, ma soprattutto ‘illusioni’, perché, infatti, fantasticare in politica può risultare innocuo; illudersi, no. Pure ‘conveniente’ va meglio letto nel senso dell’epoca, cioè ‘concordante’, dunque ‘proporzionato’ e ‘corrispondente’. Machiavelli ci sta dicendo che egli richiama puramente e semplicemente quel che accade nel mondo reale. “Ma c’è una tale differenza tra come si vive e come si dovrebbe vivere, che colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che quella di salvarsi. E’ inevitabile che un uomo, il quale voglia sempre comportarsi da persona buona in mezzo a tanti che buoni non sono, finisca per rovinarsi. Ed è pertanto necessario che un principe, per restare al potere, impari a poter essere non buono, e a seguire o non seguire questa regola, secondo le necessità.”

Facciamo adesso un salto di circa 250 anni e voliamo nelle braccia di quei maestri di libertà e sapienza che furono, e sono, gli Illuministi scozzesi. Essi ci hanno insegnato alcune “verità effettuali”: le regole della morale non sono conseguenze della nostra ragione; esiste un ordine sociale spontaneo che nessuno ha progettato; la società può essere migliorata soltanto attraverso la comprensione delle conseguenze inintenzionali dell’azione umana, eccetera. Insomma, non basta volere il bene per ottenerlo. Come in effetti sta accadendo nel fenomeno dell’immigrazione, nel quale il buonismo latu sensu di sinistra si salda con il buonismo parareligioso e con il buonismo pseudointernazionalista. L’ennesima prova irrefutabile dei danni procurati da tale saldatura, che genera un ordine contrario alla verità effettuale perché buonista a prescindere, oltre che riluttante a considerare e incapace di comprendere le conseguenze inintenzionali delle azioni pubbliche e private presuntamente a favore dei migranti in potenza e in atto.

Chi vuol capire, capisca.