13 Giugno 2018, 15:37 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
(divertissement ambientale)
"... Era l'ora che volge il disìo a i' naviganti 'ntenerisce il core..." (canto VIII del Purgatorio).
Tenebris obortis...
Erano, tanto per capirci, circa le 20, le otto di sera, insomma, di un vespero limpido e stellato; gli uccelli notturni cominciavano a svolazzare fendendo l'aria in tutte le direzioni quando, lasciato l'amico Rosso nelle mene della fluttuante marèa di gente che rende vive le strade di questo illustre insediamento umano (non più vivibile, ahimé, come lo era una volta quando il M° Vincenzo Curreri, musicologo di specchiata memoria, compose una melodìa dedicata a Cefalù che ritornellava: "... tacito paesello sei tanto bello...". Sì, la bellezza è rimasta, per quanto si sia tentato di edilmente mutilarla, ma l'aggettivo "tacito" non ha più fondamento, data la rumorosa chiassosità odierna, e va senz'altro mutato), mi avviai per rincasare pregustando la rituale pantagruelica cena (la solita aragosta ed il caviale pescato nelle acque libiche, cibi innaffiati da un vino rosèe anni '30) che mia moglie, santa donna, non manca mai di preparare per la familiare tribù...
Via Porto Salvo, via Vittorio Emanuele, Porta Pescara.
Un nugolo di gente, un muro umano, una bolgia infernale, un'accozzaglia di fiati e di urti fra un ciangottare di pargoli ed un cianciare di donne discinte per il caldo immane che ci sovrasta, mi accoglie!
Cado dalle lande deserte della Via Porto Salvo nel bailamme di questo Corso Vittorio Emanuele (a strata o ciumi) per poi dirigermi alla vetusta Porta Pescara dinanzi alla quale staziona un nutrito stuolo di umani attratti da qualcosa che succede nell'interno.
La curiosità è femmina, ma non esclude che venga trasmessa ai maschi. Così mi avvicino, diluendomi in mezzo al coacervo degli assiepati ed osservo anch'io.
Nella confusione di quel turbinìo vivente, vera irruente miscellanea sanguigna (chi passa, chi ride, chi dialoga, chi s'incontra e si saluta, chi frigna, chi scherza, chi s'adonta, ecc. ecc.), alcune esperte mani femminili stanno intrecciando serti con rami fronduti (o fronzuti, che dir si voglia) che allocano alle pareti dell'ampio vano che immette sull'arenile, quasi a creare un anfratto arboreo che per un buon tratto impalla la sempiterna visione del promontorio di Santa Lucia adesso ricoperto da un mare di ricettivo cemento all'insegna di un articolato ambito turismo d'elite.
Chiedo lumi ad un'anima caritatevole dal sembiante anonimo a me d'appresso e vengo da costei informato che stasera, dalle 20,30 alle 22,30 (e già ci siamo con l'orario dell'incipit) i ragazzi del locale Liceo Artistico "Diego Bianca Amato", sempre col patrocinio del Comune di Cefalù e supportati dai propri Insegnanti, dànno un saggio della propria raggiunta preparazione artistica inscenando in maniera empirica alcuni vistosi tratti della prima cantica dell'immortale altissima Commedia: l'"Inferno".
Infatti, quest'antro dove vengo a trovarmi, costellato dai descritti arbusti fronzuti, vuole significare la tanto rinomata "Selva Oscura" dove il nostro caro Dante s'é perso deviando dalla retta via a metà del cammino di sua vita.
Così come anch'io ("... si parva licet componere magnis..."), a tre quarti del cammino della mia (la similitudine mi pare opportuna in questo contesto), distolto dalla tranquillità della via adiacente da me poco prima percorsa e seppure animato da pulsioni intime diverse da quelle del Poeta (Dante aveva perso la donna amata, io, soltanto, non ho vinto al superenalotto!), mi sento un po' come lui.
In quel frangente, il figurante che impersona Dante (Emanuele Bongiorno, discente e rappresentante d'Istituto, nonché ideatore dell'intera synopsis), accompagnato da quell'altro che impersona Virgilio (Agostino Settecase) fendono la folla salmodiando: l'uno: "... Nel mezzo del cammin di nostra vita...", l'altro, qual fido mentore del primo, accompagnandolo a braccetto ed avviandosi entrambi verso l'arenile dove c'é la barca con la quale Caron dimonio con gli occhi di bragia (Carlo Tumino) traghetterà le anime degli infelici verso l'altra sponda dello Stige.
Il Caronte è così ben reso che, al passaggio, mi pare d'udire la nota frase: "... Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: I' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre eterne, in caldo e 'n gelo. E tu che sei costì, anima viva, partiti da codesti che son morti..."
Siccome l'aforisma mi rimbomba nelle orecchie, ho l'impressione, non so perché, che venga rivolto a me, proprio a me.
E da qui io comincio a perdere i contatti col reale contingente ed entro nello spirito del tempo, del luogo e dei personaggi che la rivisitazione vuole far rivivere.
Sul natante, intanto, distesi nelle più svariate posture, corpi apparentemente inanimati (Francesca Cantino, Cecilia Serraino, Anna Serraino, Fosca Franco e Rebecca Gugliotta) dànno bella mostra di sé invogliando il fruitore ad immergersi nel clima ovattato della trasfigurazione dantesca.
La ressa umana degli spettatori si fà molto più consistente, pressante, ingombrante (per muovere un passo si rischia di pestare i calli a qualcuno); così decido di portarmi sul molo dove, sempre a cura dei discenti, sono stati allestiti degli scenari adatti all'esibizione; intorno ad essi i figuranti si aggirano o ristanno in pose statiche o lievemente motili, riproponendo gli atteggiamenti dei personaggi del primo canto della citata immortale Commedia.
Da Emanuele Bongiorno, che ho in seguito intervistato chiedendogli ulteriori lumi sul progetto, sulle motivazioni e su quant'altro, notizie tutte inerenti alla manifestazione in atto, apprendo:
"... l'idea de 'Quell'inferno dell'Artistico' nasce dall'esigenza di voler offrire al pubblico un altro lato del nostro liceo dopo i quadri viventi di 'Notte d'Arte', di 'Earth Day' e di 'In Corso d'Opera'. Questa manifestazione nasce per stupire lo spettatore, per farlo addentrare nei meandri della cantica più famosa del poema dantesco e per stuzzicare la sua mente. Non è stato soltanto mettere insieme uno spettacolo ospitato nel magnifico molo di Cefalù e accompagnato dalla musica dei compositori più famosi, ma è stato un continuo mettere l'anima in un progetto che ha fatto emozionare noi stessi fra ansia e soddisfazioni..." (sic!).
Pervenuto sul molo dove si svolge il clou dell'azione scenica, vengo a trovarmi al centro di quel fantasmagorico coinvolgente marasma creativo, tanto che, supportato dalla incerta visione delle figure immerse nell'oscurità, parzialmente rivelate da sapienti fasci di luce colorata (i più tendenti al rosso), a diretto contatto con i personaggi e col pubblico degli spettatori che come me deambulano a zonzo nella mischia visionando e commentando il tutto, mi sento anch'io catapultato nel liceale inferno dantesco e quasi quasi assumo l'identità del dubbioso Poeta (è chiaro che non mi sto riferendo ad Antonio) rendendomi preda degli stessi assimilati timori.
L'intenzione di Bongiorno, quindi, quella di coinvolgere gli spettatori nel dramma, ha colpito nel segno. Non mi trovo più, infatti, sul molo della mia città nativa ma vagolo nei meandri più oscuri di ipotetiche ricreate bolge infernali; il transfert ha avuto buon luogo!
Nello stesso tempo, aumentandosi l'indescrivibile confusione onirica viepiù incrementata da un commento musicale di genere classico oculatamente scelto (significativi brani di opere di Mozart, Zimmer, Orff, Haendel e Aubry), trasmessi ad un elevato cupo volume consono alla particolare circostanza rievocativa, mi rende (e come me anche gli altri, credo) ancora più satanica la corale rivisitazione.
"... Pape Satàn, pape Satàn aleppe!...". Dal quarto cerchio del VII canto Pluto sembra suggerire l'invocazione a Satana; motto che aleggia nell'aria in ispirito fra il rombare delle note, il costante brusìo della folla ruotante, i singulti delle anime derelitte e quant'altro.
Pape Sàtan!
Vuol essere, essa, un'espressione di rabbia, seppure contenuta? Un grido di minaccia contro gli intrusi (Dante e Virgilio, nel poema; me e nessuno, nella ricreata realtà) che vengono a turbare la trista sacralità del luogo violando il recesso infernale?
I ragazzi sono bravissimi. Supportati dall'attenta e competente guida instancabilmente profusa dalle Professoresse Rosalba Gallà e Patrizia Di Fatta e dal Prof. Giancarlo Coffaro, animano la scena via via emozionandosi e creando emozioni negli astanti, che, coinvolti e plagiati, fan parte del gioco quali imprevisti improvvisati attori nell'affresco.
Per una questione di pura deontologìa professionale mi sembra legittimo a questo punto, per dare a Cesare ciò che è di Cesare, oltre a quelli già menzionati, citare anche tutti i nomi degli interpreti dei quadri viventi nei loro specificati appropriati ruoli; facendo ben presente, tuttavia, che i nominativi che adesso passo ad elencare, non conoscendo io i personaggi se non di vista e non tutti per giunta, mi sono stati forniti dalla cortesìa del Rappresentante dell'Istituto, il pigmalione della ribalta Emanuele Bongiorno.
Sono molti, lo so; ma il mio è un atto dovuto che debbo compiere.
Anche perché altra volta, in occasione di un mio intervento sulla "Notte Bianca" del Liceo Artistico, fui aspramente redarguito dalla Prof.ssa Gallà per non aver citato i nomi degli alunni partecipanti all'evento. E se allora ci fossimo trovati in aula, me discente e lei sulla cattedra, sicuramente mi avrebbe punito; ma per mia fortuna, oltre a non trovarci in aula, a non esserci la cattedra e neppure la rituale lavagna, mi sono miracolosamente salvato dal finirvi dietro.
Adesso, conscio di tale imperdonabile mia mancanza, avvilito per il severo rimprovero a suo tempo ricevuto e col capo cosparso di consistente cenere, mi ravvedo ed includo tutti, o, almeno, i nominativi che mi sono stati cortesemente trasmessi.
Mi limito, pertanto, qui, sic et simpliciter, ad operarne una mera trascrizione, così come mi sono stati inviati: Beatrice (Chiara Riganelli), Santa Lucia (Maria Cristina Rocca), Camilla (Erika Vivinetto), le Muse (Barbara Bongiorno e Rossella Santacolomba), Minosse (Daniele Prestigiacomo); e poi i Lussuriosi, girone molto apprezzabile da parte mia sia per il tema che per la vistosa fisicità delle interpreti: Paolo e Francesca (Francesco Amato e delia Saja- come si fà a non ammirare Delia?), Didone (Elena Aricò), Paride ed Elena (Salvo Ficano e Marina Liberto), Cleopatra + Servo (Anna D'Antoni e Flavio Liuzzo Rampino), Semiriade (Maria Luisa Cuticchio), Nino (Enrico Di Gesaro), Achille (Kevin Pizzo); e poi ancora, i Suicidi: Pier delle Vigne (Marco Tedesco), Arpie (Miriam Battaglia ed Elisa Stodiale); le Furie: Città di Dite (Maria Domenica Scozzari, Annalisa Piazza e Nadia Bellitto), la Medusa (Martina Castellana); i Maghi e gli Indovini (Anita Giorgi, Rita Antista, Maria Cefalù e Marzia Quagliana.
Nelle Male Branche troviamo Barbariccia (Flavio Sammarco), Malacoda (Elisa Lapunzina), Farfarello (Fabio Caccamisi), Ciriatto (Dario Gerbasi) e Graffiacane (Pietro Serio); fra i Consiglieri Fraudolenti: Ulisse (Alessandro Cernigliaro) e Diomede (Sergio Tumminello).
La disegnatrice dei costumi è Maria Liberto
Gli scenografi sarebbero: Emilio Triolo, Martina Castellana, Salvo Ficano, Erika Vivinetto, Chiara Riganelli, Emanuele Bongiorno, Andrea Brocato, Maria Cristina Rocca, Flavio Sammarco, Delia Saja, Dario Gerbasi, Marina Liberto, Annalisa Piazza, Agostino Settecase, Maria Domenica Scozzari e Nadia Bellitto.
Effettivamente, gli scenografi mi sembrerebbero molti. Di solito la scenografìa di una piéce è affidata ad uno, due elementi, al massimo; forse nel caso in esame, stando alle notizie trasmessemi, s'é voluto intendere che tutti questi nominativi sopra elencati nel settore abbiano data una mano nell'allestimento delle scene, ma, in fondo in fondo ci sarà pure stato un solo Deus ex machina.
Comunque mi pare di aver nominato tutto l'Istituto, se non una buona parte di esso; e, per farla completa, forse sarebbe stato congeniale aggiungere anche la planimetria del fabbricato, e il nome del Preside e dei Sigg. Bidelli.
Continuando il mio incerto deambulare, senza tuttavia essere assistito da un qualsiasi sapiente Virgilio appositamente creato ad usum delphini, vengo a trovarmi dinanzi ad un effigiato orrido Lucifero, di proporzioni gigantesche, vera raffigurazione del male, elaborata opera preparata dagli stessi discenti.
L'immagine appare veramente spaventosa ed eloquente: è il signore delle tenebre, la fiaccola nera della coscienza bacata, il vizio sublimato nella crudeltà con i suoi mille nomi che non mancano di definirlo.
Ne cito alcuni per puro spirito di curiosità: Diavolo, Satana, Belzebù, Ahreman, Mefistofele, Lucifero, Asmodeo, Lilith, Astarot, Beliar, Apollion, Abadon, Azazel, Baal, Dagon, Molooch, Samael, Belfagor, Astarte, Dagon o com'altro viene chiamato.
Sul suo volto aleggia il senso del peccato nelle sue multiformi esemplificazioni; un peccato subliminale che non chiede né ammette perdono. Inutile sottolineare che la visione lascia un qual certo turbamento. Pare che l'orrida figura muova gli occhi dappertutto per controllare che la pena dei dannati venga eseguita.
Non vorrei sognarmelo stanotte e son lieto di soffrire d'insonnia.
Ovunque, sulla piazzola del molo, intanto, i corpi dei dannati, avvinghiati l'uno all'altro, divisi nei vari gironi, coadunati dagli stimoli incancellati ed incancellabili delle proprie colpe, oppressi dalla propria perpetua sofferenza, mutilati nella loro volontà senza alcuna speranza di redenzione, immobili, schiacciati dal peso del loro errore, offrono uno spettacolo miserando e pietoso enunciando, alcuni, la propria storia, lamentandosi, altri, ostentando con il loro atteggiamento contratto una insostenibile sofferenza, quasi a voler chiedere comprensione e pietà.
Fra i volti conosciuti ed inconosciuti, per spirito critico quanti altri miei paesani avrei voluto allocare perché a mio parere degni del luogo e delle pene.
Il pubblico fà ressa, si aggira interessato fra i contorti corpi dei figuranti, immoti alcuni, in limitate movenze altri, e sembra anch'esso far parte delle anime dannate, tutti sommersi dai fasci di luci multicolori azionati da competenti mani.
Noto lo scultore Aricò che effettivamente controlla riflettori e suono, Triolo che ha aiutato ad imbastire la scena che si sposta dando mano dove ne ricorre il bisogno, le varie Insegnanti che hanno fatto corpo unico con i ragazzi e ragazze loro discenti, gli amici intervenuti per sostenere le fatiche degli organizzatori e non ultima la Prof.ssa Gallà, revisora dello spettacolo, che è appena rientrata da un'escursione in Lombardia, (in Puglia o nel Salento? Beh, in qualche parte è pure andata!) con i ragazzi e, successivamente, per un progetto erasmus, a Stoccolma, luogo da cui, a suo dire, non avrebbe mai voluto staccarsi data la rara bellezza dei suoi tramonti e nel quale sito avrebbe in animo di ritornare per respirarne i serafici culturali aromi oltre a quelli paesaggistici già goduti.
Lei, il volto gravato dalla stanchezza (collaborare alla creazione di uno scenario simile, con tutti gli altri collaterali impegni che fanno capo a lei professionalmente ed elettivamente, non è cosa da poco, perbacco!), ... sparse le - sciolte chiome - sull'affannoso petto..., s'aggira come una penitente fra gli agglomerati umani cercando di vivificare la scena là dov'essa sembra languire.
Fotografie di Francesca Mancinelli
Vedo anche il Signor Sindaco, Saro Lapunzina, farsi fotografare assieme a due figuranti cornuti (nel senso specifico che troneggia sulla loro testa un bel paio di smisurate corna), vedo l'Amico Prof. Giuseppe Saja vagare con la famiglia da un gruppo all'altro delle anime penitenti immerse nella palude Stigia, mentre il mio animo, tribolato dalle allucinazioni che fornisce il corrotto scenario, cerca una pace interiore che non viene.
Le zone chiare e d'ombra, evidenziando figuranti fra figuranti, dannati fra dannati, personaggi singoli od in gruppi, dànno corpo a quadri viventi di espressivo spessore riproponendo la synopsis del poema dantesco nella sua più veridica essenza; tanto da far pienamente rivivere il passo del terzo canto dove Virgilio testualmente recita: "... noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose c'hanno perduto il ben dell'intelletto...". E poi, più in là, ancora, constata: "... diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche e suon di man con elle facevano un tumulto il qual s'aggira sempre in quell'aura..."
Ad un tratto mi pervade un'onda di sollievo: una luce s'insinua nel mio spirito.
Come Dante incontrò la Portinari (riflesso dell'ansia di ascesa spirituale e di purificazione del Poeta nel contesto del proprio incedere verso le superne sfere) e la vide venirgli incontro inviatagli in soccorso dalla clemenza di Santa Lucia, a sua volta sollecitata dalla Vergine, così io vedo una donna che mi fà rinascere una luce di speranza, di quiete, un senso di calma dopo la procella dei sentimenti, di sereno ritorno alla realtà dei miei obliati giorni.
Qual novella flessuosa Beatrice, inguainata in un lungo abito marrone semiaderente e attorniata da un piccolo stuolo di familiari o amici, là, in mezzo alla folla dei dannati e del pubblico, mi appare Miriam, fulgido lampo nel tenebroso mare di penitenza; nel suo limpido sguardo trovano rifugio i miei stanchi occhi di peccatore impenitente non più memore delle trascorse virtuali traversìe che avevano avvilito il mio animo e percossa la mia fibra a causa delle visioni apocalittiche generatemi dalle bolge infernali tra le quali ero transitato.
Una perla nello stagno!
La guardo come il naufrago può guardare la nave che gli si avvicina, con i marinai che si sporgono pronti a trarlo in salvo aiutandolo a salire la scaletta.
Il suo sguardo par dirmi: "... Io son Beatrice che ti faccio andare / vegno del loco ove tornar disio / amor mi mosse, che mi fa parlare..."
Per rendermi conto che la visione è vera e non frutto di una mia allucinazione come quella dell'oasi che tarpa le ali all'assetato nel deserto volgo un'occhiata ai miei lati: i dannati continuano a sopportare la loro indicibile pena mentre "Le Fiamme", pregevole scultura dell'Aricò irrorata dal basso da una fluttuante luce rossastra, continua a dar contezza di sé stigmatizzando il più recondito senso della serata.
Ma la visione è sempre lì, viva e vegeta. Non svanisce. Non è un miraggio, non mi sono ingannato.
Miriam-Beatrice mi guarda e sorride. Un sorriso da infarto!
Ditemi pure che la imprevista presenza di costei non sia un atto pietoso che il benigno Cielo, per trarmi dal pelago, ha voluto elargirmi ad onta dei miei molteplici peccati di pensiero, di parole ma non d'opere.
A questo punto che fare? Ancora invischiato in una dimensione onirica fornitami dalla suggestione, una suggestione imperiosa e coinvolgente che mi ha costretto a varcare i limiti dell'inconoscibile, mi sento in qual certo senso mondato, soprattutto grazie all'insperato intervento di quest'anima cortese, spirto gentil...
E per non rimanere più nei mali passi e violentando la mia volontà, credetemi sulla parola, sguscio fra la consistente folla che ancora non si dirada e me ne torno a casa, lì a due passi, saturo di una malinconìa che ancora al ricordo mi attanaglia il cuore.
Cefalù, 13 Giugno 2018.
Giuseppe Maggiore
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Commenti
Emanuele Bongiorno -
Grazie al prof. Emilio Triolo
È doveroso sottolineare che il prof. Emilio Triolo è stato l'anima e la mano che hanno reso concrete quelle che erano solo idee. Grazie alla sua padronanza dell'arte dei metalli e, soprattutto, della forgiatura, ha reso stupefacente il nostro "Inferno". La sua personalità è unica: è la generosità fatta persona. Senza di lui, artefice di tutte le scenografie metalliche e di tutte le strutture che hanno reso possibile l'allestimento in sicurezza di ciò che il pubblico ha potuto apprezzare, la manifestazione non avrebbe avuto un impatto così forte. È sempre stato pronto a prodigarsi anche negli ambiti diversi dal suo e a motivarci, a spronarci e a fare di più e meglio. Vederlo lavorare è un vero piacere, per la sua passione e il suo entusiasmo, che trasmette, insieme alle specifiche competenze, a tutti i suoi allievi.