12 Marzo 2018, 21:27 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Insisto ancora sui problemi creati in Italia dalla diffusa ignoranza scientifica. Questa ignoranza non ha ancora preso il sopravvento fino ad abolire i vaccini o a fissare una nuova velocità della luce per democratica alzata di mano. Lo stesso non accade nelle scelte economiche. Lì molti si comportano come chi dicesse che Buffon è un centravanti. Qui però l'ignoranza sparisce e tre quarti degli italiani scoppierebbero in una sonora risata. Lo stesso non accade, purtroppo, quando parlano i vari Grillo, Di Maio, Renzi, Boldrini, Grasso, Berlusconi e Salvini. Per non dire da quello che non parla, ma scroscia come lo sciacquone del water.
Provo a riportare il dibattito sull'economia italiana su binari più corretti, nella speranza che possa essere compreso in parte anche dai tifosi di calcio.
Critico aspramente i partiti pro-business, che si presume sostengano la libertà economica, ma che in realtà si affidano allo stato per imporre misure protezionistiche e per sostenere i monopoli. Questi gruppi, più di chiunque altro, hanno conferito una certa credibilità all’accusa marxista, secondo cui l’economia di mercato è solo un’ideologia, un costrutto retorico che serve gli interessi di classe della borghesia e che viola i suoi stessi principi nel momento in cui si rivelano non vantaggiosi.
Sono inorridito da tutte le forme di monopolio e considero il potere economico di aziende colossali altrettanto pericoloso della potenza politica dei governi collettivisti.
D’altra parte mi oppongo ai tentativi di abolire i confini e di concentrare il potere nelle mani delle burocrazie transnazionali, visto che già sono pericolosissime quelle nazionali, regionali e comunali. Proprio come l’economia di mercato era stata costruita da piccoli imprenditori, agricoltori, inventori ed imprenditori – a spese di monopolisti, re mercantilisti e filosofi razionalisti – così l’ordine e la libertà internazionale derivano da regioni libere, federate all’interno di stati-nazione, i cui rapporti devono essere regolati da norme scritte o non scritte di diritto internazionale applicate in un sistema equilibrato di poteri.
A differenza di altri sostenitori del libero mercato, penso che l’economia sia stata politicizzata in modo irreversibile e che non è possibile tornare alla vecchia concezione del diciannovesimo secolo, che poneva la capacità produttive di una nazione completamente al di fuori della portata della sovranità popolare.
La crescita della democrazia di massa, la mobilitazione di milioni di uomini di ogni classe sociale durante la prima e la seconda guerra mondiale; l’aumento del sentimento nazionalista e la sfiducia di classe; tutte queste correnti si sono unite per travolgere l’argine dietro cui i liberali classici speravano di proteggere la vita economica dalla turbolenza della politica.
Non sarebbe più sufficiente, infatti, in una simile situazione convincere solo i professori di economia, i ministri del re e le classi responsabili delle virtù di un libero mercato. Oggi bisognerebbe convincere milioni di uomini, che purtroppo di economia e di politica vera non capiscono nulla; milioni di uomini, che si lasciano trascinare a dare la loro fiducia a chi si avvantaggerà personalmente di tale fiducia, ma che poco vorrà e potrà fare per la comunità.
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