Leggende di Sicilia: Cola Pesce

Ritratto di Francesca Daniele Merlo

21 Aprile 2013, 11:24 - Francesca Danie...   [suoi interventi e commenti]

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Attorno alla figura di Cola Pesce sono nate tante leggende, poesie e canzoni, il contenuto della leggenda cambia se la si racconta ora a Palermo, ora a Catania ora a Messina, ma a parte queste  piccole differenze del testo Cola Pesce è stato e resta un personaggio molto popolare della nostra tradizione, che, purtroppo, va scomparendo.
Quand’ero bambina lessi questa leggenda sul mio libro di lettura, molto tempo fa si introducevano nei libri di testo racconti a carattere regionale, oggi i nostri giovani sconoscono la nostra tradizione perché nessuno la tramanda quasi più.
Spero di aver destato, pubblicando sul sito questa poesia di Caterina Daniele, un po’ di curiosità, fra le nuove generazioni, che con l’aiuto del computer, possano scoprire e amare ciò che fa parte della storia, usi e tradizioni del popolo siciliano.

Cola Pisci

A Missina cc’era un beddu piscaturi
amanti di li celu e di lu mari;
‘nna la so varca stava a tutti l’uri,
di li sirèni si sintìa chiamari!

Taliava ‘ntornu cu l’occhi  ‘ncantati,
passava li nuttati a suspirari
ed una notti, a tutti ddi chiamati,
di la varca si jittò ‘n funnu a lu mari.

Vitti ninfi, sireni, pisci rari,
jardina di curaddi e di ciuriddi,
e quannu a galla potti riturnari,
lucianu l’occhi sò comu du’ stiddi.

Parìa mutu, nun vosi cchiù parrari
e quannu si videva avvicinatu,
spirèva cu la varca ‘nna ddu mari,
ca  l’avìa pi tantu tempu ammaliatu!

Pi chistu Cola Pisci fu chiamatu,
ca com’un pisci iddu sapìa natàri
e  ‘nna tutta la Sicilia ammuntuatu
fu p’ardimentu e pi biddizzi rari.

Re Federicu cci vosi parrari
e, cu sò figghia e tanti cavaleri,
juntu a la spiaggia, lu fici circari.
Lu piscaturi cidìu a tanti prieri,

quannu a la sò prisenza fu purtatu
la Rigginedda nni ristò ‘ncantata.
Cola Pisci si  ‘ntisi assa’ unuratu,
ma cci trimò lu cori a dda talïata!

- Chi facissi tu pi mia, o piscaturi -
cci dumannò la Riginedda allura -
s’ju vulissi  ‘na prova di valuri,
‘na prova granni di la tò bravura? -

- A tuttu sugnu prontu - dissi Cola -
puru la vita sugnu prontu a dari. -
La Riggina, a la duci so parola,
la coppa d’oru di lu Re jittò a mari.

- Va pigghiala - cci dissi - si ti firi. -
E, com’un lampu, Cola ‘nna dda scuma
spirìu di l’unna e, propriu nun si criri,
liggeru riturnò comu  ‘na piuma,

tinennu ‘n manu la coppa lucenti
ca la picciotta ‘mpazienti aspittava,
sudisfatta, felici e risulenti.
Mentri Cola cu l’occhi cci parrava,

purtannucci la coppa titruvata,
dicìa la Riginedda: - O piscaturi,
vogghe’essiri pi sempri la tò fata,
ma n’autra prova vogghiu di valuri. -

La cinta si livò, d’oru e diamanti
la tirò propriu ‘n funnu di lu mari,
dicennu tutta cunfusa e trimanti.
- Certu ca tu mi la saprai truvari. -

Satò Cola ‘nna l’acqua cilistrina
e nun si vitti cchiù p’un quartu d’ura,
poi riturnò purtannu alla Riggina
la priziusa, magnifica cintura.

Oh chi coru d’evviva e battimanu!
Ma Cola nun sintìa chi la risata,
nun videv’autra cosa chi la manu
di la Riggina, ca parìa  ‘na fata.

Ma la sirèna si livò l’aneddu
e dissi, mentri lu tirava a mari:
- O piscaturi, valintusu e beddu,
si mi lu porti ti vogghiu spusari! -

Di luntanu si  ‘ntisi murmurari
ed eranu li servi e cavaleri:
- Cola, Cola, cchiù nun t’arrischiari,
a morti vai si ti cimenti arrèri. -

Ma Cola già s’avia pricipitatu
‘nna  dd’abissu can un fineva mai,
e tanti circhi l’acqua avia furmatu
propriu a ddu puntu cchiù  funnutu assai.

Mai cchiù, mai cchiù, turnò lu piscaturi
e forsi nata ancora pi truvari
l’anidduzzu, chi fu pegnu d’amuri,
binidittu di l’acqua di lu mari!

Caterina Daniele

 

Commenti

Nella versione palermitana di questa leggenda si narra di un certo Nicola (Cola di Messina), figlio di un pescatore, che, per la sua abilità nel muoversi in acqua, era soprannominato Cola Pesce.
La sua fama arrivò al re di Sicilia Federico II di Svevia che decise di metterlo alla prova buttando in mare una coppa che venne subito recuperata da Cola Pesce. Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo e Cola Pesce riuscì nuovamente nell'impresa. La terza volta il re mise alla prova Cola gettando un anello in un posto ancora più profondo ed in quell’occasione Cola Pesce non riemerse più.
Cola Pesce, però, non era morto. Scendendo ancora più in profondità vide che la Sicilia posava su tre colonne delle quali una piena di vistose crepe (perché segnata dal tempo o perché consumata dal fuoco dell'Etna, a secondo delle versioni della leggenda) e decise di restare sott’acqua, sorreggendo la colonna per evitare che la Sicilia sprofondasse. Ancora oggi si troverebbe, quindi, a reggere la nostra isola.

A questa leggenda è ispirata l’opera realizzata dal pittore bagherese Renato Guttuso nella volta del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Il dipinto occupa una superficie di 120 metri quadrati ed è formato da 43 pannelli.

La leggenda di Cola Pesce, Renato Guttuso, Teatro Vittorio Emanuele di Messina, 1985

Anche Italo Calvino, nelle sue Fiabe Italiane, ha rielaborato la leggenda di Cola Pesce:

Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva:
- Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?

E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione:
- Cola! Che tu possa diventare un pesce!

Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì.

La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re (Federico II); e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.

Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando
- Cola! – gli disse. – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare!

E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re. Il Re,al vederlo, gli fece buon viso.

- Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!

Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.

- E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. – Devi scendere giù a vedere dove poggia.

Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò a galla e disse al Re:
- Messina è fabbricata su uno scoglio,e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.

O Messina, Messina,
Un dì sarai meschina!

Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce.

Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse:
- Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.

Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua.

Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse:
- Gettati dalla cima della Torre del Faro

La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima.

Il Re ne aspettò due, ne aspettò tre,ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido.
- Che c’è, Cola? – chiese il Re.-

C’è che sono morto di spavento, - disse Cola. - Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire mi son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina!

Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata.

- Cola:
- No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura.

Visto che non riusciva a convincerlo, il Re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose, che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare
- Va' a prenderla, Cola!

- Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno! - Una corona che non ce n’è altra al mondo, - disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere!

- Se voi così volete, Maestà, – disse Cola - scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più.

Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare. Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.
Cola Pesce s’aspetta che ancora torni.
                                                                                                                                                                                              Italo Calvino

Per chi volesse approfondire l'argomento consiglio il sito internet http://colapesce.xoom.it/index.htm