“Cogito, ergo sum”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

6 Agosto 2017, 19:58 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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COGITO, ERGO SUM” 
(… penso, dunque sono…)

 

Dal che, per deduzione:

… penso, immagino, argomento, disserto, elucubro… e, per conseguenza, sono, esisto, gravito, vegeto, constato; il tutto nella realtà che i sensi, spesso mendaci, percepiscono, o, astrattamente, in una dimensione fantasmagorica suggerita dalla estroversa irrefrenabile fantasìa…

Descartes insegna!

Bovarismo o illusione di essere ciò che non si è? E chi può stabilirlo!

Ma come, si potrebbe a buon diritto obbiettare, può esserci un nesso di casualità tra quanto assunto prima e quanto si dirà dopo a proposito delle immagini che supportano il testo?  Dalla eccelsa ricerca delle propaggini dell’ “io” (cogito, ecc.), retaggio dello spirito, alla enunciazione di un fatuo risibile accadimento?

Il nesso va trovato, ove lo si voglia ricercare, nella potenzialità della immedesimazione che è il caposaldo della teorìa di Stanislavskij: so che, nella fattispecie, ciò che mi circonda non è vero; ma, se lo fosse, io come mi comporterei?

Per quest’ultima considerazione, Visconti, che non amava affatto le sofisticazioni, nella scena pretendeva che tutto quanto circondasse l’attore (ambienti, costumi, tendaggi, mobilio, vasellame, quadri, suppellettili e quant’altro) fosse originale o, tutt’alpiù, ricostruito con materiali identici a quelli dell’epoca che la rivisitazione rappresentava in modo che ne rispecchiassero le forme nei loro minimi particolari: appunto per far sì che l’attore, trovandosi in un ambiente “vero”, si sentisse parte integrante di esso e più facilmente entrasse nella psicologìa del personaggio interpretato (“Il Gattopardo” ne è un eclatante esempio) rendendone palpabili le molteplici sfaccettature.

Esposte bravamente queste brevi opinabili considerazioni, di spicciola o profonda filosofìa o di superficiale tediante analessi che siano, al fatto:

amici Americani (Pauline, Joe, Paulette e Bruno, assieme al loro treno di parenti e sodali), che conoscono i miei film indipendenti (io li chiamo film, ma può anche emergere che siano ben lungi dall’esserlo), han voluto farmi, bontà loro, un simpatico utopico scherzo: mi hanno inviato una statuetta originale, non preziosa (dal punto di vista del materiale usato, tuttavia, ma, certamente, da quello affettivo, si), del rituale hollywoodiano OSCAR.

Insomma, un benevolo, affettuoso ed amicale irridere alla mia supposta artistica vanità; attributo, quest’ultimo, che, con buona grazia di quanti mi conoscono e mi stimano, onestamente credo di non possedere.

Per quale film? Sicuramente per il prossimo che girerò, anticipandone un favorevole giudizio attesa la mia “ben nota valentìa” (?) nel settore.

      

Ed io?

Beh, io sono stato al gioco e le foto che corredano il presente ne attestano l’immancabile  risultato.

“… Chi di voi è senza peccato, ecc…”

Posso sempre disquisire su Raffaello, su Leonardo, su Michelangelo Merisi, su Fidia, su Keplero o Copernico, non disattendendo né Lucrezia Borgia, né Madame De Stael, né Ninon De Lenclos o Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione (al secolo Nicchia), dei primi esaltando il lucido pensiero e la riconosciuta sapiente bravura e, delle dame, le stupende armoniose fattezze e la innegabile plurima cultura; posso sempre discettare su i molteplici artisti, letterati e politici che costantemente calcano le ribalte della nostra città (tutti bravi ed io ne tengo indegnamente un lembo della veste), o celebrare la prestanza femminea di eteree nostrane ninfe decantandone le molteplici supposte virtù, ma mi sembra più che giusto e naturale riservarmi un infinitesimalmente piccolo spazio, un anfratto, quasi un pertugio, per accennare, al caso e seppure in maniera abbondantemente burlesca, anche a me. Non vi pare?

Ed è quello che ironicamente sto facendo, se è ben vero che “semel in anno licet insanire”.

Da qui le immagini, me in pretestuosa pompa magna, per corrispondere alla estroversa fantasiosa iniziativa dei cordiali miei detti amici americani; d’altronde, come ho già asserito altrove, togliendo all’essere umano la fantasìa, o il bovarismo se si vuole, o l’autoironìa, che gli resta?

      

La seriosità del dramma della vita s’interseca sempre con la fatuità della celiante commedia, e l’uno è complementare dell’altra amalgamandosi in una continua simbiotica alternanza che rende sopportabile questo terreno sfiancante ed insensato cammino; e dove l’uno alligna l’altra digrada e viceversa, ma entrambe le dimensioni sono necessarie, indispensabili ed insopprimibili, qual linfa esiziale, nell’esistenza umana così come la notte s’incardina al giorno, il bel tempo al cattivo e, perché no, la vita alla morte.

Ridiamoci su (per chi sa ancora ridere, soprattutto di sé stesso) demitizzando la realtà con gli sberleffi!

E chi non ride con me, peste lo colga! (parafrasando Sem Benelli).

 

Cefalù, dalla mia stagionale residenza extraurbana (eremo), Agosto 2017

                                                                 Pippo Maggiore

(Nota chiarificativa: firmo invariabilmente col mio nome “Giuseppe” o col diminutivo “Pippo” a seconda del tenore dell’assunto).

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