CONVIVIO di DIMENSIONI

Ritratto di Giuseppe Maggiore

17 Luglio 2017, 17:14 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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CONVIVIO  di  DIMENSIONI

 

Incontro d’ingegni, di gusti, di tematiche, di pulsioni, di caratteri, di stili, di culture.

Convivio, congresso, convegno, tavola rotonda, salotto emblematico di creatività.

Cinque personaggi a confronto: Francesco D’Anna, Sebastiano Catania, Giovanni Di Nicola, Giuseppe Forte, Cosimo Cimino; tutti riuniti in una dimensione pluralistica eminentemente espositiva.

Fotografia di Salvatore Vinci

 

L’arte per l’arte, in una dicotomia pittorica, scultoria e compositiva, non competitiva ma dimostrativa, all’insegna della libera creazione.

Una esclusiva prova di sé degli autori: connubio mediatico, quasi una “coincidentia oppositorum”; un simposio, più che d’opposti, di sensibilità diverse.

Fotografie di Gianfranco D'Anna

- Armoniose, le evoluzioni grafiche di Franco D’Anna, spirito verace e poliedrico impregnato di un classicismo metafisico prorompente, maestro per stile ed essenza con una non indifferente produzione artistica alle spalle universalmente conosciuta ed apprezzata; evoluzioni che, connotate dalla delicatezza del tratto soffuso di evanescenti colori, riflettono dei momenti creativi di altissimo valore espressivo che vanno dal simbolismo virtuale che promana dalle conchiglie, dalla chiocciola in particolare, la cui conformazione a spirale sembra denunciare il continuo ripiegarsi della vita su se stessa protesa nella ricerca di un assoluto empireo nel quale le angosce esistenziali trovino un definitivo ristoro, al terribile sguardo minaccioso dell’aquila, personificazione del male, emblema di crudeltà, pugnace e vendicativa, pronta a scattare, a colpire, ad atterrare, atteggiamento che connota un’animosità ostile in fieri, sentimento riflesso di un particolare periodo, passando attraverso l’irrealtà concentrata degli stilizzati minerali che preludono ad una concezione astrattista non estranea al Nostro, per poi fluire in un rutilante albeggiare di iridescenti colori cosparsi su ingigantite ali di farfalle. Sono opere, quest’ultime, che richiamano la perfezione stilistica della precedente mostra di due anni fa dall’evocativo titolo “Cromatismi floreali” e che inducono alla considerazione universale che il bello della vita sta nel saper cogliere il profumo dei sentimenti generato dall’espressione artistica di un animo sensibile ed allo stesso tempo estroverso, supportata da una tecnica attenta ai particolari e da uno stile rigoroso; doti congrui all’altezza del personaggio, alla sua dimensione poetica ed alla sua innegabile ecomplessa personalità.

- Mirabili le terrecotte del Catania, creatore versatile dalle plurime sfaccettature con al suo attivo molteplici produzioni di indubbio valore, delle quali ho già parlato in occasione di consimili incontri. Dette terrecotte, a prescindere dal fatto che l’artista si possa essere rifatto a “La scelta di Paride” o a “Didone ed Enea”, all’ ”Ippocampo”, ai miti ancestrali di una cultura antica ma non obsoleta o a quant’altro di mitologico, resta affermato che le attraenti forme femminili di classica fattura scolpite con estremo realismo, oltre a fornire una valida contezza di sé fanno fede della maestrìa impiegata nel realizzarle. Ribadisco scherzosamente l’ipotesi già espressa altrove, che, attesa la prorompente sensualità che dalle stesse promana, l’artista, per ispirarsi e caricarsi, rifiutando ipotetici ritiri spirituali più consoni ad una sua impropria dimensione ascetica, si  sia potuto appigliare, con spirito di estremo sacrificio, ad inusuali metodologie attinenti a vessanti rinunce fisiologiche (tanto per dirla in maniera diversa da prima).

- La poetica di Di Nicola si può desumere dagli stessi titoli con cui egli connota le sue  opere presentate; realizzazioni che denotano una sicura padronanza del mezzo mediatico utilizzato supportata da una indiscussa sapiente fattura: “Omologati al sistema”, “Sempre più distorti e distolti” e “Quale futuro, l’importante è che c’è”. Il sincretismo di tali denominazioni fà intuire la concezione critica dell’artista nel riguardi della contemporanea realtà circostante, il suo prenderne le distanze, il suo non condividerla col conseguente suo estraniarsene; da qui trae origine l’apparente sua intervenuta spirituale solitudine di fronte ad un mondo in cui la solidarietà è confinata in un limbo di incertezza e di inevitabile delusione. Anche di lui ho parlato in occasione di una recente mostra pure collettiva.

- Forte, Peppino Forte: che si può dire ancora di lui? Di un artista così prolifico e da tanti anni costantemente sulla breccia? Quante altre innumerevoli volte ho preso la penna (diciamo, pure, ultimamente il computer) per esaltarne le molteplici caratteristiche? Tanto che adesso, a volerne ulteriormente disquisire, mi sembra come pestare l’acqua nel mortaio; ma questo oggetto, il mortaio intendo, in passato tanto utile all’economìa familiare, oggi obsoleto come utile mezzo produttivo ma degno di rappresentare in bacheca un aulico tempo che fu, mi manca perché mia moglie, sua sponte, l’ha relegato in soffitta. Mi astengo, quindi, dal dire di più, avendo già in precedenza detto abbastanza; se non solamente e brevemente accennare che le opere fortiane, qui esposte, grondanti di policromo pathos, rispecchiano le problematiche del momento storico attuale che vede nell’emigrazione che si riversa sulle nostre coste un caso umano da non sottovalutare, ma contemporaneamente preoccupante. Il Nostro ha nella sua bottega, ridondante di quadri, ben altre apprezzabili creazioni pittoriche che qui la diversa tematica gliene ha precluso l’esposizione.

- Cosimo Cimino non lo conoscevo; lo sto conoscendo ora, assieme alla sua gentile Signora. La mia corposa incultura, che occupa lo spazio fisico che va “dall’Alpi alle Piramidi”, con questa mia spartana affermazione adesso risulta più eclatantemente acclarata. Tuttavia corro ai ripari e non posso fare a meno di constatare l’estrema certosina bravura dell’artista che vien fuori dalle sue  elaborate composizioni e dall’apprezzabile dimostrata inventiva profusa a piene mani in esse. Non so perché, ma il suo modo di creare mi riporta idealmente a certi quadri dell’Ottocento dove composizioni floreali su uno sfondo bianco, giallo o blu abbellivano le pareti di alcune antiche dimore. La sua originalissima tecnica basata sull’assemblamento di materiali di scarto, come lattine, occhiali, soldi, bicchieri ecc., lo rende unico in un panorama operativo che oggi non può che riflettere la decadenza spirituale di un’intera società consumistica. L’interesse dell’artista, focalizzato sulla espressiva fisicità degli animali, come si desume sia dai titoli delle opere esposte “Conversazione”, “Danza di galli”, “Pascolo a Milano. Poesìa”, che dalla visione dei quadri stessi, trova la sua ragion d’essere nei particolari positivi risultati ottenuti con l’impiego di lattine di risulta.

Cinque personaggi, cinque creatori, cinque realtà individuali, cinque vite, tutti diversi fra loro ma tutti uniti nel comune finale intento: la creatività; ovverossia, la capillare ricerca di un “bello” cosmico che risulti elettivo mezzo di elevazione spirituale, di appagamento e di conforto nel buio ancestrale della càduca esistenza!

Astraendomi dal contesto della circostanza, debbo a questo punto affermare che non apprezzo le collettive: mi appaiono incontri dispersivi nei quali, per l’eterogeneità degli stili, delle tecniche e del modus operandi individuali, non si possono appieno sceverare, attesa la distrazione del molteplice, i significati reconditi ed intimali che stanno alla base del’opera di un autore, né si possono assimilare a fondo il getto creativo di ciascuno, né la dimensione culturale e l’esperienza in esse profuse.

È come visionare le opere raccolte in un museo: ma quest’ultime in buona parte le conosciamo, o per averle già viste di presenza o per averle apprezzate attraverso la stampa o attraverso i commenti di autorevoli critici e o attraverso lo studio della storia dell’arte; ma al primo impatto con un’opera nuova è mestieri che noi ci si focalizzi su un unico soggetto; ammenoché non si appartenga alla folta schiera degli incalliti recensori, i quali, a menadito, sanno distinguere il capolavoro dalle croste. Ogni singolo autore meriterebbe, quindi, una “personale” a sé stante. Almeno, questo è il mio pensiero.

   

Presenti alla inaugurazione della mostra, dall’ermetico titolo “RESPIRI di TEMPO”, un eletto parterre di rappresentanti del patrocinante Comune cittadino: Terrasi, Garbo, Iuppa e Gallà; e fra il numeroso e scelto pubblico convenuto, oltre, naturalmente, agli illustri espositori in buona parte seguiti dalle proprie consorti o fidanzate che siano: artisti, letterati, cultori della Settima Arte e simpatizzanti.

Non posso, fra lo scelto plaudente stuolo degli intervenuti, non nominare l’onnipresente prestante Sylvia Patti, icona insostituibile in incontri culturali, la cui rara classe ha sempre ingentilito manifestazioni del genere.

   

La Prof.ssa Rosalba Gallà, già sopra citata perché facente parte delle urbane istituzioni, ha efficacemente, come in altra sede, presentato gli artisti espositori e le opere in catalogo.

   

La mostra, inaugurata il 15 Luglio scorso all’ottagono di Santa Caterina, sarà fruibile sino al prossimo giorno 26.

Cefalù, 16 Luglio 2017

                                                                                                   Giuseppe Maggiore