Horae subsicivae

Ritratto di Giuseppe Maggiore

2 Marzo 2017, 15:26 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

HORAE  SUBSICIVAE
(ritagli di tempo)

Il Telaio, la Gente, il Carnevale, Tilde Coco ed i suoi arabescati manufatti: tessuti,  merletti ed altro.

 

L'artigianato nel ramo tessile è finito? È stato oscurato dall'industria? Superato dal tecnicismo in serie? Abrogato per troppa laboriosità? Trascurato per indolenza? Soffocato da altri interessi?

Ma quando mai!

Tale settore amanuense, vigile ed ambito, persiste indefesso, permane; sembra che viva la vita del lombrico, ma ci si accorge, poi, che si libra nell'aria come una variopinta farfalla. Vive una sua dimensione tutta particolare, spesso in silenzio, in sordina, sott'acqua, latente, a volte relegato in cantina od in soffitta, ma non vegeta affatto. Anzi! Tra le maglie dell'aura moderna esso riemerge ogni tanto, alacre, fà capolino, si fà sentire, si ripresenta, pur facendosi largo fra mille difficoltà e superando moltissime contingenti pastoie prodotte dall'imperante ed imperversante consumismo al quale l'industria fà l'occhietto. Riappare e s'impone nel pentagramma dei merletti, dei tessuti, degli arazzi, degli indumenti chic, delle tende, ostentando i suoi manuali telai come macchine belliche in avanscoperta, esponendo i suoi prestanti orditi, le sue intriganti trame, le sue speciose tecniche, come rostri emblematici in un'economia pluralistica commercialmente ben consolidata.

La materia è il coacervo di un pullulare di regole in una girandola di stili:

il macramé, ad esempio, dai svariati nodi, semplice, piatto, doppio mezzo nodo, nodo giuseppina, nodo cordoncino, nodo noccioline; e dagli eterogenei motivi, nexma, jasmine, warda; e poi, ancora,  il filet, il chiaccherino; e le fasi del procedere nella consecutio temporum della realizzazione che presuppone un iter attento e laborioso, cardatura, filatura, tessitura, finitura.

Che ginepraio!

Insomma, per un non addetto ai lavori, come me, ad immergersi nello specifico del sistema, nei meandri di tutte queste espressioni d'arte, nel labirinto di tutte queste molteplici tecniche, di tutti questi stili, di tutti questi motivi e dei relativi modi realizzativi, discipline dove la manualità è la regina della materia ed il telaio il re, c'é da entrare in uno stato confusionale che ne preclude la comprensione; regole che presuppongono una conoscenza capillare del settore, dal quale, poi, come per naturale evoluzione o esoterico incanto, vengono fuori dei prodotti strabilianti per la minuziosità delle trame, per la complessità dei disegni, per la finezza dell'ordito, fattori che emergono dall'intreccio dei fili di multiformi colori dei quali sono forgiati.

Come si fà a non apprezzare una stoffa a quadrettini incavati come le cellette di un nido d'api, ricavata da questa particolare macchina, il telaio, e ottenuta mediante uno speciale tipo d'armatura? Oppure un merletto pesante, di foggia moresca, costituito da una serie di nodi che contemporaneamente formano disegni e fondo?

Eh, porca miseria, mi son dovuto un po' addottrinare, così, mi son dovuto dare una lieve spolverata di informazione, a scapito della mia libertà spirituale espressa in ben altri campi a me più congeniali e per me più allettanti!

Certo, secoli fa il filato era il costante impegno di non rozze abili mani femminili; e le nobili o povere fanciulle che vi attendevano si acculturavano in questa nobile arte seguendo le orme delle madri, delle zie, delle sorelle più grandi e di quant'altre esperte che confezionavano il proprio corredo, o quello richiesto su ordinazione, con una perfezione formale più che elogiabile.

Il fatto si è che i tempi mutano e così pure le abitudini; ed i mestieri che presuppongono la manualità vengono in parte abbandonati, superati da innovazioni tecnicistiche che rappresentano, poi, i capisaldi della nuova produzione. Oggi in massima parte le donne preferiscono comprarli i merletti, quelli di rapida produzione industriale, e non stancarsi gli occhi, le dita e la mente a confezionarli da sé.

Ma non bisogna fare di tutta l'erba un fascio; perché quando c'é il talento, la versatilità e vi si è portati, beh, tempi o non tempi, allora tutto cambia e le ataviche tradizioni permangono, ferme e costanti.

Vi sono, infatti, le amatrici (non nel concetto sensorio, eh!) del settore che ancora oggi si dedicano con passione e profondo zelo a tale squisita fattura. L'artigianato tessile persiste, dunque, come acclaravo prima, ed è affidato alle loro infaticabili mani, operose fattrici di veri e propri gioielli di creatività e di encomiabile sopraffino gusto; persiste ad opera di queste poche volenterose donne, innamorate del senso tattile del comporre, delle possibilità intrinseche del telaio e dell'invenzione aulica che si esteriorizza nel fantasioso intrecciarsi dei fili, nell'arte della rifinitura del tessuto, retaggi del buon tempo antico ormai irrimediabilmente perduto.

Il noéma dei princìpi della disciplina è sempre in auge e non manca di dare i suoi speciosi (attributo, quest'ultimo, da intendersi nel suo secondo arcaico significato estensivo) frutti.

Fautore di tutto ciò, il telaio, mezzo catartico ed accademico, deputato a confezioni armoniose di tessile variopinta natura.

Esso s'impone e signoreggia come deus ex machina, come strumento lavorativo di indubbia efficienza, in un campo produttivo che non manca di connotare le epoche in cui il suo costante utilizzo ha sfruttato al meglio le sue insite fattive risorse. Con esso, a partire dal preistorico attrezzo a pesi, rivisitato, poi, in foggia verticale o a spoletta ed infine ad Jacquard, ed attraverso le particolari possibilità tecniche utilizzate, proprie della macchina e sopra accennate, si possono raggiungere, nella confezione di pregiati tessuti, vette artistiche di impensabile livello.  

Tale macchina, grazie alle esperte mani della nostra Tilde Coco e d'altre collaterali adepte, oggi in Cefalù trova applicazione anche nella realizzazione di maschere per il carnevale, ultima propaggine di una tradizione, che, sfidando i secoli, è arrivata sino a noi.

È Tilde Coco (della quale parlerò più ampiamente nel prosieguo), con la sua arte, la "fattrice" di tante prestigiose maschere; una teorìa interminabile di figurazioni che per l'occasione allieta le nostre piazze e strade con cortei ed esemplificazioni sceniche di vario tipo e sapore.

Sappiamo tutti, se vogliamo trarne una stereotipata radiografìa, che il Carnevale, o Carnival, come altrove lo chiamano, è una momentanea parentesi di sfogo che si ripresenta periodicamente ogni 365 giorni, fedele e costante ("semel in anno licet insanire"). È uno spurgo della tensione accumulata per l'intero appena decorso anno e che si estrinseca con un coacervo di presenze mascherate, strane, impensabili, improbabili, improponibili, fantasmagoriche: più sono bizzarre e inusitate, più sono accettabili ed apprezzate.

È, il carnevale, una frenesìa che prende tutti per la volontà ed il gusto di cambiar pelle, anche per il brevissimo spazio temporale di pochi giorni, di qualche ora, di un momento che viene dilatato dalla fantasìa in un tutto irrazionalmente cosmico; volontà, desiderio e gusto di mutare la propria identità e di renderla irriconoscibile per pueril diletto, onde ricrearsi un altro status, un'altra dimensione, fittizia, dissacrantemente limitata, che scarichi le beghe della propria personalità reale, per scrollarsele di dosso ed acquisire un'altra dimensione esistenziale scevra dalle conosciute ed aborrite usuali contingenze.

Assumere una nuova facies e vivere in essa nuovi attimi di respiro è, oltre al riposo, una fase salutare di indubbia valenza!

Una pittoresca falange, quest'anno, nutrita, rutilante, chiassosa, eterogenea, ha invaso il Corso Ruggero movimentando la secolare periodica manifestazione e ammannendo al folto pubblico assiepato ad limina murorum uno spettacolo itinerante di tutto rispetto, comprendente balli, variopinte elegiache danze, fantasmagorici costumi, rocambolesche acconciature e desuete tipizzazioni; il tutto preordinato con estrema fantasìa e spirito di collaborazione da autori dietro le quinte.

Falange semovente, che continuamente assume alternanti configurazioni, esemplificandosi in curve ed anse, gobbe ed incavi; fiumana sciabordante dall'una all'altra sponda della strada, tortuosa, fibrillante, con continui arresti ed improvvise accelerazioni, procedente fra canti e musica, pullulante di maschere dai tratti demoniaci, orridi alcuni, serafici altri, dai visi deformi, dalla pelle raggrinzita, annerita dal colore, segnata da informi rughe, maschere raffiguranti demoni, maghi, fate, animali, varbasapi (eclettiche figure di popolare schietta matrice nostrana) con inusitate espressioni tutte forgiate all'insegna della diversità espressiva e del cruento.

Un corteo da "Settimo Sigillo" di  bergmaniana ricordanza; al fermarsi della prima fila, quasi una diga di umana consistenza che contiene la piena che segue, il nugolo s'ingrossa, si comprime sino all'inverosimile, si schiaccia bloccandosi; e poi riprende il moto, lento ma inesorabile, ed avanza, preceduto da una navetta introduttiva, quasi un prologo, una ouverture, una didascalica prefazione visiva, stracolma di partecipanti, e ripete le movenze e il flusso precedenti fra un'assordante musica, carnascialesca, nella quale i colpi ritmati del tamburo rappresentano il leitmotiv e l'anima della sfilata.

   

A guardare l'eterogeneo ciangottante gruppo che segue la navetta, dall'alto, in campo totale, è come rivivere nella memoria il dantesco verso: "...diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d'ira / voci alte e fioche, / e suon di man con elle / facevano un tumulto, il qual s'aggira...", fraseggio che, con le opportune variazioni lessicali relativamente all'aggettivo "orribili" ed ai sostantivi "dolore" ed "ira", rende esaurientemente l'idea dell'estrosità del fluttuante fantasmagorico corteo.

Divisa in quadri, in settori, in reparti, quasi una rutilante variopinta esposizione di tele viventi, la turba fluttuante, irreale, diversificata, composta o scomposta, allineata o alla rinfusa, ma in continuo alternarsi di forme, di colori, di movimenti, di figurazioni, quasi una eraclitiana dimostrazione del principio che "tutto scorre", assemblata in quartetti, in quintetti, in sestetti, in ottetti e così via, rappresentanti, ognuna di esse divisioni, un'epoca, una nazionalità, una costumanza, una cultura (vedansi ad esemplificazione le "carte da gioco", o l'elegante egizia sequenza che riporta alla memoria le stereotipate figure di un Ramsete, di una Cleopatra, di una Nefertari, di un Tutankamon, di un Thutmosis ed d'altri personaggi di rilievo di quell'antica civiltà, ed ancora, le dimenanti "farfalle", tutte opere tildeiane di accurata estroversa fattura), procede suscitando al passaggio fra due ali di pubblico plaudente un misto di curiosità e d'interesse.

      

   

Fra i tanti anche il Sindaco, Rosario Lapunzina, è presente, non nella sua veste istituzionale, ma come semplice cittadino che apprezza la manifestazione, accompagnato da elementi del suo staff oltre che dalla sua gentile consorte.

Ma come gli attori bramano illudersi di cambiar pelle interpretando o vivendo altri caratteri (il bovarismo è innato, Gaultier insegna), chi crea le maschere, chi  materialmente le concepisce e le costruisce, vive in simbiosi con chi le indossa e le porta in giro: perché, sbrigliando la propria fantasìa ed inventando nuove epidermidi con le quali dar corpo e sostanza a svariate entità, si respira una nuova aura esistenziale, quella suggerita dalla sbrigliata fantasìa e dalle pulsioni dell'invenzione.

E così si diventa pigmalioni dell'effimero, creatori di particolari esseri impensabili, mercé i quali ci si ricopre di una esistenza diversa, più interessante forse, per quanto limitata nel tempo e nello spazio. L'autore si accomuna con la sua opera ed il creatore col creato e l'inventore con l'invenzione in una aritmica vorticosa sarabanda, in un ciclone esiziale che tende unicamente, come è stato accennato a iosa, ad alleggerire il peso dei pensieri che alimentano la universale quotidiana fatica.

    

Inoltre, molte maschere, supportate nell'ideazione da una creatività lungimirante e fantasiosa, hanno evidenziato un drappeggio di tessuti confezionati con sapiente studio proprio mercé l'utilizzo del telaio.

      

   

Questa esibizione carnevalesca, questa nutrita teorìa mascherale, questa accolta di essenze oniriche trasposte in coinvolgenti presenze reali, realizzata sotto il patrocinio del Comune di Cefalù, il cui sopracitato Sindaco, Rosario Lapunzina, si dimostra sempre proclive a manifestazioni culturali (non mi stanco mai di ripeterlo, per dare a Cesare ciò che è di Cesare) intese a promuovere, in ambito nazionale ed internazionale, la riconosciuta valenza della nostra città, è stata indetta e portata all'essere dalla RicamArte con la collaborazione delle seguenti collaterali Associazioni: A.S.D. Agari Coreùo, Fidapa, Mariposa, Allegra Compagnia, A.C.R. Cattedrale, Parrocchia Santo Spirito, L'Armonìa, Ass.ne Culturale Musicale S. Cecilia, C.A.I. Cefalù, Centro di Cultura Polis Kephaloidion, Fare Ambiente Cefalù Madonìe, Liceo Artistico Statale "Diego Bianca Amato" Cefalù; e con la supervisione artistica di Gigi Nobile, Pino Parisio e Peppe Saja.

Tilde Coco, (e per chi non dovesse conoscerla, ma non ci credo, adesso dico chi è; e non vorrei che alcuno mi accusasse di nepotismo, trattando, io, di mia cugina. Tuttavia poiché non ammannisco elogi a caso, non è mio costume, e tutto ciò che paleso è provato, ne posso parlare e andare sicuro a fronte alta!) credo rappresenti un baluardo conoscitivo nel settore dei ricami d'arte. La sua esperienza in questa materia, sostenuta da anni di insegnamento, è così riconosciuta ed apprezzata, sia nel centro urbano che nel comprensorio, se non addirittura in ambito nazionale, che quanto io manifesto non può per niente essere confutato perché è la pura verità (la pura verità del buon Dio, direbbe il Pievano). Amen.

Per tracciarne un brevissimo excursus umano e sociale, citerò che Tilde, nella qualità di Insegnante di Disegno Professionale e Progettazione per le Arti del Tessuto, è stata assegnata come primo incarico per l'insegnamento, all'inizio della sua soddisfacente carriera, a Castrovillari e, successivamente, trasferita a San Cataldo (dove ha avuto i primi contatti fattivi col telaio e la tessitura) ed infine a Cefalù; oggi in pensione, dispiega una nutrita attività nel settore realizzando in proprio prodotti secondo la tecnica del macramé: casule, all'uncinetto, pittura su stoffa, su seta e derivati. Le è, inoltre, congeniale creare drappeggi per lumi ed abat-jour di tutte le fogge, abiti d'epoca, scialli, preziosi copricapo ingentiliti dall'inserimento di bigiotteria varia, merletti e quant'altro.

   

      

        

Gratificata da premi, positive recensioni, raggiungimenti, consensi, variegate tappe che hanno connotato il suo percorso artistico, mantiene tutt'ora il suo fattivo impegno nell'istradare, con innata vocazione, le neofite che vogliono accostarsi alla manualità della tessitura.

È figlia d'arte: il padre, che fu Direttore del Liceo Artistico Diego Bianca Amato, allora semplicemente denominato "Scuola Statale d'Arte", era abile nell'arte del disegno, della scultura, della pittura ed in tante altre collaterali attività; è nipote del compianto Prof. Bartolo Martino, già in forza presso il predetto Istituto, pittore anche lui ed al quale si deve un interessante studio analitico progettuale sulla basilica cattedrale di Cefalù, opera oggi conservata nel locale Museo Mandralisca.

La Nostra, che ha espletato incarichi dottrinali pure presso il prefato Liceo Artistico, nonché reduce dall'aver partecipato a svariati concorsi e mostre nazionali, collettive e personali, quali il Concorso per l'ideazione di una casula svoltosi presso l'Ente Fiera di Vicenza, la Mini Artexitil a Como (per ben due volte in due anni successivi), la retrospettiva organizzata dalla Koiné-ricerca svoltasi a Roma, l'esposizione alla Galleria d'arte moderna di Bologna, la mostra dell'artigianato tessile indetta dal Comune di Mariano Comense a Bellaria, e poi a Bolsena, a Vicenza e nel Triveneto, nell'anno 2000 fonda, assieme a Giuseppina Alberti (che poi ne sarà la Presidentessa), ad Ida Cannatella, ad Anna Maria Scelsi ed a Teresa Giardina (donne interessate alla materia del ricamo, dei merletti a tombolo, della tessitura su telaio, del punto croce, del filet a modano, del chiaccherino e dell'uncinetto), l'Associazione culturale "RicamArte" che si propone di promuovere la conoscenza dell'Artigianato femminile per valorizzarne l'importanza culturale, sociale ed economica, con l'intento di privilegiare soprattutto le arti figurative relative al ricamo, al filet ed allo sfilato siciliano.

In seno alla RicamArte Tilde ha creato una Scuola di Ricamo ed ha diretto il corso base per la tessitura, tessitrice ella stessa. Nell'ambito di detto sodalizio ha stipulato una convenzione con il Comune di Cefalù e l'Ente Parco delle Madonìe per la conservazione e la diffusione, a mezzo scuola, dell'artigianato tessile madonita.

    

Durante il decorso dell'operosità dell'anzidetta Associazione e grazie alla disponibilità dimostrata dal Comune di Cefalù, dalla Direzione del Museo Mandralisca e dalla locale Azienda autonoma di soggiorno e turismo, il sodalizio ha potuto mettere in cantiere diverse mostre, interessando artigiane esperte nelle diverse tecniche e riscuotendo meritati successi; in più, in ragione dei raggiungimenti conseguiti e di cui in precedenza e dell'attenzione che ha ottenuto, la RicamArte, oltre alle sopraelencate discipline, è stata in grado di aprire dei laboratori ed istituire nuovi corsi di insegnamento.       

Tali corsi, la cui attività si estende da Ottobre a Maggio di ogni anno con grande impegno ed entusiasmo sia da parte degli allievi che degli insegnanti, destinati soprattutto a giovani e meno giovani discenti, sono i seguenti: filet a modano, chiaccherino, ricamo artistico, sfilati e punti luce, punto antico, norvegese, tessitura e pizzo macramé, tombolo e pizzo di Cantù, eseguendo anche dei lavori su commissione.

Ora, addentrami nella capillare dottrina di queste tecniche, laboriose produttrici di eclatanti e sapienti forme d'arte, per me sarebbe oltremodo estenuante e scomodo (ho nella mente ben altre gatte da pelare); e ciò perché, non avendo la benché minima cultura in merito per poterne degnamente disquisire (e questo l'ho lealmente protestato all'inizio della mia presente disamina), dovrei preventivamente seguire un approfondito scolastico corso di studi, che, purtroppo, come ho accennato prima, non solletica per niente il mio interesse rivolto a ben altre espressive forme artistiche.

Chi comunque avesse sete di sapere di più in proposito e volesse spartanamente acculturarvisi, sia per diletto che per personale apprendimento, non deve far altro che andare a consultare il forbito testo dal lungimirante titolo "RicamArte, Farfalle di Tradizione e Innovazione", pubblicato il 7 Dicembre del 2013 su questo stesso prestigioso Blog (https://www.qualecefalu.it/node/5654) e cliccato ad oggi ben 11623 volte (un tre o quattro cliccate sono di mia esclusiva pressatura) della nota Prof.ssa Rosalba Gallà, personaggio di spicco nel panorama culturale cefaludese, Insegnante presso il ripetutamente menzionato Liceo Artistico "Diego Bianca Amato" di Cefalù, versata in molteplice artistiche dottrine nonché redattrice di ben altri importanti letterari testi; alla Quale non fà difetto né la loquela, né la scrittura e neppure il buon senso e la conoscenza in genere, pregiati congeniti orpelli che le consentono dì dissertare con estrema disinvoltura, in maniera piana ed esaustiva, sugli argomenti più disparati che si trova a trattare.

La stessa Gallà, nel suo studio mirato alla storica genesi del detto Istituto scolastico dal titolo "Disegno e lavori donneschi, Presenze Femminili agli albori della Scuola d'Arte di Cefalù", edito nel 2014 per i tipi di Salvatore Sciascia Editore, nell'ambito della conduzione del tema propostosi raccoglie una serie di fotografie di laboriosi manufatti realizzati dalla Scuola in discorso al filet e all'uncinetto. Il volume rappresenta una brillante rievocazione storica dell'Istituto, della sua nascita e della statura del suo pigmalione, del quale nella ragione sociale ricorre il nome.

Dal superiore documento io ho acquisito l'informazione che la nostra siciliana tradizione culturale tessile alligna sin dal 1300; secolo in cui la lavorazione dei tessuti in genere e del filet in particolare (e ciò supporta una mia affermazione precedente) "...era fondamentale per la realizzazione di pregevoli corredi che le giovani ragazze ricevevano in dote al momento delle nozze..."

Cefalù, 1 Marzo 2017

                                                                                                    Giuseppe Maggiore