15 Novembre 2016, 07:41 - Saro Di Paola [suoi interventi e commenti] |
Il 9 novembre scorso, nel decennale della dipartita dell’Architetto Prof. Pasquale Culotta, abbiamo fatto Eucarestia con Don Domenico Messina, nella Chiesa di Santa Trinità alla Rocca.
L’omelia di Don Domenico è stata illuminata e sapiente.
Di quelle che non ti aspetti.
Non già per l’Illuminazione e la Sapienza, che l’hanno ispirata e contraddistinta.
L’una e l’altra da Don Domenico te le aspetti: Gli sono congeniali.
Dell’una e dell’altra, per l’una e per l’altra, quanti, con Don Domenico, facciamo Eucarestia nella Chiesa di Sant’Agata Vergine e Martire, non ci sorprendiamo più.
L’omelia di Don Domenico è stata inaspettata per genialità.
Quella che Gli ha fatto illustrare la Parola del giorno della festa della dedicazione della basilica Lateranense, con Pasquale Culotta.
Sì, Don Domenico ha illustrato la Parola con Pasquale Culotta.
Con la più preziosa delle eredità, che Pasquale Culotta ci ha lasciato, nelle sue opere e nel suo Insegnamento.
Con la più significativa ed illuminata delle sue lezioni di Architettura:
il progetto e la costruzione di Architettura, progetto e costruzione di luoghi, nei quali l’Uomo contesse le relazioni della sua quotidianità.
Non aggiungo altro.
Potrei, soltanto, sminuire Domenico e Pasquale.
L’Uomo di Chiesa e l’Uomo di Architettura.
L’omelia di Don Domenico Messina:
LETTURE: 1Cor 3,9c-11. 16-17; Sal 45; Gv 2,13-22 1.
Celebriamo, oggi, la festa della dedicazione della Basilica Lateranense, «Sacrosancta Lateranensis ecclesia omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput» (Sacrosanta Chiesa lateranense Madre e Capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe).
La Basilica Lateranense – dedicata dapprincipio al Santissimo Salvatore e successivamente ai santi Giovanni Battista e Giovanni l’evangelista – fu fatta costruire da Costantino sotto il pontificato di papa Silvestro, subito dopo l’editto di Milano del 313.
Essa fu il segno visibile della nuova forma sociale del cristianesimo.
La Basilica Lateranense è la cattedrale della Chiesa di Roma.
L’anniversario della sua dedicazione in origine si celebrava solo nell’Urbe ma col tempo si diffuse in tutte le comunità di rito romano, quale eco liturgica del riconoscimento della «presidenza della carità» della Chiesa Romana, di cui parlava già sant’Ignazio di Antiochia.
Il ricordo della costruzione e della dedicazione dell’edificio-visibile basilicale lateranense diventa per tutti i cristiani memoria ed epiclesi per il mistero dell’edificio Spirituale ecclesiale, come proclamato dall’Apostolo in 1Cor 3,9c:
«Voi siete l’edificio di Dio».
La chiesa-edificio è icone della Chiesa-Corpo di Cristo.
Pertanto, noi oggi facciamo memoria del mistero del nostro essere Chiesa in costruzione.
Noi formiamo la Chiesa, Corpo ed edificio di Dio, ma allo stesso tempo tutta la Chiesa è presente in ciascuno di noi e cresce con noi.
La costruzione della basilica lateranense – come l’edificazione di ogni chiesa – è sempre stata un cantiere aperto, i cui lavori non si sono mai interrotti.
Questo non solo perché l’edificio necessiti di manutenzione ordinaria ma perché la chiesa-edificio è monumento vivo che continua ad essere edificato dalle generazioni di credenti che si susseguono nella sua fruizione.
Nel cantiere lateranense lungo i secoli si sono avvicendati diverse competenze e hanno contribuito alla storia della sua costruzione uomini con interessi diversi, con ruoli diversi.
Imperatori e re, papi e cardinali, artisti in ogni settore e mecenati, architetti e ingegneri, pittori e scultori, operai e muratori, carpentieri ed ebanisti, mosaicisti ed orefici e altri ancora si sono susseguiti per la realizzazione di questa Basilica.
Oltre Costantino, 2 ricordiamo i papi Milziade, Silvestro, Sergio III, Clemente V, Innocenzo X, Leone XIII; ricordiamo gli artisti Giotto, Arnolfo di Cambio, Domenico Fontana, Borromini, Bracci, Ludovisi e altri ancora sino ai nostri giorni.
Ciascuno di questi ha fatto la sua parte e ha dato il suo contributo specifico entrando in relazione con il progetto iniziale, con le storie, i contributi e il lavoro degli altri.
Ciascuno con la sua competenza ma tutti a servizio di un unico progetto.
Unico il progetto ma molteplici le collaborazioni!
I dinamismi di un simile cantiere fanno della Basilica una metafora della comunità, che il Signore edifica “in mezzo agli uomini” quotidianamente con la sua azione salvifica.
Come l’edificio progettato si realizza nel tempo attraverso la sinergia delle relazioni professionali così la comunità è edificata attraverso le relazioni ecclesiali che quotidianamente si manifestano e si sviluppano in essa.
Noi esseri umani “diventiamo uomini” quando ci lasciamo edificare dalle relazioni costitutive: con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente circostante e con il trascendente.
Noi cristiani diventiamo tali quando entriamo e viviamo le relazioni trinitarie ed ecclesiali con la Parola e lo Spirito e, per via sacramentale, imprimono in noi un carattere unico e specifico.
La festa odierna ci ricolloca in questa dimensione fondamentale e ridesta in ciascuno di noi il mistero della Chiesa come il cantiere aperto della vita divina in noi che ci edifica e delle relazioni che da questa prendono vita in noi e ci danno forza.
Nell’arte dell’edificazione, la saggezza dei nostri “mastri” conosce anche un principio operativo che è una saggia regola di vita, formulata nell’espressione a noi nota: “virennu facennu”.
Ovvero: si procede nella realizzazione fedele del progetto tenendo tuttavia sapientemente conto degli imprevisti e delle condizioni che si vanno profilando man mano e, si procede nella costruzione, facendole diventare varianti progettuali in corso d’opera.
La medesima cosa accade al nostro vivere cristiano e alla crescita della nostra fede. Essi risentono in corso d’opera di tutto ciò che quotidianamente viviamo: gioie, dolori, conquiste, fallimenti, conoscenze inquietudini, disillusioni, crisi, entusiasmo, peccato, grazia.
Perché anche la vita della fede ha le sue stagioni, le sue età, i suoi dinamismi vitali. Diventiamo uomini giorno dopo giorno.
Diventiamo cristiani giorno dopo giorno.
La fede ricevuta nel Battesimo diventa nostra giorno dopo giorno.
La passione dell’architetto Gesù, nel Vangelo appena proclamato, manifesta con passione lo zelo per la casa del Signore.
Era lecito vendere nell’atrio esterno del tempio (cortile dei Gentili) animali per i sacrifici rituali e cambiare le diverse monete per convertirle nelle monete ammesse al Tempio.
Tuttavia, Gesù, dinanzi al mistero della presenza di Dio, considera tutto ciò un mercato.
Egli rimprovera quanti vendono e comprano animali per i sacrifici non perché rifiutano il suo Inviato ma perché, facendo commercio, profanano il Tempio, rendendolo inadatto al culto.
Potremmo dire che la cupidigia umana cambia la destinazione d’uso del Tempio: dal culto al mercato, dall’uomo aperto alla relazione con Dio al trafficante che cerca solo sé stesso nei suoi interessi chiudendosi così al mondo reale.
Giovanni facendo riferimento allo zelo che divorerà Gesù: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (Sal 69,10) allude alla passione e alla morte di Cristo, che lo consumerà a causa del suo amore incondizionato per Dio e per la sua casa ovvero per l’umanità.
Quanto compiuto da Gesù nell’atrio del tempio di Gerusalemme esprime altresì la passione per il Padre e per il luogo dell'incontro con lui, ovvero l’uomo, perché questi di Dio ne è l’immagine (cf. Gen 1,26).
La passione e i desideri sono le forze del mondo, della nostra umanità e della fede. Ma esse sono anche la forza del Padre e di Cristo.
Dio ha passione per l’umanità; ha passione per la sua Chiesa, ha passione per ciascuno di noi.
Ora – mentre ci ricordiamo di Pasquale Culotta presso l’altare del Signore in questa chiesa e in questo giorno – nella prospettiva del “cantiere della Chiesa” vorrei con voi ricordare la passione dell’uomo e architetto Pasquale.
Nel 1999, al V Congresso internazionale di Architettura per la Liturgia, promosso dal Pontificio Istituto Liturgico di Roma, l’architetto Pasquale Culotta fu invitato a tenervi una relazione dal titolo “L’architettura dell’adeguamento liturgico e della nuova chiesa”.
Oltre ai contenuti di quella vivacissima e apprezzatissima relazione, ricordo ancora perfettamente il modo con il quale Pasquale relazionò.
Iiniziò parlando con tono calmo e pacato e man mano che narrava e presentava la sua pionieristica avventura accanto a mons. Valenziano nell’adeguamento liturgico – sia attraverso l’attività accademica universitaria sia attraverso i cantieri in diverse parti d’Italia – il tono della sua voce si faceva sempre più coinvolgente, sino a quando giunse alla commozione profonda.
Tutti lo ascoltavamo non tanto con le orecchie ma con l’immaginazione e il cuore. Per me, come per gli altri presenti al Congresso, quella fu non tanto una relazione di uno studioso ma la manifestazione reale della passione di un architetto.
Perché si è architetti, non si fa l’architetto!
La liturgia di oggi parla a noi di tempio, di casa e di città ovvero degli spazi vitali dove si dispiega quotidianamente la vita umana nelle sue relazioni fondamentali: la vita familiare e affettiva, la vita sociale e lavorativa, la vita comunitaria e spirituale. Le letture proclamate ci hanno annunciato che il tempio è da purificare, la casa è da costruire, la città invece è già allietata dalla presenza di Dio con gli uomini e dev’essere abitata e vissuta.
La Parola di Dio parla della casa e del tempio in termini di edificazione e progettazione mentre parla della città in termini di relazioni, di gioia e di vita.
La città non si architetta a tavolino, si costruisce con le relazioni integrate che architettano spazi privati e pubblici, di servizio e di lavoro, di cultura e di culto.
Un vero architetto non progetta città ma architetta tra loro spazi di vita che integrati costituiscono e formano la nostra città.
Quando nella storia sono state progettate città a tavolino (per esempio Brasilia) senza tenere conto del vissuto umano integrale si sono creati solo oasi artificiali e forzate ma non spazi vitali; belle oasi, artistiche ma pur sempre artificiali e senz’anima.
Pasquale Culotta è stato uomo e architetto appassionato che ha vissuto in spazi esistenziali personali e comunitari integrandoli tra loro con le sue relazioni umane, professionali e credenti.
Pasquale non ci ha lasciato il progetto di carta di una città.
Egli ha sognato, ha architettato e realizzato case, spazi privati e pubblici, chiese ma non città.
La nostra stessa città di Cefalù possiede spazi da lui “intravisti”, architettati e realizzati che, abitati da noi, provocano noi alla relazione e favoriscono in noi e tra di noi e gli altri la costruzione di una città “davvero” umana.
Può essere che la semplice purezza della sua architettura sia proprio il frutto delle indispensabili relazioni costitutive umane di noi con noi stessi, di noi con gli altri, di noi con il creato, di noi con il Signore.
Questa chiesa dove stiamo facendo Eucaristia, frutto del suo sogno e della passione condivisa con Crispino Valenziano, oggi per noi diventa spazio vitale dove il Signore ci sta edificando attraverso la sua Parola, il suo Sacramento, il suo Spirito, il dono della nostra presenza.
E come questa chiesa sognata con passione e realizzata con caparbietà ora è qui ad accoglierci e a creare in noi relazioni piene umane e divine, così anche noi, sognati dal nostro Dio, siamo qua in relazione con Lui, in noi e tra di noi e ci lasciamo edificare nel vero edificio di Dio, vivificato dalla nostra carne e dal suo Spirito. Carissimi, ringraziamo il Signore perché ci ha sognati e costituiti ad essere “pietre vive e preziose” della Chiesa di Cristo.
Questo meraviglioso Edificio Spirituale è il nostro vero spazio di vita piena.
Noi non potremmo essere e avere vita senza la Chiesa!
Ma anche la Chiesa senza ciascuno di noi – così come siamo, così come dobbiamo diventare – non sarebbe la stessa.
Invochiamo lo Spirito per vivere in pienezza le nostre relazioni costitutive. Invochiamo lo Spirito Santo per coloro con i quali quotidianamente edifichiamo la nostra città.
E infine, spronati dal ricordo di Pasquale, chiediamo al Signore il dono della passione per sognare di essere uomini e donne veri secondo il Vangelo per costruire quotidianamente spazi umani abitabili e gioiosi.
E se anche non tutti siamo architetti di professione, tuttavia sforziamoci di esserlo per passione con le nostre relazioni autentiche, umane e cristiane, perché «Noi siamo l’edificio di Dio».
Oggi, Gesù ha parlato di noi che siamo il suo Corpo (cf. Gv 2, 12).
Oggi, noi discepoli del Crocifisso Risorto, ricordiamo quanto ha detto di noi e crediamo alla sua Parola che ora si farà carne nella nostra carne, quando ci accosteremo alla sua mensa e ci nutriremo del suo Pane e berremo del suo Vino e per il suo Spirito saremo ancora di più il suo Corpo.
Saro Di Paola, 15 novembre 2016
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