Che cosa manca per una buona politica

Ritratto di Angelo Sciortino

18 Ottobre 2016, 10:37 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Gli intellettuali e i politici un tempo erano faziosi e ambiziosi, ma erano nel contempo preparati e intelligenti. Questi due ultimi attributi sembrano non esistere più ai nostri giorni. In passato, infatti, chi arrivava alla laurea o intraprendeva la carriera politica, doveva avere un elevato quoziente intellettivo ereditario; cioè, una buona riserva di geni per l'intelligenza.

Con la diffusione dell'istruzione di massa e il contemporaneo abbassamento della qualità di tale istruzione, anche persone prive di sufficiente quoziente intellettivo hanno cominciato ad aspirare alla carriera politica, riuscendo infine a perseguirla, grazie anche all'abbassamento del quoziente intellettivo dell'elettorato. Non occorre alcuna dimostrazione, se si considera il mortificante spettacolo che ci consegnano la maggioranza di politici e intellettuali, incapaci, anche per scarsa intelligenza, di capire e governare i problemi del paese. Non casualmente ho citato insieme ai politici gli intellettuali, che oggi in troppi casi non sono da meno ai politici.

Come gli analfabeti, non sanno astrarre, ovvero classificare sulla base di similarità, e usare il ragionamento ipotetico. Manca pure, ai nostri politici e agli intellettuali allineati, l'uso della logica insieme al criterio di falsificabilità, che ogni università che si rispetti dovrebbe dare ai suoi laureati. Senza logica e criterio di falsificabilità ci si riduce all'autoreferenzialità, che è nemica di ogni critica e di ogni capacità di auto correggersi. Si finisce con il definire se stessi il miglior ministro o il miglior sindaco dai tempi della nascita della democrazia ateniese nel V secolo a. C. Oppure, se si vuole essere più modesti, il sindaco più laborioso, come voleva mostrarsi Mussolini al popolo, tenendo accesa la luce nel suo studio a Palazzo Venezia fino a notte inoltrata.

Così facendo, però, si finisce con il procurare il peggiore dei danni al proprio Paese: se ne riduce la credibilità e lo si rende sempre più povero, sia culturalmente e sia economicamente. Senza il contributo dell'intelligenza, infatti, non sarà possibile governare proficuamente un Paese. Eppure, questi politici di piccola intelligenza hanno deciso di cambiare persino la Costituzione! E localmente parlano come se il loro fosse il Verbo ispirato da un Dio, che tale non è, perché è solo il loro Dio; il Dio di piccoli uomini, che somigliano più a un falso profeta piuttosto che a uno statista. E che ci sia bisogno di uno statista è ormai opinione condivisa dai più. Il problema è, però, che forse tale statista non lo si sa scegliere, sempre per la perdita di quell'intelligenza, che seppe suggerire ai nostri padri la scelta degli uomini, che favorirono la rinascita dell'Italia distrutta dalla guerra.

A questo punto riesce difficile trovare una seppur flebile luce di speranza. Non riesco a trovarla per l'Italia, per la Sicilia e per Cefalù. Esse sono affidate al governo degli incapaci, che sembrano presi da un cupio dissolvi, da un desiderio di distruggere quella ricchezza, che l'Italia ancora possiede; che alla Sicilia tutti invidiano e che Cefalù calpesta in nome dell'imperante falsa cultura, che ne distrugge persino le bellezze naturali.

Non c'è niente da fare, in mancanza di logica e di cultura, dobbiamo accontentarci delle chiacchiere dei politici d'ogni ordine e grado e di ogni schieramento; dobbiamo accontentarci delle sagre e delle tappe del Giro d'Italia; delle promesse, per le quali non basta la fiducia, perché esse richiedono un vero e proprio atto di fede. Quest'ultimo, infatti, non richiede il ragionamento, che ci farebbe comprendere subito la vacuità di tali promesse.

Auguri, quindi, a Cefalù, alla Sicilia e all'Italia.