28 Settembre 2016, 15:09 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |
IL MONDO ALLA ROVESCIA
Giusy Maffei e il suo universo
Interessante questa visione inusuale, innaturale, sovvertita se vogliamo, della natura, dei personaggi, delle cose, riscontrabile nelle tele di Giusy Maffei, eclettica giovane pittrice adusa alla tecnica che inneggia all’astrattismo.
Maffei. Cognome storicamente importante. Nell’800 appartenne alla contessa Clara che aprì le porte dell’aristocrazia milanese al giovane, e già famoso, Giuseppe Verdi, determinando un triplice connubio fra cultura, patriottismo ed arte. Un pezzo di storia che rimbalza ai giorni nostri al solo riecheggiare di un nome.
Ho sempre guardato con occhio distratto ed impietoso alle forme espressive che sovvertono i canoni usuali della realtà, distinguendosi, tuttavia, per estro, fantasìa, tecnica e originalità e che assumono denominazioni eterogenee, quali: informalismo, astrattismo, dadaismo, futurismo, surrealismo, ecc. Debbo ammettere, a mio estremo discapito (come, d’altronde, ho anche confessato altrove) che io sono rimasto a Giotto, a Raffaello, a Leonardo, a Caravaggio, a Michelangelo e, perché no, anche a Cimabue ed a quant’altri del genere.
Tuttavia, a voler considerare le tendenze artistiche citate, le innovazioni che nel nostro evo hanno visto la luce e le altre varie correnti di pensiero che si sono succedute, non posso non apprezzare la congerie delle articolate regole e delle motivazioni che connotano le tecniche di tali nuove create discipline.
D’altronde bisogna anche ammettere che l’arte nelle sue multiformi espressioni non è un settore a numero chiuso; variazioni ai temi classici, rinnovati interessi, filoni nuovi lo supportano costantemente portando alla ribalta nuove concezioni stilistiche, nuove tematiche e nuovi intendimenti creativi che sono, appunto, i prodromi di ulteriori successivi sviluppi della materia.
La tendenza al surrealismo, inteso come evoluzione del dadaismo, non è altro che la materializzazione del pensiero del creatore il quale, nelle forme proposte, non rappresenta cose oggettive ma, superando il reale, tracimandolo, sovvertendolo, trasforma queste ultime visualizzandole da un punto di vista completamente opposto. Un controcampo della realtà, insomma; per questo io titolo il fenomeno “mondo alla rovescia”.
E tanto per disegnarne sommariamente le origini, onde meglio allocare la nostra Giusy, è confacevole accennare che il movimento ebbe anche i suoi preclari santi iniziatori, come Guillaume Apollinaire e Andrè Breton.
Quest’ultimo, influenzato dagli studi di Sigmund Freud, riversò la vitalità distruttiva del dadaismo in questa nuova collaterale insorta corrente. Egli, infatti, ritenne che non fosse per niente accettabile il fatto che nella civiltà moderna l’inconscio venisse considerato meno importante del conscio e, da quel grande pensatore che era ipotizzò, quindi, di dar vita ad un poderoso movimento artistico e letterario in cui sogno ed inconscio rivestissero a pari merito un complementare ruolo fondamentale.
Movimento al quale successivamente si associarono tutte le altre forme della creatività: pittura, scultura, musica, cinema, teatro e quant’altro.
Nacque, così, il surrealismo, all’inizio forse poco seguito, ma che presto s’impose come l’ultimo nuovo ritrovato dell’arte.
Il primo manifesto che vide la luce nei primi anni del secolo scorso delineava così le linee guida della nuova disciplina:
“Automatismo psichico puro attraverso il quale ci si propone d’esprimere, con le parole, con la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”.
Il surrealismo, quindi, le cui professate tre tematiche principali sono: l’amore, inteso come fulcro della vita, il sogno e la follia, intesi come mezzi per superare la razionalità, e la liberazione, quale riscatto dell’individuo dalle convenzioni sociali, è un “automatismo psichico, ovvero quel processo in cui l’inconscio, quella parte di noi che emerge durante i sogni, si manifesta anche quando siamo svegli e ci permette di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi preordinati”.
Quanto sopra, almeno quello che mi è dato di sapere.
Posto ciò, tento di analizzare il personaggio di Giusy Maffei, che, a mio vedere, al surrealismo si accosta con la passione della neofita, con l’interesse della ricercatrice e con la serietà della professionista.
Giusy, non discendente, tuttavia, né parente di colei che conobbe Verdi, nasce a Cefalù nel 1990 e sin da piccola manifesta una grande predilezione per le arti visive: per lei pittura, scultura, cinema e teatro rappresentano i capisaldi che determineranno la sua formazione spirituale confermata dalla maturità.
Terminati i primi studi intrapresi presso il locale Istituto Statale d’Arte, frequenta con profitto l’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove, nel 2014 consegue la laurea di primo livello in pittura. Continua, poi, la discenza per affinare il suo stile e si dedica, anche, a delle sperimentazioni sulla consistenza del colore basate sull’uso dei collage; tentativo che riesce a coniugare il suo attaccamento alla realtà visiva col suo bisogno esistenziale di libertà artistica, surrogati intimali che cesellano ancora di più le sue qualità elettive.
Attraverso questa particolare tecnica espressiva, infatti, realizza bozzetti che in seguito trasforma in tele ad olio di grandi dimensioni. L’impellente bisogno di comunicare che la contraddistingue fà sì che ella si dedichi anche alla fotografia realizzando delle pose introspettive in cui utilizza il suo corpo come elemento di base che le consente di individuare e di mettere in discussione il proprio essere e la propria identità; sistema che le permette di esternare i suoi più riposti stati d’animo e le sue più vive sensazioni.
Le sue opere, infatti, nelle quali primeggia una patina ancestrale tendente al blu, velo sottile che attraverso un calibrato gioco di chiari e di scuri pare riscoprire l’alba del mondo, esprimono questo senso di estrema libertà trasfusa nella composizione spaziale dei soggetti trattati, le cui figure stereotipate, allungate, ieratizzate e costantemente informali, assumono immaginifiche caratteristiche oniriche.
Reduce dal recente simposio conclusosi a Cefalù lo scorso 6 Settembre, collettiva d’arte organizzata dallo scultore Roberto Giacchino nell’ambito del movimento artistico “Cefalù città degli artisti”, da lui a suo tempo fondato e diretto, la Maffei ha, durante il suo formativo percorso, partecipato a mostre personali e collettive che l’hanno resa nota ai più. Per dovere di cronaca riportiamo che, oltre alla seconda e terza edizione del simposio anzidetto (2015 e 2016), la Nostra ha anche preso parte alla collettiva edita da Kef’Art Festival tenutasi all’Ottagono di S. Caterina nel 2010, alla personale del 2011 a Castelbuono presso il locale “U Trappitu”, alla collettiva “Liber in mostra, libri d’Artista”, indetta a Palermo nel 2015 ed alla personale presso “Il Giovedì d’Arte, club 13”, allestita pure a Palermo nel 2016.
L’elemento più appariscente che emerge, incondizionato, dai suoi lavori è il costante totale rifiuto della razionalità. Di converso tale ferma negazione trova la propria cosciente sublimazione nelle potenzialità immaginifiche dell’inconscio; ciò al fine di raggiungere uno stato di grazia subliminale che superi l’essenza della stessa realtà. È la titanica lotta fra l’onirico ed il cosciente, fra l’essere e l’immaginato, fra il sogno e la veglia: clima elegiaco in cui veglia e sogno sono entrambi presenti amalgamandosi in un connubio armonico e profondo che dà l’accesso a quanto sta oltre il visibile. Di tali concetti Freud è padre ed iniziatore.
In tale disciplina inusuale il fruitore dell’opera non ha la immediata percezione del mostrato, appunto perché la razionalità è bandita e superata da un senso estetico che tracima la comune conoscenza della materia; ma, sondando i ghirigori dell’immagine che la rendono indecifrabile ad una prima lettura, egli deve accettare e far propri, intuendoli, i problemi che hanno indotto l’artista a dispiegare la materia in siffatto modo, onde pervenire alla comprensione dei concetti visivi espressi.
Qui sta lo specifico, la chiave, il nietzscheiano “nus” evolutivo che apre le porte del mondo dell’artista al fine di una maggiore interpretazione del suo ermetico stilismo: l’immedesimazione (o il tentativo di essa) volta a sceverarne i più riposti adombrati significati.
Non bisogna, a questo punto, dimenticare che molti eccelsi artisti, del calibro di un Hans Arp, dello stesso regista Louis Bunuel e dello stesso Salvator Dalì, di Renè Magritte, di Man Ray, di Yves Tanguy, tanto per citare i più rappresentativi, e d’altri precursori del movimento, si sono interessati al settore impinguandolo con la loro esperienza e con la loro pulsione estetica.
Cefalù, 28 Settembre 2016.
Giuseppe Maggiore
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