5 Agosto 2016, 22:46 - Angelo Sciortino [suoi interventi e commenti] |
Se leggete a pagina 961 di La corda pazza di Leonardo Sciascia, troverete la seguente citazione di Scipio di Castro: “I siciliani generalmente sono più astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono farebbero se fossero al posto dei governanti. D'altra parte, sono obbedienti alla Giustizia, fedeli al Re e sempre pronti ad aiutarlo, affezionati ai forestieri e pieni di riguardi nello stabilirsi delle amicizie. La loro natura è fatta di due estremi: sono sommamente timidi e sommamente temerari. Timidi quando trattano i loro affari, poiché sono molto attaccati ai propri interessi e per portarli a buon fine si trasformano come tanti Protei [il personaggio mitologico capace di cambiare forma], si sottomettono a chiunque può agevolarli e diventano a tal punto servili che sembrano nati per servire. Ma sono di incredibile temerarietà quando maneggiano la cosa pubblica e allora agiscono in tutt'altro modo.”
Prima di commentare il brano riportato da Sciascia, è opportuno conoscere meglio il suo autore e il tempo in cui visse. Scipio di Castro era nato a Policastro, vicino a Salerno, nel 1521 e morì nel 1583 a Roma. Fu senza dubbio un avventuriero e, sebbene avesse preso i voti di agostiniano, fu un eretico e un apostata, più volte inquisito dal Sant'Uffizio e condannato. Le sue amicizie gli risparmiarono, però, di scontare le pene più volte inflittegli e comunque gliele resero più sopportabili.
Fra le sue amicizie bisogna annoverare la più importante, quella di papa Gregorio XIII e di suo figlio Giacomo. Altre amicizie permisero a Scipio di partecipare alla politica europea di quel tempo, con l'essere consigliere ascoltato e stimato di ministri, plenipotenziari e di viceré.
In Sicilia visse per un decennio e qui vi fu amico del viceré marchese di Pescara, al quale si deve la porta di Cefalù, che porta il suo nome. Oggi quella porta non ha più le caratteristiche originali, avendo subito mutamenti, qualcuno parla di deturpamento, nel 1868, al tempo del delegato straordinario Antonino Morvillo.
Comunque sia, il legame con Cefalù e con la Sicilia di Scipio di Castro è provato da non pochi documenti, per cui si deve considerare il suo giudizio riportato da Sciascia come il giudizio di una persona informata dei fatti e buon conoscitore del carattere dei Siciliani. Se poi si aggiunge che egli, nonostante il giudizio negativo di cui fu investito dai suoi avversari, fu un uomo intelligente e scrittore di sensatissime lettere e di studi anche scientifici, il suo giudizio deve quantomeno farci riflettere.
Il punto è: dal secolo XVI a oggi il carattere dei Siciliani è cambiato? È quello dei Cefalutani? A me sembra che la riflessione di Scipio abbia ancora più valore di ieri. Lo dimostra ogni giorno il comportamento del popolo, che accetta come un destino obbligato persino il precariato, e quello dei politici, che da questo popolo vengono eletti e si comportano con “incredibile temerarietà”. Una temerarietà, che li spinge a decidere senza riflettere sulle conseguenze, tanto esse ricadranno sempre sul popolo. Come accade e ancor più accadrà a Cefalù.
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